La relazione tra ansia e stress

I disturbi d’ansia rappresentano il tipo più comune di patologia psichiatrica, con una incidenza del 18,1% ed una prevalenza, nel corso della vita, del 28,8%.

Tuttavia solamente il 37% dei pazienti con disturbi d’ansia ricorre ad una qualche forma di assistenza sanitaria, chiedendo per lo più aiuto ai Medici di Famiglia (24,3%), piuttosto che agli Psichiatri (13%) (Farnè, 1999).

Tali dati dimostrano come, in molti soggetti, l’ansia venga vissuta più come una caratteristica del proprio modo di essere piuttosto che come una patologia.

Solo quando, nel continuum fra ansia normale e patologica, si supera una soglia oltre la quale si manifesta una limitazione funzionale, o una compromissione invalidante della qualità di vita, la richiesta di intervento terapeutico diviene impellente. Tale dato clinico è sotteso a un insieme di complessi aspetti psicobiologici, di seguito trattati, che risultano strettamente collegati agli aspetti terapeutici. Una persona stressata, è una persona caratterizzata da molte crisi ansiose, l’ansia si può definire come un sintomo dello stress (Cassidy, 2002).Il problema dello stress era già stato studiato da Hans Selye molti anni fa. Oggi ne sappiamo molto di più; ma la scoperta di una sindrome “aspecifica”, (Seyle, 1978) di una reazione generica dell’organismo quando contrae eventuali malattie, caratteristica dello stato di stress, rimane ancora estremamente valida. Una prima importante considerazione da fare è che nel fenomeno stress sono implicati numerosi elementi del funzionamento umano. Uno di questi è il sistema nervoso-vegetativo autonomo, il quale è uno dei regolatori dell’intero organismo molto più importante di quanto si pensava qualche tempo fa: controlla, infatti, numerosi altri sistemi psicocorporei (Selye, 1971).Le emozioni hanno un ruolo altrettanto significativo nello stress, sia per quanto riguarda il rapporto tra sé e sé, sia per quanto riguarda il rapporto con l’esterno, d’altra parte le emozioni hanno anche un collegamento stretto con l’apparato dei neurotrasmettitori, i quali giocano un ulteriore ruolo fondamentale nel fenomeno stress (Seyle, 1971).

I neurotrasmettitori implicati nello stress sono a loro volta numerosi: il CRF, l’ACTH, la serotonina, il cortisolo, la noradrenalina. Esiste un sistema peptidico del piacere, collegato alle endorfine e alle encefaline; esiste un circuito GABA, dell’acido gammaaminobutirrico; esistono ancora altri mediatori. Anche i recettori sono numerosi e diffusi in tutto l’organismo (non solo a livello celebrale): il midollo spinale, il tronco-encefalo, il cervelletto, con evidenti connessioni alle aree limbiche e alle aree corticali (emozioni e razionalità). Dunque c’è una notevole complessità nel sistema dello stress: vi sono implicate aree corticali e aree limbiche (collegate all’emotivo); ma anche aree periferiche (periferiche rispetto al cervello) che agiscono sulle alterazioni dello stress: posture, movimenti, tensioni muscolari (Kandel, Schwartz, Jessel, 2003).

Un sistema così complesso ci fa capire che non può essere trattato in maniera riduzionistica: «il soggetto ha una carenza di un certo neurotrasmettitore, inseriamo quindi nel suo organismo tale neurotrasmettitore». Il panorama dei neurotrasmettitori (o degli altri elementi che intervengono sul problema dello stress) è, come abbiamo visto, molto ampio!

Non è pensabile immettere nell’organismo, dall’esterno, una sola di queste sostanze, perché sono talmente numerose quelle che si alterano nel funzionamento dello stress, che noi non potremmo riequilibrarle tutte; forse non conosciamo neppure tutti i fattori neuroendocrini che intervengono nel fenomeno.

Nello stress sono implicati inoltre numerosissimi apparati e sistemi del nostro organismo, per cui possiamo cominciare a capire che lo stress è collegato a più piani di funzionamento della persona, non soltanto neurochimici, non soltanto emotivi, non soltanto neurovegetativi, non soltanto muscolari, ma bensì tutti questi nel loro insieme integrato. Siamo sul piano della complessità (Dunbar, Barrett, Lycett, 2012).

Dobbiamo allora cercare di comprendere questa complessità, di pensare a come affrontarla, senza, però, rimanere in una concettualizzazione vaga e generica: trovare una modalità che ci permetta di operare concretamente e direttamente con le persone.

Il termine stress è in uso nella lingua inglese da molto tempo prima della sua introduzione nel linguaggio scientifico. Nel XVII secolo il significato corrente era quello di ‘difficoltà, avversità o afflizione’; successivamente (XVIII e XIX secolo), è divenuto quello di “forza, pressione, tensione, o sforzo” applicati sia a un oggetto che a un organismo, e infine, in tempi recenti ha acquisito il significato definitivo di stato di tensione o di resistenza ‘di un oggetto o di una persona che si oppone a forze esterne che agiscono su di essi (Macrì, Capogrossi, Colognesi, 2011).

L’importanza di Selye in medicina e in biologia non è stata tanto quella di aver definito lo stress come una risposta dell’organismo a vari stimoli esogeni ed endogeni e di aver descritto in modo sistematico tale risposta, quanto quella di aver inserito lo stress in una teoria generale dello sviluppo della malattia che ha fatto progredire notevolmente la ricerca biomedica degli ultimi trent’anni. Secondo Selye, lo stress è la risposta non specifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”, come tale, esso può essere prodotto da una gamma estremamente ampia ai stimoli denominati stressor (agenti stressanti) che producono essenzialmente la medesima risposta biologica, quali l’esposizione al caldo, al freddo o a gradi estremi di umidità, gli sforzi muscolari o l’attività sessuale, lo shock anafilattico o le stimolazioni emozionali (Cassidy, 2002). Questa definizione dello stress e la formulazione della sindrome generale di adattamento che è alla base del modello interpretativo generale della malattia somatica sono state in realtà raggiunte da Selye attraverso un lavoro teorico e di ricerca che ha coperto un intero arco di circa venti anni.

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Fig.1: Lo stress secondo Selye. «Lo stress è la risposta del corpo ad ogni richiesta operata su di esso».

L’inizio della concettualizzazione dello stress nella sua forma moderna risale al 1936, quando Selye, che stava ricercando un nuovo ormone sessuale, si accorse che gli animali da esperimento reagivano alla inoculazione di estratti non purificati di tessuti con una ipertrofia delle surrenali, una atrofia del timo e delle ghiandole linfatiche e con lo sviluppo di ulcere nella mucosa gastrica. Egli interpretò questo quadro come conseguenza di una reazione difensiva dell’organismo, dimostrò che essa si produceva per l’azione di una gamma assai vasta di agenti nocivi per l’organismo, e chiamò questa reazione sindrome generale di adattamento (General Adaptation Syndrome) (Selye, 1956).

La sindrome generale di adattamento si sviluppa attraverso tre fasi successive: la fase di allarme, in cui si manifestano essenzialmente modificazioni di carattere biochimico-ormonale; la fase di resistenza, nella quale l’organismo si organizza anatomo-funzionalmente in senso stabilmente difensivo; la fase di esaurimento, nella quale si verifica il crollo delle difese, e l’incapacità ad adattarsi ulteriormente agli stressor (Selye, 1956).

In ricerche successive effettuate da Selye stesso e da altri autori divenne evidente che la risposta umorale stereotipata prodotta da vari stimoli era in realtà una attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrene che si manifestava attraverso un aumento degli ormoni corticosurrenali circolanti.

 L’associazione del concetto di stress alla reazione endocrina stereotipata che caratterizza la reazione generale di adattamento avvenne tuttavia solo negli anni Cinquanta, dopo che in momenti successivi Selye aveva usato il concetto di stress a volte come stimolo e a volte come interazione tra stimolo e risposta.

Nella sua elaborazione finale, lo stress viene visto da Selye come una reazione adattativa e fisiologica aspecifica a qualunque richiesta di modificazione esercitata sull’organismo da una gamma assai ampia di stimoli eterogenei, ed espressa essenzialmente da variazioni di tipo endocrino (attivazione della corteccia e della midollare del surrene). In base a questa definizione, lo stress non è una condizione patologica dell’organismo, anche se può produrre patologia in opportune circostanze esso infatti è prodotto da situazioni di stimolo assolutamente fisiologiche (come un’attività sportiva o un rapporto sessuale) oltre che da stressor potenzialmente dannosi per l’organismo (esposizione a freddo o caldo intensi, introduzione di allergeni).  La reazione di stress è una reazione fisiologicamente utile in quanto adattativa essa può tuttavia divenire una condizione patogena se lo stressor agisce con particolare intensità e per periodi di tempo sufficientemente lunghi. Lo stress dunque è qualcosa che non deve e non può essere evitato, in quanto è l’essenza della vita stessa (Selye, 1971).

Questa concezione rappresenta in effetti l’ultima evoluzione del pensiero di Selye sullo stress: «La completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quanto si pensa di solito, noi non dobbiamo, e in realtà non possiamo, evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace, e trame vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi ed adattando la nostra filosofia dell’esistenza ad esso» ( Selye, 1951).

Il problema non sta nell’evento stressante, perché di eventi stressanti, nella nostra vita, ce ne saranno sempre, e non è pensabile di poterli eliminare a priori.

Un evento stressante produce lo stress cosiddetto acuto, che è benefico: la persona riceve una forte sollecitazione psicofisica che la mette in grado di poter intervenire e risolvere situazioni e problemi urgenti e tempestivi.  Ciò che è grave per la salute dell’essere umano è il trasformarsi dello stress da acuto in cronico. Quello che è interessante dello stress è la risposta aspecifica di tutto l’organismo, una condizione di alterazione che ad un certo punto nel tempo diventa cronica: un’alterazione che non è più reversibile, che non ritorna più allo stato normale, allo stato di baseline.  Lo stress cronico è qualcosa di diverso, è un’alterazione che ha poco a che vedere con lo stress acuto. Se noi riusciamo a capire come lo stress diventa cronico (cosa che le ricerche precedenti non erano ancora riuscite a fare in maniera soddisfacente e completa) noi saremo in possesso di una chiave generale di comprensione della salute della persona  (Favretto, 1999).

Il filtro funzionale è la maniera in cui l’individuo attraversa un evento stressante (uno stressor) con tutto il proprio organismo: vale a dire con lo stato delle sue emozioni, lo stato cognitivo, lo stato della funzione simbolica, il suo immaginativo; ma anche la sua respirazione, la condizione muscolare, la condizione posturale, la condizione fisiologica profonda, quella vegetativa e quella biologica del circuito ormonale e dei neurotrasmettitori. Attraverso tutto questo lo stressor può essere percepito come qualcosa di affrontabile oppure di non affrontabile, come un evento ordinario o drammatico. Gradualmente, esperienze negative precedenti possono aver alterato questo filtro, per cui eventi del tutto normali vengono vissuti come allarmanti, pericolosi, altamente stressanti. Tutto ciò fa permanere lo stato di stress più a lungo (e con ulteriori aggravamenti delle alterazioni del filtro Funzionale). E allora gli effetti degli eventi stressanti non si esauriscono ma permangono al di là dell’evento nell’organismo, il quale non è più in grado di ritornare allo stato primario di allentamento e benessere. Questo è lo stress cronico. All’organismo pervengono segnali di pericolo e allarme dal suo stesso interno (stimoli fantasma), come se ci fossero ancora pericoli e difficoltà reali all’esterno (Levi, 1988).

Oppure l’organismo stressato non riesce a gestire eventi stressanti anche lievi; e inoltre non è in grado più di comportarsi secondo quelle norme elementari che aiutano a conservare la salute, andando incontro a “malattie” di vario genere. La differenza tra l’evento stressante (detto stressor) e la condizione di stress cronico (che non è soltanto cognitiva, ne soltanto emotiva, ne  soltanto fisiologica) che è una condizione complessiva dell’intero organismo, a causa della quale eventi anche minimamente allarmanti (o addirittura normali) continuano a produrre effetti disastranti perché percepiti come fortemente stressanti. In questo risiede il vero senso della condizione di stress. Le patologie da stress sono soltanto le conseguenze di un lungo processo, di un ammalarsi dell’intero organismo. Le alterazioni Funzionali le ritroviamo infatti su tutti i piani, su tutti i livelli della persona anche prima che si sia manifestata la malattia vera e propria. Allora è fondamentale capire dove si àncora questo ammalarsi, questa alterazione Funzionale complessiva dell’organismo; e il tutto non si può ridurre alla limitata problematica di come affrontare e gestire lo stress, ma riguarda piuttosto l’intera persona e le condizioni generali in cui versa (Mainardi, 2003).

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