Teoria del carattere: autoregolazione organismica e carattere

Organismica di Serena Giovannini

Autoregolazione organismica e Carattere

 

Fritz Perls nel 1980 in “La Terapia Gestaltica” spiegava il concetto di carattere e di autoregolazione organismica: un essere vivente è dotato di un insieme di organi ma è una totalità, cioè è molto più che la somma delle singole parti, infatti ha un organizzazione interna e per sopravvivere ha bisogno di reciproci scambi con l’esterno. L’organismo, entrando in contatto con l’altro passa dall’io e tu al “noi”, grazie ai confini dell’io che dovrebbero essere elastici e mutevoli. Nel momento in cui questi confini si irrigidiscono e  si fossilizzano si forma il cosiddetto “carattere” che rende il comportamento degli esseri umani statico, rigido, prevedibile, insomma non più creativo. Per cui il carattere, in questa accezione, è simile ad una gabbia, uno schema, Perls lo paragona al guscio di una tartaruga a causa del confine dell’io che diventa fisso e individua due fenomeni che agiscono su questi confini e che concorrono alla formazione del carattere: Identificazione (ciò che è dentro il confine è familiare, giusto, prezioso) e Alienazione (ciò che sta fuori è estraneo, l’errore). L’essere umano si può trovare spesso in uno stato di scissione interiore, può provare sentimenti contrastanti verso una persona, può arrivare a disconoscere parti di sé, a non accettarle e di conseguenza ad alienarle. Questo meccanismo provoca la restrizione dei confini dell’io: non ci permettiamo di essere, di esprimere liberamente noi stessi, cosi facendo ci autolimitiamo il nostro raggio d’azione nel mondo. Per Perls una persona sana è paradossalmente senza carattere, il quale sta alla base della coazione a ripetere. (Perls, 1980).

Naranjo in Carattere e Nevrosi (1996) si ricollega all’etimologia della parola carattere, dal greco scolpire “ciò che rimane costante nella persona, perché le si è scolpito dentro, e quindi ai condizionamenti comportamentali, emotivi, cognitivi” e ritiene che il nocciolo della nevrosi stia proprio nel carattere che interferisce sull’autoregolazione organismica,  in contrasto con la visione psicoanalitica che  individua il  nocciolo della nevrosi nel conflitto di base tra Super Io e istinto. Dentro al carattere si può ritrovare un Super Io che ha suoi valori e avanza richieste e accuse a un contro Super Io che vuole essere accettato, paragonabile all’Es di Freud. (Naranjo, 1996).

Delimitato da questi rigidi confini dell’io il carattere è dato dal sopravvento di una funzione sulle altre: come a livello fisico  abbiamo tante funzioni (circolatoria, digestiva …) che in base ai bisogni d’emergenza dell’organismo si coordinano, si alternano in armonia così anche a livello psichico, ma nel carattere accade che una funzione diventi dominante e interrompa l’autoregolazione organismica. (Quattrini, 2007)

Ma come si crea il carattere? Non è possibile risalire ad una origine certa, per questo si formulano ipotesi in attesa di verifiche. E’ possibile ricondurlo al trauma della nascita da quando si interrompe bruscamente l’idilliaca simbiosi con la madre e avviene la separazione fisica. Quindi il bambino inizia a manifestare il suo particolare stile di attaccamento, un legame d’amore per compensare il dolore della separazione, che acquisisce tre  toni emozionali diversi:  un vivo risentimento e un desiderio di fusione verso la madre amata e odiata, un senso di diffidenza verso la madre che abbandona, una disillusione di poter ritrovare il paradiso perduto.   (Quattrini, 2007). Naranjo (1996) infatti,  lo definisce “Precoce strategia adattiva” e colloca il suo sviluppo nel contesto doloroso dell’infanzia come una modalità funzionale a quel periodo di vita che però si è cristallizzata nel tempo creando fissità, comportamenti automatici tipici della psicopatologia. Aggiunge inoltre che alcuni tratti del carattere si sono sviluppati in opposizione a quelli materni e altri per identificazione.

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