Anoressia: il ruolo dell’emozione di disgusto

Il ruolo del disgusto nell’anoressia nervosa

Il rifiuto e il disgusto verso il cibo nell’anoressia nervosa

Stefania Porcu

I disturbi dell’alimentazione, come l’anoressia nervosa, sembrano essere condizioni frequenti della nostra epoca. La definizione del termine “anoressia” indica che il problema centrale riguardi la perdita dell’appetito, il soggetto in questione è alla continua e fanatica ricerca della perfezione del proprio corpo, ovviamente correlata con la paura d’ingrassare (Gabbard, 2007). L’errata percezione che l’anoressica ha della propria immagine, porta indubbiamente un danneggiamento della sua salute fisica e allo stesso tempo del suo normale funzionamento psicologico.

Se hai necessità di capire meglio come affrontare  un disturbo dell’alimentazione contattami.

Per cercare di comprendere meglio il tipo di atteggiamento che l’anoressica assume e manifesta nei confronti dei propri desideri, è necessario indagare quale sia il rapporto che essa stessa ha con il disgusto, specialmente quello che prova nei confronti del cibo e del proprio corpo.

La radice etimologica del termine disgusto è strettamente legata al rifiuto di qualcosa; nel momento in cui veniamo a considerare l’anoressia, possiamo dunque valutare il disgusto come un vero e proprio “atteggiamento anoressico” che implica un drastico rifiuto legato al cibo. L’atto implicito del disgusto viene comunicato attraverso gesti o espressioni che riguardano una reazione alquanto sgradevole alle sostanze che vengono messe in bocca (Grimaldi & Urciuoli, 2000).

Il disgusto può dunque essere considerato come un insieme di tutte quelle sensazioni e atteggiamenti che l’anoressica assume, lasciando intendere che ogni cosa con cui essa entri in relazione, abbia il potere di contaminare, infettare o inquinare attraverso il contatto o direttamente l’ingestione del cibo.

“Il disgusto è dunque un sentimento centrato sul timore di contagio da parte di un oggetto che si considera ‘vietato’.” (Grimaldi & Urciuoli, 2000, p. 36).
Provare un vero sentimento di disgusto da parte del soggetto anoressico, è un modo per affermare una superiorità, in questo caso, assumere una reale distanza nei confronti del cibo e dalla schiavitù del proprio corpo e dal doversi necessariamente nutrire per sopravvivere.

A differenza della maggior parte delle emozioni, il disgusto ha per stimolo scatenante, non un essere vivente, ma un qualcosa d’inanimato rappresentato essenzialmente dal cibo. Esso ha la funzione di proteggere dal rischio di entrare in contatto e specialmente di ingerire sostanze potenzialmente dannose.

L’emozione del disgusto può essere ricondotta ai disturbi alimentari dell’anoressia o della bulimia: il disgusto/repulsione per il cibo ingerito facilitano poi moltissimo, in questi soggetti, l’operazione del vomito che non tutti saprebbero provocare a comando.

Il disturbo alimentare, è caratterizzato da una restrizione nell’alimentazione perché il soggetto che ne è affetto ha una eccessiva preoccupazione per il suo peso e le sue forme corporee. Esprime il suo disagio con la paura di ingrassare ed è alla continua ricerca della magrezza e della perfezione (Dalle Grave, 2010).

I criteri diagnostici per l’anoressia nervosa codificati dal Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali (APA, 2000) sono:

–                  La presenza del rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo considerato normale per l’età e la statura, che solitamente ottengono mediante una dieta rigida, associata a condotte di eliminazione (vomito autoindotto e uso di lassativi o diuretici) e l’intensa attività fisica.

–                  Forte paura di ingrassare, per cui vi è una continua quasi fanatica ricerca della magrezza.

–                  Percezione distorta dell’immagine del proprio corpo: anche quando si è scarni si afferma di essere soprappeso. Il livello di autostima è strettamente correlato con la perdita di peso e quindi con la magrezza.

–                  Nei soggetti di sesso femminile l’eccessiva perdita di peso ha come conseguenza l’assenza o l’irregolarità del ciclo mestruale.

L’anoressia è presente in modo pressoché uniforme in tutte le classi sociali e coinvolge prevalentemente il sesso femminile, anche se negli ultimi anni si assiste ad un incremento del fenomeno anche nella popolazione maschile. Il problema si manifesta maggiormente fra i 12 e i 25 anni, con una frequenza maggiore fra i 13 e i 16 anni.

Al di là dei criteri diagnostici statistici, le caratteristiche (atteggiamenti, comportamenti, aspetti relazionali, cognizioni, emozioni, tratti di personalità ecc.) che più spesso si riscontrano nelle persone con disturbi alimentari sono l’incapacità a sopportare e considerare, per una struttura interna rigida e poco flessibile, i sentimenti, le emozioni più dolorose e la dipendenza dall’esterno (Fairburn, Shafran, & Cooper, 2003).

Il giudizio altrui e l’autorevolezza hanno un’importanza fondamentale alla definizione di sé, il soggetto affetto da anoressia, ha pertanto il bisogno di compiacere, di far contenti gli altri e di ricevere feedback positivi riguardo alla propria corporeità e ai propri risultati. Egli può inoltre, come conseguenza della perdita delle mestruazioni, percepire se stesso ancora nella fase infantile ed esprime la negazione del proprio essere adulto, pertanto la sessualità è vissuta come una violazione intrusiva e viene spesso negata con forte manifestazione del disgusto (Grimaldi & Urciuoli, 2000).

Le persone con disturbi dell’alimentazione si presentano frequentemente tiranniche e controllanti nei confronti della famiglia e di se stesse, critiche ed esigenti fino alla minaccia di abbandono o al fallimento completo nel caso non si raggiungano gli obiettivi di eccellenza (per esempio il successo scolastico) (Fairburn, 1997). Esistono delle spinte emozionali che inducono comportamenti anoressici tra  le basic emotion – esposte nei capitoli precedenti – quelle che stanno alla base dell’anoressia sono: la paura ed il disgusto. La paura di ingrassare, è il fondamento della sindrome anoressica, il soggetto sarebbe talmente intimorito dalla possibilità di diventare grasso, da preferire una condizione di estremo sottopeso, che assicura una “distanza di sicurezza” dal peso normale, piuttosto che avere un peso normale percepito come pericoloso, in quanto troppo vicino in termini di chili al sovrappeso (Dipasquale, Ciuna, Levi, Ruggiero & Invernizzi, 1997).

Scrivi a Igor Vitale