Teorie interpretative delle emozioni

di Roberto Desiderio

Teorie interpretative delle emozioni

Secondo le teorie interpretative, l’emozione è composta di arousal più interpretazione cognitiva della situazione; questi processi cognitivi e i loro contenuti non hanno nulla di emotivo in sé, ma operano attraverso processi di etichettamento, giudizio e attribuzione casuale, con lo scopo di definire la qualità dell’esperienza emotiva.

Schachter e la teoria cognitivo-attivazionale

La teoria periferica di James e la teoria centrale di Cannon, pur essendo tra loro contrapposte, si sono rivelate entrambe vere, sottolineando aspetti unilaterali dell’esperienza emotiva, con particolare riferimento ai suoi aspetti neurofisiologici. Nonostante tutto, sono ambedue parziali, in quanto non sono riuscite a cogliere e a dominare la complessità delle emozioni; chi ha contribuito in modo efficace a introdurre una dimensione genuinamente psicologica nello studio sperimentale delle emozioni è stato Schachter con la teoria cognitivo-attivazionale. Secondo questa teoria, l’emozione è concepita come la risultante dell’interazione fra due componenti: uno di natura fisiologica con l’attivazione diffusa (cioè, emozionalmente non specifica) dell’organismo (arousal), mentre l’altra di natura psicologica con la percezione di questo stato di attivazione e la sua spiegazione in funzione ad un evento emotigeno plausibile. Secondo Schachter, affinché si generi un’emozione, occorre un’attribuzione casuale che stabilisca una connessione tra le due componenti, in modo da attribuire la propria attivazione corporea ad un evento emotigeno pertinente e da “etichettare” la propria esperienza emotiva in maniera adeguata. Pertanto <l’emozione è la risultante dell’arousal e di due atti cognitivi distinti: uno che riguarda la percezione e il riconoscimento della situazione emotigena, l’altro che stabilisce la connessione fra questo atto cognitivo e l’arousal stesso>.[1]

Alla base di queste concezioni ci stanno tre ipotesi:

1        quando siamo in uno stato di arousal fisiologico per il quale non c’è una spiegazione ovvia, questo verrà etichettato in base ad uno qualunque degli elementi cognitivi disponibili;

2        se siamo in uno stato di arousal fisiologico per il quale c’è una spiegazione ovvia, è poco probabile che si usino spiegazioni alternative per etichettarlo;

3        data una stessa condizione cognitiva, dovremmo comportarci emotivamente solo se c’è un’attivazione fisiologica e in proporzione ad essa.

Per verificare queste ipotesi, Schachter ideò un esperimento che studiava l’effetto di differenti informazioni (elemento cognitivo) su soggetti in condizione di arousal fisiologico indotto con un’iniezione di adrenalina, che stimolava reazioni autonome simpatico-mimetiche (aumento della pressione arteriosa, incremento della frequenza cardiaca e respiratoria). Si è poi proceduto alla manipolazione dello stato fisiologico, fornendo ad alcuni soggetti informazioni corrette, ad altri erronee, ad altri nessuna informazione. Successivamente ha avuto luogo la manipolazione cognitiva della situazione sperimentale, conducendo parte dei soggetti in un contesto di “euforia” o di “collera”. L’esperimento si concludeva con l’applicazione di un questionario di autovalutazione.[2] In base ai risultati ottenuti, Schachter e collaboratori hanno potuto confermare la loro ipotesi di partenza grazie alla maggior frequenza di risposte emotive coerenti con il contesto per i soggetti ai quali non era stata fornita nessuna spiegazione. Con questi esperimenti, Schachter ha potuto confermare che l’etichettamento degli stati di arousal e quindi l’emozione è frutto di un’operazione cognitiva, dando un contributo importante allo studio cognitivo delle emozioni.

Teoria di Mandler

Una teoria simile a quella di Schachter è stata proposta da Mandler.[3] Secondo questo autore, l’arousal è la percezione dell’attività del sistema nervoso simpatico, ma poiché questo stato è percepito in modo globale e indifferenziato, non può contribuire a definire la qualità delle emozioni o a renderle distinguibili l’una dall’altra; l’intensità dell’arousal è, piuttosto, in rapporto diretto con l’intensità dell’emozione provata. L’esperienza emotiva e i comportamenti che ne derivano sono, invece, il risultato di un’interazione fra l’attivazione del sistema nervoso autonomo e l’elaborazione cognitiva centrata sull’analisi del significato che gli eventi hanno in relazione alle aspettative della persona. Quest’analisi produce tre tipi di giudizi di valore per i quali Mandler individua tre distinte origini:

  • tendenze innate all’avvicinamento o alla fuga;
  • valutazioni positive e negative apprese per influenza culturale (non determinate dalle proprietà dell’oggetto);
  • una buona struttura relazionale interna all’evento o il suo carattere di “familiarità”.

Nella concezione di Mandler, l’esperienza emotiva si inscrive nei normali processi di confronto tra informazioni relative al verificarsi di un evento e schemi mentali preesistenti; se le due classi di dati risultano congruenti, le nuove informazioni vengono integrate nello schema tramite un processo di assimilazione, in caso contrario lo svolgersi dei normali processi cognitivi subisce un’interruzione, generando uno stato di attivazione del sistema nervoso autonomo. L’ampiezza dell’incongruenza determina l’intensità dell’emozione, mentre la sua qualità positiva o negativa dipende dall’analisi del significato dell’evento e dalla possibilità di assimilarlo ai vecchi schemi. Le informazioni non assimilabili generano emozioni negative e richiedono delle ristrutturazioni cognitive tramite processi di accomodamento. Due concetti, in particolare, risultano fondamentali nella teoria di Mandler: l’importanza che l’autore attribuisce al contesto sociale nello strutturare l’esperienza individuale e produrre quei valori che definiscono la qualità dell’emozione; e l’idea che l’esperienza emotiva non costituisca un processo inconscio, ma necessiti della consapevolezza, da parte dell’individuo, dei fattori che determinano il processo emotivo.[4]

 

 


[1] Anolli L. – Legrenzi P. (2001).

[2] Per un approfondimento sull’argomento: D’Urso V. – Trentin R. (1990).

[3] Mandler G. (1984).

[4] Per approfondire ulteriormente l’argomento: D’Urso V. – Trentin R. (1990).

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