Neuroanatomia dell’autismo: le caratteristiche del cervello nell’autismo

Neuroanatomia dell’autismo. L’autismo viene spesso definito in Letteratura come un disturbo neurologico-comportamentale ovvero un disturbo che incide negativamente sullo sviluppo cerebrale, generando rilevanti anomalie nella sua evoluzione.

Inizialmente le basi neurobiologiche dell’autismo sono state indagate mediante l’esame neuropatologico del cervello post-mortem. Altri studi condotti attraverso la risonanza magnetica nucleare hanno avuto lo scopo di investigare alterazioni nell’anatomia cerebrale. Questa tecnica è stata quella maggiormente privilegiata nella ricerca di settore, data l’alta capacità di risoluzione e la possibilità di condurre esami con rischio minimo di esporre il paziente a radiazioni.54 Altri tipi di tecniche utilizzate sono state la tomografia assiale computerizzata (TAC) la risonanza magnetica (RM) studi neuroimaging, tomografia ad emissioni di protoni (PET) ecc.55Un ampio numero di ricerche condotte attraverso alcune di queste tecniche hanno rilevato tre tipi di alterazioni nel tronco cerebrale e nel cervelletto, nel sistema limbico di cui fanno parte l’amigdala e il cervelletto, e nella corteccia. Per quanto riguarda il tronco cerebrale e il cervelletto, studi anatomici hanno evidenziato una rilevante assenza di nuclei nella prima regione (ad esempio i nuclei motori facciali e dell’oliva superiore) con relativa diminuzione di densità cellulare.

Una delle scoperte neuroanatomiche e scientificamente riproducili sul cervello autistico, riguarda la scarsità di neuroni Purkinje nel cervelletto.

Studi di risonanza magnetica hanno ravvisato un aumento del volume cerebellare di sostanza bianca del 40% in soggetti autistici rispetto al gruppo di controllo. Altri alterazioni riguardano la dimensione dei vermi che sembra essere inferiori nei soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico.

Il cervelletto, dal punto di vista funzionale, ha funzione di coordinazione dei movimenti motori in relazione all’interazione sociale. Alcuni autori sostengono che alcuni sintomi dei pazienti, quali deficit nelle funzioni esecutive, difficoltà nelle reazioni sociali, siano collegati a un danno in questa area.57 Importanti anomalie coinvolgono anche strutture quali l’amigdala e l’ippocampo.

In pazienti con disturbo autistico sono state riscontrate riduzioni significative in queste due aree. Analisi basate su caratteristiche morfometriche cerebrali sono state eseguite su un ampio campione formato da pazienti compresi tra i 3 e i 4 anni di età e diagnosticati autistici confrontati con un gruppo di controllo. I risultati indicano un aumento del volume dell’amigdala non imputabile a un semplice aumento corticale. Questi e successivi studi suggeriscono la presenza di anomalie dei processi che mediano lo sviluppo del cervello nelle prime fasi di decorso clinico del disturbo; infatti recenti ricerche indicano come l’amigdala sembri attraversare un periodo di precoce allargamento che persiste in tutta l’infanzia, per poi in adolescenza, non presentare differenze significative con i gruppi di controllo. Anomalie in quest’area potrebbero essere alla base della spiegazioni di alcuni sintomi del disturbo quali: l’ansia, i deficit nell’interazioni sociali e comunicative, i deficit nel riconoscimento dell’espressioni facciali. Tra le aree cerebrali colpite rientrano anche i lobi frontali, la corteccia temporale superiore, e quella parietale. I lobi frontali e prefrontali sono associati alle funzioni esecutive, all’attenzioni di tipo visivo e alle implicazioni della teoria della mente. Anomalie nei lobi frontali sono state prese in considerazione, in funzione del loro coinvolgimento nella sintomatologia autistica, in particolare all’isolamento sociale e all’incapacità dei soggetti di operare generalizzazioni. Un’anomala attivazione di queste regioni è stata riscontrata in compiti di comprensione di storie, nel processamento di stimoli sociali e nella ricerca visiva di elementi nascosti. Una delle teorie maggiormente condivise sulla neuropatologia autistica è quella secondo cui il cervello subirebbe una fase di crescita precoce nel primo periodo di vita, seguito da un rallentamento nella crescita. Due sono le fasi cliniche riguardanti le anomalie nello sviluppo cerebrale: dimensioni craniche ridotte alla nascita seguite da uno sviluppo eccessivo tra il primo e il secondo mese e tra il sesto e il quattordicesimo.59 Studi di imaging indicano come bambini con autismo di età tra i 18 mesi e i 4 anni mostrino un allargamento anormale del cranio corrispondente al 5-10% del volume totale del cervello. 60 Ulteriori studi evidenziano un associazione tra aumento del volume cerebrale con aumento della materia bianca nel lobo frontale. Un’altra ipotesi che ha suscitatato ampio interesse, riguarda le anomalie nella citoarchitettura cerebrale in particolare nel numero e nell’ampiezza delle strutture colonnari della corteccia; nei soggetti autistici queste mini colonne sono più numerose e presentano dimensioni inferiori rispetto ai neuroni che le compongono e sono maggiormente aggrovigliate tra loro rispetto a quelle di soggetti con sviluppo tipico.

Le spiegazioni sull’autismo si fondano anche su ipotesi neurochimiche relative ad alterazioni nei recettori e nei relativi neurotrasmettitori; sistemi coinvolti sono quello serotoninergico, dopaminergico, del GABA, dell’ossitocina e della vasopressina.

Nuovi modelli propendono per la tesi di anormalità nelle connessione tra aree associative corticali di tipo superiore, a questo proposito gli autori sono soliti parlare di disconnessione dello sviluppo.62 In conclusione, nonostante i molti dati a nostra disposizione, questi non sono sempre omogenei e spesso sono influenzati da errori metodologici. In futuro le ricerche dovranno servirsi di campioni confrontabili per variabili (il sesso, l’età, etc.) ed è auspicabile che innovazioni nelle tecniche di indagine porteranno a nuove acquisizioni in questo campo.
Fattori prenatali e postnatali Appare evidente che le ipotesi genetiche non sono in grado di determinare l’intero fenotipo del disturbo autistico e che anche i fattori ambientali rivestono un importante ruolo nell’interazione con la predisposizione genetica. Sia le influenze genetiche che quelle ambientali sono alla base dei meccanismi eziopatogenici del disturbo.

In fase prenatale gli studi sottolineano come infezioni e neurotossine nonché inquinanti ambientali e farmaci somministrati durante la gravidanza, possano interagire con il sistema immunitario, operando deviazioni delle traiettorie di neurosviluppo del bambino, con conseguenti alterazioni comportamentali quali quelle riscontrate nel disturbo dello spettro autistico. Alcune condizioni materne possono influire sulla salute del feto quali ipotiroidismo, assunzione di talidomide, acido valproico, nonché abuso di alcol e cocaina e infezioni di cytomegalovirus. Importanti associazioni sono state individuate anche tra la rubella congenita e l’autismo.64 Tra le condizioni ostetriche prese in considerazione in relazione ad un aumento di rischio vi sono: basso peso alla nascita, e ipoplasia intraparto; tuttavia i risultati ottenuti non permettono di operare inferenze. Altri variabili sono correlate a basso punteggio Apgar (inferiore a 7),sofferenza fetale, parto cesareo, minaccia di aborto, e sanguinamento durante la gravidanza. Altri studi riportano tra i fattori di rischio anche un età paterna e materna avanzata, tuttavia i risultati non sono univoci e necessitano di ulteriori approfondimenti per accertarne la validità.65

Vaccini.

Altre ipotesi avanzate sono quelle secondo cui i vaccini potrebbero essere causa di autismo. In particolare è stato preso in considerazione il vaccino trivalente per morbillo, parotite, rosolia (MMR). Le considerazioni su tale legame sono emerse nel 1988 con la pubblicazione di un documento su 12 bambini autistici con problemi intestinali che contribuì a diffondere questa tesi.66 Si è argomentato sul fatto che il vaccino possa causare disordini intestinali portando a una perdita delle proteine prodotte nel sangue e che ciò sia alla base di una particolare forma di autismo ovvero quella regressiva.67 Il fatto che questa forma ha un’insorgenza più tardiva rispetto alle altre manifestazioni, e che spesso i primi segni si manifestino in corrispondenza alla somministrazione del vaccino trivalente, ha portato i genitori di molto bambini a credere in questo tipo di associazione. Numerosi studi sono stati intrapresi nel tentativo di verificare queste ipotesi, ma i risultati ottenuti sembrano confutarle. Se il vaccino trivalente fosse la causa di autismo si sarebbe verificato un aumento dell’autismo regressivo tra i bambini vaccinati rispetto a quelli non sottoposti alla vaccinazione, inoltre vi sarebbe stato un incremento dei casi clinici in seguito all’introduzione del vaccino trivalente in Gran Bretagna e una diminuzione nel Giappone, paese in cui, la somministrazione del vaccino è stata sospesa proprio per verificare quest’ipotesi. Questi eventi non si sono verificati, il che conduce gli autori alla disconferma dell’ipotesi inziale

di Gaia Baldoni

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