Devianza in sociologia: definizione

di Giorgia Silvestri

 

La devianza è un comportamento che si allontana in modo più o meno pronunciato dai modelli sociali dominanti. Questo concetto è normativo, perché si riferisce non a una caratteristica intrinseca al comportamento, ma ad un giudizio etico espresso su di esso, e relativo, poiché varia con il variare del gruppo di riferimento e del periodo storico preso in esame (Galimberti, 2006).

Dai primi studi sulla devianza, intrapresi dalla Scuola di Chicago, mirati all’individuazione dei fattori ambientali che favoriscono il comportamento deviante, si sono succedute diverse interpretazioni: le principali sono la devianza come espressione della dissociazione fra i modelli culturali del sistema sociale e i mezzi previsti per raggiungerli (scuola struttural-funzionalista), e quella di Emile Durkheim, che spiegò che un atto è criminale “perché urta la coscienza comune” e non viceversa: non è quindi il reato che definisce la sanzione, ma è la sanzione che stabilisce cos’è reato. (Durkheim, 1983).

Un’azione, per esser definita deviante, non può quindi essere slegata dal contesto storico, politico e sociale e dalla situazione, ad eccezione di alcuni universali culturali,  come ad esempio l’incesto, il furto o l’omicidio.

Le cause della devianza sono esaminate principalmente da quattro teorie sociologiche: la Teoria dell’Etichettamento, la Teoria del Controllo, la Teoria dell’Anomia e la Teoria dell’Associazione Differenziale (Merton, 1942).

La teoria dell’Etichettamento sostiene che la comprensione dell’atto deviante deve tenere in considerazione la relazione tra coloro che infrangono le norme e coloro che le applicano: è l’occhio dell’osservatore che deve definirla.

Piuttosto che focalizzarsi sulla causa della devianza, la Teoria del Controllo si concentra sul motivo per cui la devianza non sia più messa in atto in maniera spropositata. La società ha leggi e costumi sociali che, secondo la teoria, porta molte persone a comportarsi normalmente. L’attaccamento, l’impegno, il coinvolgimento e le credenze sono tutte identificate come esempi differenti di forze trainanti dietro i legami sociali. In una comunità, una persona deve avere una reputazione, deve essere legata ad altre persone, conformarsi a molte delle regole sociali e restituirle a quella comunità. Quando una persona è coinvolta nella sua comunità, fare dei danni, essendo deviante, causerebbe inoltre, danni a quella persona stessa.

La Teoria dello Sforzo Strutturale o dell’Anomia stabilisce che la devianza deriva dalla struttura sociale: quelli che non comprendono o non sono d’accordo con le regole della struttura sociale, sono disorientati dalla mancanza di un posto nella società. La devianza è il loro modo di creare un ruolo sociale per se stessi. Invece, l’approvazione sociale, secondo la teoria, indica che dei valori sono stati condivisi.

Infine, la Teoria dell’Associazione Differenziale (o della trasmissione culturale) sostiene che tutte le persone sono devianti, il che rende la loro progenie deviante attraverso il comportamento appreso. L’equilibrio delle buone e delle cattive influenze nella vita di colui che apprende, in combinazione alla sua età e al tipo di relazione con un’influenza deviante, influenzano il grado di devianza.

Oltre alle quattro principali, appena esaminate, altre teorie, come quella della Subcultura, individuano invece nelle norme e nei valori della comunità criminale nella quale è cresciuto il soggetto deviante, le cause primarie della devianza.

Le spiegazioni biologiche fanno risalire i comportamenti devianti alle caratteristiche fisiche e biologiche dei soggetti criminali.

Secondo la teoria del controllo sociale invece, un individuo non commette atti criminali solo se in presenza di un forte controllo sociale esterno o interno.

Dall’analisi di queste teorie, emerge come la devianza sia un concetto complesso, che interessa sia la sfera personale che sociale degli individui, influenzando negativamente anche la comunità in cui si è inseriti, non solo in ambito lavorativo.

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