Psicoterapia di terza generazione: benefici ed efficacia

Le terapie di terza generazione o di terza ondata rappresentano una delle novità nel panorama delle terapie sino ad oggi esistenti. La novità più significativa è l’integrazione della Mindfulness, un’attività meditativa, all’interno del modello cognitivo-comportamentale, che afferma l’inutilità di modificare le credenze negative di un individuo poiché risulta molto più efficace un lavoro che mira a raggiungere la consapevolezza di queste. In altre parole, è opportuno imparare a riconoscere i propri pensieri ed a concepirli come eventi mentali e non come una rappresentazione della realtà.

Si tratta quindi, di intervenire non sul cambiamento diretto degli eventi psicologici, ma sulla loro funzione e sulla relazione degli individui con gli stessi, grazie all’utilizzo di strategie  quali, la Mindfulness (che approfondirò successivamente), l’accettazione e la defusione cognitiva che viene utilizzata in quei pazienti in cui è evidente un livello di adesione alle credenze eccessivamente elevato; un  atteggiamento che influenza l’individuo nelle sue scelte di vita e lo costringe ad essere succube di queste convinzioni insite nella sua mente. Invece, l’efficacia della defusione cognitiva è verificata in numerose ricerche (Healy et al. 2008) in cui si cerca di aiutare il soggetto a  raggiungere una consapevolezza profonda della propria attività mentale e nel differenziarsene: “io non sono la mia mente”.

A questo proposito è bene analizzare alcuni elementi caratterizzanti la relazione tra l’individuo e i suoi pensieri.

Un primo elemento, che può essere considerato il problema centrale, è per l’appunto il modo con cui un soggetto si relaziona con gli eventi interni. Si parla in questo caso di “fusione” (Bulli e Melli, 2010) intendendo un atteggiamento di completa identificazione con i propri pensieri, le emozioni e le sensazioni fisiologiche che si presentano. La conseguenza clinica di questo processo è l’evitamento esperienziale ovvero, un insieme di strategie messe in atto per controllare e distanziare le nostre esperienze interne (pensieri, emozioni, ricordi) che causano sofferenza o situazioni ansiogene che contribuiscono allo sviluppo e al mantenimento di molte forme psicopatologiche (Bassanini, 2012). A sua volta, l’evitamento esperienziale ci porta al restringimento del repertorio comportamentale del soggetto perché è chiaro, che in una situazione del genere, le relazioni sociali sono quasi inesistenti, e ciò lo rende ignaro del valore informativo e  del ruolo ricoperto dalle emozioni nei processi di conoscenza. Inoltre, nel momento in cui si cercano di evitare le esperienze interne negative si  rinuncia ad intraprendere tutte quelle azioni che possono condurci ad obiettivi personali prefissati che rispecchiano il personale mondo di valori che ognuno di noi ha.

A differenza degli approcci delle prime due generazioni che, in questi casi, avrebbero ritenuto opportuno sbarazzarsi di questi pensieri interni negativi, sostituendoli con i loro opposti, gli approcci di terza generazione propongono una relazione accettante e non giudicante nei confronti dei propri eventi interni, considerandoli tra l’altro una sorta di effetto collaterale transitorio, nel percorso di consolidamento dei proprio obiettivi, che non rappresenta né la realtà, né la persona (Hayes, Follette & Linehan, 2004).

Bibliografia

 

  • Healy, H. A., Barnes-Holmes, Y., Barnes-Holmes, D., Keogh, C., Luciano, C., Wilson, K. (2008). An experimental test of a cognitive defusion exercise: Coping with negative and positive self-statements. Psychological record 58, 623-640.
  • Bulli, F., & Melli, G. (2010). Mindfulness & acceptance in psicoterapia, la terza generazione della terapia cognitivo-comportamentale. Eclipsi. Firenze.
  • Bassanini, A. (2012). Evitamento o apertura all’esperienza. State of mind.
  • Hayes, S. C., Follette, V. M., & Linehan, M. M. (2004). Mindfulness and acceptance: expanding the cognitive behavioral tradition. New York: Guilford press.

 di Maria Micoli

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