Neurobiologia dell’aggressività: cosa accade nel cervello di una persona arrabbiata

di Roberto Desiderio

Componenti biologiche della rabbia

A livello neuro-anatomo-fisiologico la rabbia non può essere intesa come un singolo sistema isolato, ma si configura come un comportamento dalle mille sfaccettature. Uno dei fattori che la influenza può essere rintracciato nel livello di ormoni sessuali maschili (o androgeni), sui quali sono state condotte numerose ricerche. Animali soggetti ad iniezioni di testosterone risultano più aggressivi, soprattutto per quanto riguarda quelli ancora immaturi e, viceversa, la castrazione è in grado di ridurre la loro l’aggressività. Negli esseri umani, questa relazione è meno chiara, anche se alcuni hanno sostenuto una connessione tra i livelli di testosterone ed il comportamento aggressivo nei criminali violenti. In ogni caso la componente neurobiologica della rabbia risulta molto evidente.

L’amigdala e l’aggressività

Diverse ricerche mostrano prove riguardo al coinvolgimento dell’amigdala nel comportamento aggressivo. In un esperimento, Karl Pribraim[1] e colleghi dimostrarono che lesioni all’amigdala sembravano compromettere le relazioni sociali di una colonia di scimmie Rhesus maschio che, avendo vissuto insieme per qualche tempo, avevano stabilito una gerarchia sociale. Alla scimmia più dominante furono eseguite delle lesioni bilaterali nel cervello e, dopo ciò, diventò placida e meno difficile da sfidare per le altre scimmie, con la conseguenza che cadde in basso nella gerarchia sociale. Questo modello suggerisce che l’amigdala risulta importante per l’aggressività normalmente coinvolta nel mantenimento di una posizione nella gerarchia sociale; la sua stimolazione elettrica, quindi, può produrre uno stato di agitazione o aggressività affettiva.

L’ipotalamo e l’aggressività

Durante il XX secolo, alcune strutture cerebrali vicino all’amigdala hanno mostrato di avere effetti sull’aggressività. Una delle prime ad essere notate fu l’ipotalamo, sul quale sono stati condotti numerosi esperimenti. Stimolando porzioni leggermente diverse di esso, i ricercatori osservarono una quantità sorprendente di risposte diverse, che inducevano l’animale ad annusare, ansimare, mangiare o ad esprimere atteggiamenti comportamentali tipici della paura e della rabbia. Ciò è una conferma del fatto che l’ipotalamo è un importante componente del sistema normalmente coinvolto nell’espressione di queste emozioni.

La serotonina e l’aggressività

Numerosi studi indicano che il neurotrasmettitore[2] serotonina può essere coinvolto nell’aggressività. Studi su roditori isolati per quattro settimane in una piccola gabbia hanno dimostrato una maggiore tendenza all’aggressività con riduzione del tasso di riciclaggio[3] del neurotrasmettitore serotonina. Anche farmaci ad effetto inibitorio sull’ormone producono un aumento dell’aggressività e di attacchi dei topi verso i loro simili. Nei primati la relazione tra serotonina e aggressività è simile; la dominanza gerarchica in una colonia di scimmie poteva essere manipolata dall’iniezione negli animali di una droga che aumentava o diminuiva l’attività serotoninergica. I cambiamenti nel loro comportamento erano coerenti, ad una maggiore aggressività era associata una minore attività serotoninergica.

 

 


[1] Pribraim K. (1954)

[2] vedi cap. 4.

[3] Il tasso di riciclaggio corrisponde al tasso di sintesi, rilascio e successiva ri-sintesi del neurotrasmettitore.

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