Differenze tra maschi e femmine nell’Antica Grecia

Come scrive P.F. Taboni (2001): “in materia di costumi femminile era più liberale l’oligarchica ma ginecocratica Sparta, dove la donna godeva di ampie libertà, della democratica, ma androcratica Atene”. E’ possibile notare questa differenza anche in base al significato dei diversi abbigliamenti utilizzati dalle donne a Sparta e ad Atene. Secondo Roberto Tassan (2005) gli artefatti, e in particolare l’abbigliamento ha tre funzioni:

a) Status
b) Richiamo sessuale
c) Soddisfazione procurata dal piacere agli altri

Ne “Il Matriarcato” di Bachofen (1861) ci si riferisce in particolare alla prima delle tre funzioni, quella di status. “L’elevata posizione sociale della donna dorica, quasi strapotente e virilmente imperante, si rifletteva nel suo abito: un abito che non la copriva granché e le lasciava libertà di movimento, manteneva scoperta la coscia, non aveva maniche, era tenuto insieme da fibbie sulle spalle e spesso dagli ioni è  stato accusato di produrre una invereconda nudità […] Lo scambio di quest’abito dorico con quello ionico, ad esso radicalmente contrapposto, che avvolge accuratamente la figura femminile in una fluttuante tunica di lino, lunga fino ai piedi e che ferma con fibbie le maniche tagliate nella stoffa, implica un ritorno del sesso femminile dal precedente tipo mascolino di vita pubblica a quella riservatezza e sottomissione che caratterizzano il costume orientale”.

Come si legge il peplos dorico si mostra come un vestito conseguente a un maggiore status sociale da parte della donna spartana rispetto a quella ateniese. Inoltre, mediante un’ analisi dei possibili comportamenti non verbali, si può rilevare che il vestito ateniese, dà meno libertà di movimento, e meno fluidità. La fluidità dei movimenti è uno degli indicatori rilevati da F.Nanetti (1996), come indicatore di dominanza, mentre i movimenti poco fluidi sono indicatori di sottomissione.

Tuttavia, è opportuno chiedersi perché si determina tale differenza di genere nonostante ad Atene si fosse già sviluppata una democrazia.

La fallocrazia ateniese è testimoniata , come riferisce Eva C. Keuls dall’ “edilizia pubblica ricca di colonne falliche” e dall’ “ossessivo motivo fallocratico della pittura vascolare”.

Tuttavia anche senza ricorrere a un’ interpretazione simbolica dell’arte e dell’architettura ateniese per dimostrare la fallocrazia ateniese. Se consideriamo Aristotele, meteco, ma ateniese d’elezione, egli mostra decisamente una filosofia fallocratica, a suo parere infatti il corpo femminile è “incompleto come quello di un bambino, sprovvisto di seme, come quello di un uomo sterile, menomazione che ha il suo aspetto saliente nel volume del cervello, giacché tra gli uomini i maschi l’hanno più grande delle femmine.” Come rileva Taboni c’è un legame semantico tra la donna e la schiava ad Atene, infatti damar è una “parola derivata da una radice che significa
‘sottomettere’ o ‘addomesticare’. Quando la sposa arrivava alla casa dello sposo, le veniva rovesciato sopra la testa, per buon augurio, un cesto di noci, trattamento che si estendeva anche agli schiavi appena acquistati. L’usanza si chiamava katachysmata”.

opinione manuale omaggio

Scrivi a Igor Vitale