Psicoterapia per lo stalking: trattamento e possibili cure

Psicoterapia nel trattamento del reato di stalking

 E’ possibile curare lo stalking?

I comportamenti di stalking sono definiti di Meloy & Gothard (1995, p.258) come “comportamenti intenzionali, dannosi e ripetuti di inseguimento e molestia che minacciano la sicurezza di un’altra persona”. L’Osservatorio Nazionale sullo stalking stima che il 10% degli omicidi sia preceduto da atti di stalking.

Secondo una fonte Istat (2007) sono circa 6.700.000 le donne che hanno subito violenza fisica e sessuale, tra queste, 2.077.000 hanno subito stalking. Lo stalking è dunque fenomeno diffusissimo considerata l’entità delle stime.

Il ruolo dello psicoterapeuta in relazione allo stalking può riferirsi principalmente  a tre aspetti:

–                           il trattamento dello stalker;

–                           il trattamento della vittima di stalking;

–                           può essere esso stesso vittima di stalking.

Il sospetto clinico che il paziente possa essere vittima di stalking nasce quando il paziente inizia a fare riferimento a comportamenti ripetitivi, intrusivi messi in atto da una terza persona. Tali comportamenti possono essere inviti ripetuti, esasperanti, che possono arrivare fino alla molestia cronica, chiamate telefoniche, lettere, visite che possono mettere a repentaglio la salute della vittima.

Lo psicoterapeuta, una volta resosi conto se la situazione che ha davanti possa essere definita come stalking (e dunque essere classificata come reato) deve intervenire, in quanto, il clinico (medico o psicologo) in generale deve essere responsabile per la salute della vittima. Il confronto con la vittima di stalking porta solitamente a una serie di risposte anche molto diverse tra loro, la vittima potrà infatti avere reazioni di rabbia, di maggiore ansia, paura, o anche di tipo diverso.  La persona , infatti, può iniziare a minimizzare, negare o razionalizzare tali comportamenti.

Compito del terapeuta è quello di favorire la protezione del paziente, suggerendogli che le forze dell’ordine sono in grado, in generale di proteggere una persona dagli atti criminali. Tale messaggio può essere anche trasferito suggerendo che finché c’è un crimine e una vittima del crimine, se la vittima non denuncia in qualche modo legittima anche i comportamento del carnefice. (Meloy & Gothard, 1995)

Come riferito precedentemente, il terapeuta può intervenire anche in riferimento alla persona che mette in atto i comportamenti di stalking. La psicoterapia è una soluzione efficace soprattutto se si formula una diagnosi corretta, lo stalking non rappresenta un disturbo a sé ma un comportamento e ad esso possono essere ricollegate diverse situazioni cliniche. Il profilo dello stalker spesso non è univoco, ma può variare in base ad alcune condizioni. La maggior parte dei pedinatori ossessivi, hanno una diagnosi di Asse I e di Asse II.  Come scrive Valanzano “l’aspetto peculiare di questo fenomeno è che spesso non è generato da una psicopatologia specifica, ma viceversa parte dalla normalità per poi approdare alla psicopatologia. Si tratta dunque della deriva di una relazione, reale o fantasticata, in cui uno dei due attori non tollera la separazione e diventa un persecutore” (Valanzano, 2012, p. 163). Possiamo dunque definire coerentemente il fenomeno di stalking come una delle possibili manifestazioni, che possono poi sfociare in un esito patologico, con una fenomenologia che può rivelarsi a seguito di una separazione dolorosa.

Secondo Meloy (1996), nei casi in cui un disturbo si verifica, solitamente i disturbi mentali più comuni sono la dipendenza da sostanze, i disturbi d’ansia, dell’umore, la schizofrenia, il narcisismo, il borderline, antisociale, paranoide , istrionico e dipendente. Nel 10% dei casi (Meloy, 1996) possono esserci diagnosi primarie come disturbo da delusione e di  tipo erotomanico. Da questi dati possiamo riconoscere come non in tutti i casi ci sia un legame con qualche tipo di disturbo da dipendenza, e il legame tra reato di stalking e dipendenza affettiva sia sicuramente un fenomeno da esplorare con maggiore precisione.

Secondo Mullen et al. (1999) si può classificare lo stalker utilizzando tre assi.

Il primo asse riguarda le cinque tipologie di stalker e ha come obiettivo la definizione qualitativa del tipo di stalking:

–                           il risentito (o resentful): il risentito crede di aver subito un torto da parte della vittima (sebbene tale torto abbia una rilevanza spropositata per lo stalker  e questo talvolta non si verifica oppure ha una rilevanza di scarso interesse), e persiste nei comportamenti di molestia ritenendo di avere ragione;

–                           il rifiutato (o rejected): è la tipologia maggiormente legata al fenomeno del dolore relazionale conseguente l’allontanamento dal partner. Lo stalker appartenente a questa tipologia non tollera la rottura col partner e inizia a mettere in atto comportamenti persecutori al fine di cercare di riavvicinarsi al partner, è probabilmente la tipologia nella quale è più rilevante il tema della dipendenza affettiva;

–                           il ricercatore di intimità (o intimacy seeker): è un tipo di stalker che cerca insistentemente una relazione ideale nei confronti di una persona, in tale relazione lo stalker spesso non riconosce di non essere desiderato e persiste nei comportamenti di stalking;

–                           il predatore (o predatory): è probabilmente il tipo di stalker maggiormente aggressivo, cerca continuamente controllo sulla vittima e della propria gratificazione sessuale, è la tipologia che maggiormente mette in atto comportamenti di violenza fisica;

–                           l’incompetente relazionale (o incompetent suitor): che solitamente utilizza comportamenti molesti per incapacità di usare modalità appropriate nella relazione con l’altro.

Il secondo asse definito da Mullen e collaboratori riguarda il tipo di relazione tra stalker e vittima, nella maggior parte questo problema riguarda la relazione con gli ex partner, ma in altri casi questa relazione può riguardare anche colleghi, clienti, pazienti, sconosciuti.

Il terzo asse di Mullen invece definisce l’aspetto psicopatologico, ed è dunque un’asse di particolare rilevanza in ambito clinico e psicoterapeutico. Il primo aspetto di differenziazione è operato sulla base psicotico/non psicotico, gli psicotici rappresentano il 41% della popolazione degli stalker. Altre manifestazioni parecchio frequenti sono i disturbi d’ansia, i disturbi depressivi e soprattutto i disturbi di personalità (cluster B prevalente). Tuttavia, i dati raccolti da Mullen rappresentano un campione troppo piccolo per poter essere definito statisticamente rilevante.

Il trattamento psicoterapeutico varierà dunque in base alla diagnosi formulata. Elemento da considerarsi seriamente è l’eventuale presenza di contatto tra psicoterapeuta e chi mette in atto il comportamento di stalking. Solitamente la percentuali di casi di successo varia in base a moltissimi aspetti, la prognosi può variare, i migliori casi sono rappresentati dal fatto che la diagnosi riguardi disturbi mentali facilmente trattabili e nei casi in cui lo stalking sia motivato dalla delusione, ma soprattutto quando il paziente collabora sviluppando una buona compliance col terapeuta. La psicoterapia è in grado di discutere completamente le false credenze che lo stalker può avere, e dunque, può bloccare le intrusioni relazionali che la persona mette in atto (Meloy, 1997). Secondo le statistiche, invece, lo stalking è principalmente determinato da disturbi di personalità e rafforzato dalla rabbia di abbandono. Solitamente c’è una scarsa risposta agli interventi di sanità mentale, la minore percentuale di successo è ottenuta quando il soggetto ha un Disturbo Antisociale di Personalità, o è psicopatico.

Per capirne di più, chiedi informazioni a uno Psicologo.

 

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