Elton Mayo e l’Effetto Hawthorne: il significato delle risorse umane

di Antonella Matichecchia

A partire dagli esperimenti di Elton Mayo cominciò la considerazione della natura sociale e relazionale dell‘individuo e l‘osservazione della rilevanza delle motivazioni e del bisogno di sicurezza insito in ognuno trasformerà l‘azienda da apparato esclusivamente tecnico in un sotto-sistema sociale più flessibile ed equilibrato. Nel 1924 presso le Officine Hawthorne dello stabilimento della Western Electric Company situate in un sobborgo di Chicago fu avviato un programma di ricerche sperimentali sul grado di connessione esistente tra illuminazione e rendimento. Dopo una serie di rilevazioni fatte basandosi sul livello di produttività raggiunto in diverse condizioni d‘illuminazione, i risultati si rivelarono inaspettati e il rapporto tra le due variabili (produttività e illuminazione) si mostrò così anomalo ed irregolare da far pensare all‘esistenza di una variabile interveniente, il cosiddetto ―fattore umano, ovvero il complesso dei fattori psicologici latenti che condiziona il comportamento manifesto dei soggetti. La dimostrazione dell‘esistenza del fattore umano si ebbe nella rilevazione di un effetto particolare che fu poi denominato “effetto Hawthorne”.

Questo fenomeno consisteva nel comportamento che i lavoratori, consci di essere soggetti ad osservazione, mettevano in atto. Il comportamento comportava un miglioramento delle prestazioni lavorative e di conseguenza un aumento della produttività; quindi presumibilmente le trasformazioni positive rilevate non sarebbero derivate tanto dagli effettivi miglioramenti delle condizioni lavorative, bensì dagli esperimenti stessi. Mayo pose quindi l‘attenzione, a differenza di Taylor, non solo sulla retribuzione, ma sull‘intero contesto lavorativo, nonostante si percepisca l‘importanza di perseguire l‘obiettivo della massima produttività, si comprende anche la necessità di orientarsi al raggiungimento di questo scopo attraverso mezzi diversi rispetto a quelli proposti dal taylorismo. La lezione più importante di Mayo è quella nella quale egli ha dimostrato che la base della soddisfazione nel lavoro è di natura non economica e di averla collegata più all’interesse per la performance del lavoratore che alla ricompensa finanziaria. In tal senso, viene capovolta la prospettiva tayloristica, che basava i suoi assunti sugli incentivi economici: i lavoratori respingono il taylorismo perché, malgrado i suoi contributi all’efficienza, fondamentalmente è un sistema imposto e non tiene conto del parere dei lavoratori.

L’èquipe di ricercatori di Mayo trascorreva parecchio tempo con i gruppi di lavoro, ognuno dei quali era formato da sei donne, discutendo delle modifiche prima che queste venissero apportate (fra cui riduzione dell’orario di lavoro, varie pause, nonché una serie di incentivi). Tutte le volte che subentrava un cambiamento, si registrava un cambiamento, si registrava un aumento di produttività. Tuttavia, quando fu chiesto ai gruppi di ritornare alle condizioni di lavoro iniziali, cioè quarantotto ore di lavoro la settimana senza incentivi né pause, la produttività aumentò di nuovo. Inoltre, in generale, vi fu una diminuzione dell’assenteismo dell’ 80%.

L’unica spiegazione, concluse Mayo, era che i dipendenti si sentivano molto più soddisfatti del lavoro perché avevano la sensazione di essere individui e non ingranaggi di una macchina e perché grazie alla comunicazione con i ricercatori, i lavoratori si sentivano maggiormente investiti della responsabilità della propria performance e di quella dell’intero gruppo. Ai fini della performance, la sensazione di coesione e la stima di sé erano più importanti di qualsiasi miglioramento nell’ambiente di lavoro.

L‘uomo è motivato da bisogni di natura sociale, ed ottiene dal rapporto con gli altri il suo senso di identità personale. In conseguenza alla rivoluzione industriale e alla razionalizzazione del lavoro, il lavoro stesso appare privo di significato; questo è da ricercare nei rapporti sociali che si formano sul lavoro; il lavoratore è più influenzato dalla forza sociale del suo gruppo che non dagli incentivi. Il lavoratore risponde alla direzione nella misura in cui il suo superiore sa rispettare I suoi bisogni sociali e soddisfare il suo bisogno di essere accettato. La conclusione di Mayo è la seguente: ―se il dipendente può aspettarsi dalla partecipazione alla vita dell‘azienda la soddisfazione di alcuni suoi bisogni emotivi, può sentirsi anche moralmente partecipe e impegnato nello sforzo aziendale”. Da parte sua l‘azienda può aspettarsi un grado maggiore di lealtà, di impegno e di identificazione con gli scopi organizzativi. Al contrario, se la Direzione crea una situazione in cui i dipendenti si sentono frustrati ne consegue che essi si costituiranno in gruppi in cui ―le norme di condotta saranno in opposizione con gli scopi aziendali.‖

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