Comunicazione verbale e non verbale

Comunicazione verbale, paraverbale e non verbale

Scopri i segreti della comunicazione verbale e non verbale

Valeria Bafera

download (1)Due individui possono stare in silenzio eppure questo non basta per interrompere la comunicazione tra loro: “Non si può non comunicare!” (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1971).

Alla luce di quanto detto sopra, cercheremo adesso di capire cosa s’intende per comunicazione non verbale, analizzandola con quella verbale, più comunemente conosciuta.

Cos’è, dunque, la comunicazione non verbale (CNV)? Potremmo definirla una vera e propria lingua che tutti parlano col proprio corpo ma che solo pochi riescono ad “ascoltare con gli occhi”. Il termine “comunicazione non verbale” potrebbe tra l’altro apparire fuorviante, come negazione della comunicazione verbale e non a caso molti studiosi come Argyle (1975) hanno adottato il termine “Bodily communication” (Linguaggio del Corpo) che sicuramente rende meglio l’idea, ciò nondimeno senza alcun limite. Potrebbe, infatti, apparire un termine ingannevole, in quanto spesso se ne limita l’uso al solo movimento del corpo (ciò che più avanti spiegheremo come cinesica).

In realtà, esso dovrebbe includere non solo le posizioni del corpo, i gesti, le espressioni del viso, ma anche le inflessioni della voce, la sequenza del ritmo, la cadenza delle parole (elementi noti sotto il nome di “paraverbale”); insomma, qualsiasi espressione non verbale di cui il nostro organismo sia capace e immancabilmente presente in ogni contesto d’interazione (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1971).

È indubbio che, dal punto di vista comunicativo, l’acquisizione del linguaggio verbale rappresenti la caratteristica che differenzia l’essere umano nel cammino onto-filogenetico: gli altri mammiferi, anche i più evoluti, interagiscono e comunicano tra loro esclusivamente con il comportamento, attraverso segnali non verbali di tipo puramente analogico, e lo stesso avviene anche per l’uomo nei primi mesi di vita (Cheli, 2004). D’altra parte, come spiegheremo meglio nel paragrafo successivo, le origini della CNV derivano da comportamenti adattivi funzionali alla vita evolutiva dell’uomo (Darwin, 1872).

Sarebbe tuttavia un errore ritenere che la capacità di comunicazione non verbale nell’essere umano sia decaduta col passare del tempo; anzi essa aumenta da potersi ritenere superiore, per potenzialità espressiva e capacità comunicativa, a quella di qualunque altro animale. Il linguaggio verbale rappresenta piuttosto una capacità comunicativa in più che integra e non sostituisce i comportamenti non verbali. Proviamo a pensare come sarebbe l’uomo se si esprimesse soltanto con il linguaggio verbale, assomiglierebbe a una macchina, mentre attraverso l’ausilio di un linguaggio non verbale non solo contribuirebbe alla produzione semantica dei processi comunicativi, ma sarebbe in grado di esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti.

La comunicazione non verbale, oggi chiamata anche comunicazione extralinguistica, rientra fra gli ambiti più indagati della ricerca psicologica, fra quelli più interessanti ma al tempo stesso “invisibile” ai tentativi di sistematizzazione scientifica (Cozzolino, 2007); a dispetto del diffuso interesse, essa continua ad essere percepita come completamento della più nobile dimensione verbale.

Nella psicologia tradizionale la scoperta dell’importanza degli aspetti non verbali nella comunicazione ha coinciso con l’ipotesi di una distinzione dicotomica fra ciò che è linguistico e ciò che è extralinguistico (Anolli, 2006); contrapposizione enfatizzata dalla diatriba di alcuni studiosi sul peso relativo da attribuire al verbale e al non verbale nella determinazione dell’atto comunicativo.

All’interno di questa prospettiva, le differenze tra i due sistemi comunicativi sono state analizzate soprattutto relativamente all’asse digitale vs analogico. Il sistema linguistico è considerato digitale perché fondato sui fonemi che si distinguono e si oppongono (si può cambiare un solo fonema per modificare il significato, per esempio “casa”/”cosa”); la componente non verbale ha invece un valore analogico dato dalla connessione tra ciò che si intende esprimere e la forma stessa della comunicazione (Toni, 2011). Se vediamo una persona imbronciata, con la fronte corrugata, l’espressione del suo volto ci comunica immediatamente il suo stato d’animo, poiché c’è una connessione diretta tra ciò che viene mostrato con quello che c’è dentro, ovvero ciò che la persona ci vuol comunicare. Così, mentre con il linguaggio verbale è più facile mentire, con quello non verbale risulta più difficile, proprio perché esso scaturisce direttamente dalla nostra parte interiore (un argomento che approfondiremo meglio nel capitolo successivo).

Alla luce di quanto detto, sembrerebbe logico aspettarsi che il modulo digitale sia più adatto a veicolare il contenuto semantico di una parola, mentre quello analogico sia più idoneo a veicolare la definizione della relazione (Bonfiglio, 2008). Eppure, se il primo presenta una sintassi logica, manca di una semantica adeguata nel settore della relazione; mentre se il secondo si caratterizza per la semantica, è incapace di segnalare concetti astratti e manca di una sintassi che definisca in modo non ambiguo la natura della relazione.

Il modulo analogico, per esempio, non mi aiuta a capire se le mie sono lacrime di dolore o di gioia; se queste fossero, invece, accompagnate dalla frase “sono felice” potremmo intuire delle lacrime di gioia. Bisognerebbe, dunque, capire quanto le dimensioni verbali e non verbali appaiono intricate e inestricabili: i dati della pragmatica non sono soltanto le parole, le configurazioni e i loro significati (che sono i dati della sintassi e della semantica) ma anche i fatti non verbali concomitanti come pure il linguaggio del corpo.5

Recentemente è stata elaborata una seconda impostazione inerente la comunicazione e antitetica alla prima sopra analizzata: essa, infatti, prevede un processo di integrazione e interdipendenza semantica tra i due sistemi comunicativi. Ognuno di essi è certamente dotato di una relativa autonomia poiché genera in modo specifico il profilo finale del significato (ciò che è comunicato con gli occhi è diverso da ciò che viene comunicato con le parole o con i gesti o con il tono della voce), eppure i contributi provenienti da entrambi i sistemi sono assemblati in modo sincronico nella produzione del messaggio comunicativo, creando una sorta di interdipendenza semantica (Anolli, 2006).

Dunque, l’attività o l’inattività della comunicazione, le parole o il silenzio, hanno un significato che influenza gli altri i quali rispondono a queste comunicazioni, comunicando di conseguenza anche loro. Un esempio potrà fornire un sussidio per la comprensione di quanto finora detto: pensiamo a un passeggero d’aereo che siede con gli occhi chiusi e magari le braccia conserte: sta comunicando! Ci comunica che non ha voglia di parlare e chi le sta accanto afferra il messaggio rispondendo senza infastidirlo o rivolgergli la parola.

Molti studi sono stati condotti sugli aspetti non verbali della comunicazione, in cui è stato evidenziato come sia possibile comunicare con lo sguardo, la postura, il tono della voce. Mehrabian, psicologo statunitense, nel 1972 condusse uno studio tutt’oggi valido, attraverso cui ha potuto appurare che in un’interazione verbale quotidiana l’incidenza totale del messaggio è per il 93% di tipo non verbale, a dispetto del restante 7% di tipo verbale (Mehrabian, 1972).

Nello specifico tra gli aspetti non verbali che influenzano l’interazione, il 38% è attribuibile all’aspetto paraverbale (la voce: volume, tono, ritmo) e il 55% ai movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali).

Birdwhistell (1970) ha fatto analoghe valutazioni circa la quantità di comunicazione non verbale in uso tra gli esseri umani, calcolando che una persona normale comunica con l’uso di sole parole non più di dieci/quindici minuti al giorno e che più del 65% della comunicazione avviene in modo non verbale. Per cui, è ormai accettata la convinzione che vede le due componenti parte di uno stesso processo comunicativo.

Affinché la comunicazione risulti efficace occorre che sia i segnali verbali che quelli non verbali siano coerenti l’uno rispetto all’altro, altrimenti ciò che viene detto non risulta credibile (Forgas, 1989). Inoltre se il linguaggio verbale presenta segni di arbitrarietà che vengono manipolati secondo la sintassi logica della lingua (un insieme di segni tenuto assieme da un accordo sociale), il linguaggio non verbale presenta caratteristiche di arbitrarietà leggermente ridotte, nel senso che esiste un rapporto di analogia tra i gesti e il loro significato che non deriva dalle abitudini sociali (Cheli, 2004). Proprio quest’aspetto lo rende una continuità: il primo assioma della comunicazione formulato da Watzlawick (1971) asserisce che “non si può non comunicare” e fa riferimento proprio al continuo manifestarsi della comunicazione non verbale. È, infatti, impossibile sospendere l’atto comunicativo a livello non verbale, anche quando il parlato si interrompe la comunicazione non verbale è attiva; anzi spesso è proprio il silenzio uno dei momenti più comunicativi.

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