Come intervenire in caso di abuso e maltrattamento infantile

di Marijana Milotic

Oggi sappiamo anche, alla luce della ricerca, che le condizioni di cattivo trattamento nell’infanzia sono drammaticamente frequenti e prendono una molteplicità di forme.

Ci sono una serie di ricerche con cui si individua un range, un arco, anche perché è difficile compiere ricerche sull’abuso all’infanzia, non si possono porre domande dirette ai minorenni, ci saranno altri modi per scoprirlo. Queste ricerche dicono che dal 14% al 64% della popolazione femminile ha subito un abuso e dal 3% al 29% per la popolazione maschile; il che vuol dire che l’abuso è molto diffuso e le vittime sono soprattutto donne. Qualcuno sostiene che il 20% dei minori ha subito una forma di abuso, un bambino su cinque; ovviamente bisogna cercare di capire che tipo di abuso è, quando è avvenuto, perché a seconda dell’età bisogna valutare il consenso, una serie di studi da compiere.

Quando ci occupiamo di queste persone che hanno subito, una delle cose che si nota di più è quella chiamata “confusione dei linguaggi”, perché chi ha subito un abuso, soprattutto familiare, non sa di aver subito un abuso; la confusione dei linguaggi consente all’abusante, che quasi sempre è il padre, di utilizzare il linguaggio della tenerezza per fare violenza. Poi ci vorranno un bel po’ di anni prima che il bambino si renda conto di aver subito una violenza e quando se ne rende conto iniziano i problemi.

Effetti rispetto all’età nell’abuso infantile: più giovane è l’età in cui si scopre l’abuso, peggiori ed insopportabili sono le conseguenze che ne derivano. Se lo scoprono altri, nella vittima rimane il dubbio della complicità. Tutti gli studi clinici che sono stati fatti sulle vittime di abuso hanno accertato una cosa interessante: se lo svelamento, l’autoconsapevolezza dell’abuso, è spontaneo, si supera meglio; l’elaborazione di quello che è successo è più facile.

I dati forniti dal Consiglio d’Europa riferiscono che i casi denunciati costituiscono dal 5% al 15% dei casi effettivi: il fenomeno è soprattutto sommerso. Nel 94% dei casi le denunce di abuso sessuale fatte dai bambini sono state confermate dalle indagini successive e solo nel 6% dei casi il minore non è attendibile, quindi bisogna smetterla di mettere in dubbio l’attendibilità del minore. A questo proposito per gli psicologi diventa assolutamente importante l’ascolto del minore. Il problema non è ciò che dice, è come lo ascoltiamo. Se siamo in grado di ascoltarlo, probabilmente, lo renderemo più attendibile. Di fronte a episodi di abuso all’infanzia, nelle sue varie forme, è fondato adottare un concetto di “cronicità presunta”. Sovente quanto viene alla luce e cade nel raggio di attenzione dei servizi non è che la punta dell’iceberg di quanto è avvenuto.

A questo proposito preoccupano i risultati di un’interessante ricerca (Britner,Mossler, 2002) che ha confrontato le considerazioni espresse da quattro diversi gruppi di professionisti (giudici minorili, avvocati, assistenti sociali, psicologi) riguardo all’opportunità di procedere a un allontanamento del bambino dalla famiglia e ai motivi correlati in due casi esemplificativi forniti dagli intervistatori. Dai risultati si evince che mentre i giudici ricercano gli elementi (improbabili) di prova piena prima di procedere, assistenti sociali e psicologi si pronunciano a favore della protezione del bambino in presenza oltre che della gravità dell’abuso, di componenti come la recidiva e l’incapacità di giovarsi dei supporti erogati. In sintesi, gli interventi incisivi sono riservati ai casi già cronici, con ovvia caduta dell’efficacia: infatti,i bambini hanno già subito danni ingenti.

Sarebbe opportuna una formazione in proposito degli operatori psicosociali,che promuova un più corretto e tempestivo riconoscimento dei fattori di rischio e una precoce e approfondita valutazione dei danni psicologici presenti nel bambino. Per quanto sia corretto porsi il problema di investimenti sufficienti nella prevenzione,tuttavia va preso atto che le esperienze traumatiche o comunque danneggianti l’assetto psichico del bambino non sono e non saranno mai completamente prevenibili.
Il “buon trattamento”: un’alternativa multiforme al maltrattamento infantile ultimi tempi che nel campo della prevenzione. Quindi, alcuni dei punti di attenzione sotto menzionati possono essere già oggetto di programmi in corso, che costituiscono “buone prassi” da generalizzare.

Va ricordato che l’intervento tempestivo di valutazione e cura in materia di abuso e maltrattamento all’infanzia è raccomandato per tutti i bambini vittime di abuso dall’American Academy of Pediatrics (1999). Esso ha anche un sicuro valore preventivo sulla patologia adulta: le statistiche dimostrano che il 50% delle giovani tossicodipendenti e un terzo delle pazienti psichiatriche ambulatoriali è una ex vittima di abuso sessuale non trattata; possiamo da qui facilmente inferire quanto peso specifico sulla patologia adulta possa essere attribuito al complesso di tutte le forme di abuso nell’infanzia. È indiscutibile che la migliore “esperienza correttiva” per un minore sia quella di poter sperimentare il risanamento del proprio ambito originario di vita e di relazioni.

In tal senso devono essere attivate le competenze specialistiche di valutazione e cura, estese alle possibili risorse familiari, più sopra richiamate. Nel caso,invece,in cui il risanamento della famiglia maltrattante/abusante non si riveli possibile, sarà necessario pensare a convenienti esperienze sostitutive. Che qualità devono avere queste ultime? Ripristinare il sentimento di appartenenza in soggetti tanto provati non è facile ed è noto che in queste delicate situazioni in cui sono in questione i legami tra esseri umani, le variabili in gioco sono molte e in gran parte connesse alle qualità personali dei soggetti in gioco. Tuttavia è anche vero che è certo più credibile che la nuova realtà di vita risulti correttiva della precedente,con la stessa forza d’impatto, se le relazioni in essa garantite sono stabili,personali, intime come può avvenire in una famiglia sostitutiva, affidataria o adottiva.

Essa, se si trova a misurarsi con il compito di dare nuova e positiva appartenenza a chi, maltrattato e abusato, comprensibilmente si attende solo la riedizione di ciò che ha imparato a considerare normale, si configura come una risorsa sempre più “di frontiera”, fortemente caratterizzata da specifiche istanze terapeutiche che si traducono nel vigore e nella consapevolezza con cui verrà trasmesso alla piccola vittima il diverso sistema di significati presente nel nuovo ambito per spostare con la “moneta buona” di una nuova vita quotidiana la precedente “moneta cattiva”.

L’abuso e il maltrattamento infantile provocano effetti pericolosi per la salute del bambino, contatta uno psicologo per capirne di più.

Finora tale problematica non pare aver trovato considerazione precisa nell’ideazione di supporti adeguati e specializzati sia nella formazione delle future famiglie adottive sia nell’accompagnamento per un tempo congruo quando l’adozione di questi soggetti deformati dall’abuso è già in atto.

È auspicabile, quindi, colmare ambedue le lacune assumendo un’attiva funzione di stimolo in tal senso, in collegamento con le istituzioni e valorizzando l’insostituibile apporto delle associazioni familiari e del privato sociale competenti in materia (Malacrea, 2004).

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