Espressioni facciali ed emozioni secondo Paul Ekman

di Roberto Desiderio

Espressioni facciali ed emozioni

Aldilà degli studi effettuati e delle teorie che si sono sviluppate attorno alle espressioni facciali, tutti sono concordi nel sostenere l’universalità della comunicazione espressiva delle emozioni: come afferma Frijda, <molte espressioni facciali sono presenti in tutto il mondo, in ogni razza e cultura umana>[1]. Queste conclusioni sono le stesse alle quali era giunto Darwin e, in tempi molto più recenti, Ekman e Oster, secondo i quali le espressioni di rabbia, disgusto, felicità, tristezza, sorpresa, dispiacere e paura sono universali. Un’ulteriore prova del carattere innato delle espressioni è dato dalla “presenza di queste ultime in soggetti che non hanno avuto la possibilità di apprenderle: i bambini molto piccoli, ciechi o sordomuti dalla nascita”. Certamente esistono differenze individuali costanti nella predisposizione a particolari emozioni, oltre che a differenze socioculturali, le quali possono spiegare le differenze nella frequenza delle manifestazioni di emozioni come rabbia o aggressività.

Studi transculturali sulle espressioni facciali

Nel 1969 Ekman, Sorenson e Friesen pubblicarono uno studio transculturale sul riconoscimento delle espressioni facciali. Da tremila fotografie, ne scelsero trenta che, a loro giudizio, mostravano soltanto espressioni pure di singole emozioni. Le fotografie rappresentavano le sei emozioni che Tomkins e altri ricercatori avevano proposto come primarie: felicità, sorpresa, paura, rabbia, disgusto e tristezza e furono mostrate a studenti negli Stati Uniti, in Brasile e in Giappone, e a volontari nella Nuova Guinea e in Borneo. I risultati mostrano un accordo elevato tra gli studenti di Stati Uniti, Brasile e Giappone (dal 60 al 90%), mentre per le due sociètà primitive l’accordo fu relativamente inferiore: la felicità fu giudicata in modo coerente (92%) in Borneo e Nuova Guinea, ma l’accordo percentuale per la rabbia era del 56%, per la tristezza del 55%, per la paura del 46%, per la sorpresa del 38% e per il disgusto del 31%. Sebbene i risultati fossero superiori ai giudizi casuali, fu evidente che i gruppi primitivi non giudicano le espressioni facciali nello stesso modo dei gruppi occidentalizzati. Questo fu sufficiente per permettere a Ekman e colleghi di concludere che i loro risultati<confermano l’ipotesi di Darwin che le espressioni facciali delle emozioni siano simili negli esseri umani, a prescindere dalla cultura, a causa delle loro origini evolutive>[2]. Questa generalizzazione “estrema” non impedì a Ekman di ricevere numerose critiche tra cui il numero delle fotografie utilizzate, il numero di giudici (soltanto quindici per il Borneo e quattordici in uno dei gruppi della Nuova Guinea) e, inoltre, si potrebbe argomentare che anche nelle società primitive è penetrata l’influenza occidentale attraverso il cinema.

Per affrontare quest’ultima critica, Ekman e Friesen pubblicarono una nuova ricerca condotta con  i membri del gruppo culturale di lingua Fore della Nuova Guinea sudorientale. Fino al 1960, questo popolo era una cultura isolata all’età della pietra, senza nessun contatto con il mondo occidentale. I giudici utilizzati per lo studio erano stati scelti perché non avevano mai visto un film, non parlavano e non capivano l’inglese e non avevano mai vissuto in città. A causa dell’analfabetismo e di altri problemi, il compito di giudizio venne semplificato: al giudice veniva letto un semplice racconto, poi gli venivano mostrate tre fotografie contemporaneamente di cui doveva scegliere quella in cui il volto della persona mostrava l’emozione descritta nella storia. Usando questa tecnica, Ekman trovò un accordo estremamente elevato per quasi tutte le espressioni emozionali: felicità 92%, rabbia 87%, tristezza 81%, disgusto 83%, sorpresa 68% e paura 64%.

Ekman e Friesen conclusero che <particolari espressioni facciali sono universalmente associate a particolari emozioni>[3], sottolineando che fattori culturali e apprendimento influenzano le espressioni emozionali in tre modi: creando differenze nelle emozioni che manifestano l’emozione, attraverso le consegunze di un’emozione, attraverso le regole che indicano quando mostrare o non mostrare una determinata espressione[4].

 


[1] Frijda (1990).

[2] Ekman (1969).

[3] Ekman (1971).

[4] Per approfondire ulteriormente l’argomento: Ekman P. e Friesen W.(1971).

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