Quando tifoso e squadra si fondono

di Gianluca Barra e Igor Vitale

Ah, il calcio che sport stupendo! Undici persone che sudano e lottano insieme, come una squadra, per un obiettivo comune: il gol!
Sappiamo tutti che in Italia è lo sport più amato, ci sono milioni e milioni di tifosi, sia per le squadre più forti e vincenti, che per quelle meno conosciute.
Ma chi è il tifoso? Cosa significa per la persona (da un punto di vista psicologico) fare il tifo per una squadra?
Il tifoso è un individuo appassionato ed entusiasta che ammira e segue uno sport. È interessante, però, notare come la traduzione inglese del termine tifoso sia fan, il quale deriva da fanatic (fanatico). La definizione di fanatic è simile a quella di fan, ma più radicale: “una persona in uno stato estremo ed a-critico di entusiasmo o zelo per ideali di tipo religioso, politico, sportivo, sociale. Un tifoso, dunque, è un individuo entusiasta, che ama profondamente la sua squadra ed è legatissimo ad essa (usuale l’espressione attaccato ai colori della maglia, proprio a indicare il legame affettivo molto forte tra il tifoso e la squadra, indipendentemente dai giocatori che la rappresentano).
Tra il tifoso e la squadra si crea un profondo legame di identificazione: il tifoso attraverso la sua squadra definisce se stesso, perché la squadra rappresenta i valori culturali in cui crede e che difende; in base a tale legame, il tifoso sente come proprie le vittorie della squadra (e, per converso, anche le sconfitte), sente che egli stesso, assieme alla squadra, si sta affermando e realizzando. Tutto ciò è bellissimo, perché (in virtù di questo legame) il tifoso sente anche di contribuire al successo della sua squadra attraverso alcuni tipici strumenti come le coreografie od i cori che si sentono normalmente negli stadi. I tifosi non assistono solo ad una partita; ma urlando il nome della squadra, saltando sugli spalti (o sul divano di casa!), aiutano in modo decisivo i loro beniamini a vincere. Quando la squadra vince, il tifoso vince. Quando la squadra perde, il tifoso perde.
La vittoria o la sconfitta della squadra del cuore non determina solamente l’aggiunta di 3 o 0 punti in classifica, ma determina vere e proprie fluttuazioni emotive in grandi fasce della popolazione che durano giorni, settimane, a volte anche anni.
Dal punto di vista psicosociale quella del tifoso non è un semplice hobby, un modo per occupare il tempo, o freudianamente un modo per sfogare l’aggressività, ma è un’ identità sociale, ovvero una porzione di identità che deriva dall’appartenenza di gruppo alla propria squadra.
Quando l’identità di tifoso viene resa saliente, e questo accade durante ogni partita, il tifoso si identifica positivamente nell’entità gruppo.
La squadra di calcio, ma anche le singole tifoserie (es. la curva sud vs la curva nord) diventano vere e proprie entità sovraordinate agli elementi che ne fanno parte.
Cosa intendo per entità sovraordinate? Vediamolo con un esempio, nella stagione 1993-1994, durante una partita tra Foggia e Milan (1-1) viene sconfitto il record di imbattibilità dell’allora portiere del Milan, Sebastiano Rossi. A seguito del gol di Igor Kolyvanov, Rossi restituisce alla curva sud un fumogeno lanciato dalla stessa. Questo fatto non è stato visto principalmente come un insulto ai singoli o come un atto pericoloso verso le singole persone, questo fatto a 19 anni di distanza dall’accaduto è visto, anche da chi non era presente allo stadio, anche da tifosi che al tempo non erano ancora nati come un insulto verso la curva, un’entità sovraordinata al tifoso, che sopravvive a prescindere dai singoli membri.
E’ molto curioso come spesso tifosi, ma anche cronisti, giornalisti, utilizzino implicitamente la metafora della guerra per parlare delle partite di calcio; se facciamo attenzione al linguaggio utilizzato è proprio questo ciò che emerge. Si parla di allenatori che schierano giocatori,  il giocatore principale è il capitano, ad alcuni calciatori vengono dati soprannomi dallo stile militare, si pensi ad esempio all’ “ammiraglio van Bommel”, esiste la difesa e l’attacco, quando una squadra vince in trasferta si dice che la squadra ha espugnato lo stadio, un tiro forte diventa una “cannonata” o una “bomba”, mentre altre volte un portiere può essere trafitto da un gol.

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