EMDR efficace per la soluzione del trauma

Perché è utile l’EMDR

Usare l’EMDR è efficace per la risoluzione del trauma

Marijana Milotic

L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR – desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è un metodo clinico diffuso recentemente (1989), applicato in diversi contesti a partire dal trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) , sino ad estendersi a diversi disturbi psicopatologici ed attualmente nei differenti Paesi del mondo le persone che hanno effettuato un training organizzato dall’EMDR Institute sono circa 30.000.

Francine Shapiro è la fautrice della tecnica (1987) che prevede un protocollo specifico sviluppato in otto fasi di ricordo delle esperienze negative, perseguendo l’obiettivo primario di desensibilizzare il paziente al ricordo traumatico “distraendolo” nel contempo ( rielaborazione adattiva del ricordo) attraverso dei movimenti oculari ritmici o attraverso una stimolazione sonora o con tamburellamento delle dita. L’EMDR, nonostante la sua complessità, risulta essere un approccio ben strutturato, in quanto va a considerare la totalità degli aspetti di un’esperienza traumatica, a partire da quelli cognitivi sino ad arrivare a quelli emotivi, comportamentali e neurofisiologici. Infatti l’utilizzo dei movimenti oculari e di stimolazione alternata consente di migliorare la comunicazione tra gli emisferi cerebrali e l’elaborazione dell’informazione.

Tale approccio considera la patologia come la risultante di un immagazzinamento disfunzionale dell’informazione: nel momento in cui si presenta un evento traumatico, l’elaborazione dell’informazione viene intaccata dal disturbo indotto nell’equilibrio eccitatorio/inibitorio che è necessario all’elaborazione dell’informazione stessa.

Pertanto la forma ansiogena originale dell’informazione viene “congelata” diventando così impossibile da elaborare e continuando a provocare patologie quali ad esempio il PTSD. Proprio per questo motivo l’utilizzo di movimenti oculari ritmici usati con l’immagine traumatica e con il disagio emotivo vanno a facilitare la rielaborazione dell’informazione sino ad arrivare ad una risoluzione dei condizionamenti emotivi, in quanto l’esperienza ha finalmente la possibilità di essere integrata dalla persona in uno schema cognitivo – emotivo positivo,attraverso una desensibilizzazione nei confronti dei ricordi traumatici e una ristrutturazione cognitiva, con conseguente riduzione dei sintomi presenti nella persona (ansia, stress emotivo, incubi). Le esperienze traumatiche che l’EMDR cerca di neutralizzare possono essere di varia natura, come ad esempio traumi subiti nell’età evolutiva, eventi stressanti comuni all’esperienza umana (lutti, divorzi, cambiamenti) o al di fuori dell’esperienza umana consueta (incidenti gravi, terremoti, violenze). Per quanto riguarda le esperienze traumatiche subite in età infantile, quest’ ultime vengono solitamente sottovalutate diventando in realtà una fonte importante di disagio, laddove possiamo considerare “trauma” (aldilà delle diverse definizioni presenti in letteratura) qualsiasi esperienza in cui il bambino sperimenta sentimenti di paura, dolore, oppressione o impotenza.

Infatti i bambini , fidandosi molto delle figure primarie, invece di attribuire la colpa ai problemi dell’adulto, tendono ad attribuire la colpa in maniera auto diretta nel momento in cui l’adulto mette in atto degli agiti verbali o comportamentali sbagliati. Parimenti, i bambini sperimentano sentimenti quali rabbia , colpa , tristezza e mancanza, quando sono esposti ad eventi gravi come quelli del lutto, della malattia o di una violenza.

Pertanto è importante l’intervento terapeutico, che sia di breve o media durata, al duplice fine di risolvere il problema emotivo – cognitivo post traumatico e di prevenire difficoltà future. Così come evidentemente evincibile da quanto sinora riportato, l’EMDR nasce come terapia elettiva del PTSD, fondando pertanto il proprio protocollo d’intervento su questa tipologia di disturbo.

Le procedure di intervento riservate ad altre patologie risultano essere quindi degli adattamenti del protocollo originale, tenendo comunque presente che il trauma è un elemento trasversale a diverse psicopatologie (Bremner, Vermetten, Krystal, Southwich, Charney, 1998; Briere, 1997). La procedura di intervento, così come accennato precedentemente, è costituita da 8 fasi “specifiche”, in cui è possibile rintracciare elementi specifici quali i movimenti oculari e gli interventi di stimolazione adeguata, elementi “non specifici”, come quelli psicoeducazionali ed infine elementi derivanti da altre correnti di ricerca , come ad esempio la ristrutturazione, l’esposizione graduale e l’assecondamento delle libere associazioni.

Elemento comune ad ogni intervento valido, la procedura prevede la raccolta dell’anamnesi del paziente nella fase iniziale, con la conseguente valutazione di opportunità di intervento e delle condizioni necessarie ad evitare la “ritraumatizzazione” del paziente o il drop out.

Inoltre per calibrare la modalità di intervento si ritiene indispensabile valutare la difficoltà di accesso ai ricordi, come ad esempio la dissociazione, l’evitamento e la razionalizzazione.
Durante la fase di desensibilizzazione invece viene applicata una stimolazione alternata che risulti adeguata al paziente, mentre accede al ricordo traumatico; in questa fase bisogna includere ogni tipologia di risposta che la persona esprime verso l’intervento, come ad esempio la presa di coscienza,le associazioni verso altri ricordi o la modificazione delle convinzioni. In questa delicatissima fase il terapeuta deve dare avvio ad una stimolazione atta a rielaborare spontaneamente il trauma, evitando di intervenire se non laddove l’intervento stesso risulti strettamente necessario ed evitando sia le interpretazioni che i commenti. Per “strettamente necessario” si intendono le situazioni in cui:
– il paziente è in difficoltà durante il processo di rielaborazione;
– il paziente è “invaso” dalle emozioni;
– il paziente non ha le risorse emotive e cognitive per far fronte al problema;
– se si rende necessario il ricorrere ad un modello “integrativo” e “ripartivo” nel caso di esperienze di vita assenti, come ad esempio l’abuso fisico, sessuale o psicologico (Giannantonio, 2000, Leeds, 1998).

Quando il terapeuta ha l’impressione che il paziente abbia terminato uno step di rielaborazione o se non riesce a procedere, è necessario che si fermi e inviti il paziente ad esprimere in forma verbale l’assetto di vissuti emotivi e cognitivi che stanno avvenendo dentro di lui.

E’ idoneo agevolare la ristrutturazione cognitiva delle cognizioni disfunzionali solo quando il coinvolgimento emotivo è stato ridotto o eliminato.
Nella fase di ristrutturazione cognitiva, si utilizza la “cognizione positiva”, ossia l’espressione di ciò che il paziente desidererebbe riuscire a pensare su di sé nel momento in cui ha accesso al trauma (es . “Non è stata colpa mia”, “Ora sono al sicuro”, “Non accadrà nuovamente” ecc.). Il materiale mnestico originario viene integrato con nuove informazioni prima inaccessibili , attraverso l’utilizzo della stimolazione alternata (Lipke,2000).E’ necessario inoltre ripetere o modificare la ristrutturazione cognitiva, se questa non risulta completa. Terminata la seduta, si invita il paziente ad orientare la propria attenzione al proprio “luogo sicuro” (Giannantonio, 2001) in modo da interrompere la fase di elaborazione del trauma, a monitarsi nell’arco temporale che separa una seduta dalla successiva e a riferire poi al terapeuta eventuali emersioni di elementi connessi al trauma stesso ( emozioni, ricordi, pensieri). Inoltre all’inizio di ogni seduta EMDR si ritiene utile effettuare nuovamente l’assessment cognitivo ed emotivo , per individuare al meglio il focus di intervento. La completezza e la complessità del metodo EMDR è evincibile anche dalla possibilità, prevista dal protocollo, di rielaborare eventi traumatici passati, ma anche di affrontare e intervenire nelle situazioni conflittuali attuali che possano rafforzare gli stessi eventi traumatici rielaborati.

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