La storia dell’anoressia: come era vista nel passato l’estrema magrezza

Per millenni l’anoressia, pur essendo presente nella società umana non era considerata un fenomeno di interesse medico né quindi come un disturbo. Ciò può essere compreso tenendo presente che i concetti di normalità e patologia mutano in base alla cultura di riferimento e all’epoca storica. Inoltre talune modificazioni nel contesto storico-sociale portano a specifiche trasformazioni dei sintomi e del loro significato.

Possiamo vedere quindi come l’anoressia e la bulimia possano essere comprese tenendo conto del nesso tra le forme sociali e storiche e le manifestazioni patologiche del soggetto.

Vandereycken e Van Deth[1] ricordano che per affrontare i fenomeni dell’anoressia e della bulimia è necessario tenere conto del contesto storico di riferimento, dei diversi significati che l’uomo ha attribuito all’alimentazione nel corso del tempo, al rifiuto del cibo e al rapporto con la corporeità e con il trascendente.

Sintetizzando all’estremo la tesi di questi autori, possiamo sostenere che nello svolgersi dei secoli i vari popoli della terra abbiano attribuito al digiuno significati profondamente religiosi. Nel mondo sacro infatti il rifiuto del cibo era inteso come pratica purificatrice che attraverso la ricerca della perfezione interiore avvicinava a Dio. La penitenza del digiuno prendeva quindi la forma dell’ascetismo:

Era una forma di autodisciplina e automortificazione il cui ideale di totale indipendenza dai bisogni fisici non si ritraeva di fronte a nessuna difficoltà. L’ascetismo più rigoroso, oltre al digiuno, faceva ricorso all’astinenza sessuale, alla privazione del sonno, all’autoflagellazione e ad altre forme di tortura autoinflitta, come l’esposizione alle fiamme. Grazie a queste pratiche severe si indeboliva la carne “peccaminosa” rinforzando ed elevando l’anima “perfetta”. Si preparava così il terreno a una vita virtuosa e alla perfezione cristiana, il cui scopo era ricostruire l’immagine di Dio. Abbandonandosi al digiuno, l’anima si alleggeriva e poteva innalzarsi a Dio e, se anche l’asceta non poteva eguagliare la divinità, raggiungeva almeno il livello degli angeli. [2]

Col passare del tempo aumentava la schiera dei digiunatori e con essa la soggezione e il rispetto con cui venivano trattati dai loro contemporanei. Tuttavia di fronte ai quei corpi al limite della vita si cercava cautamente di determinare se si trattasse di opera divina o se invece essi fossero il segno dell’intervento di forze demoniache. Durante il Medioevo, infatti, le abitudini alimentari delle “sante anoressiche”, per le quali il digiuno era diventato la forma essenziale del proprio fervore devozionale, iniziavano a suscitare sospetti a tal punto che i  tribunali dell’Inquisizione processarono e imputarono di stregoneria ed eresia molte di loro.

Successivamente “nel periodo fra il quindicesimo e il diciassettesimo secolo, quando le concezioni demonologiche erano assai diffuse, furono sospettati di possessione tutti coloro che digiunavano, fosse o meno per motivi religiosi” (Vandereycken e Van Deth, 1994:46).

Gli autori si domandano per quali motivi il digiuno più rigoroso non fosse sempre approvato e apprezzato. A prescindere dalle ragioni politiche insite nell’opposizione della Chiesa al digiuno eccessivo, essi spiegano che innanzitutto il digiuno estremo fosse respinto su basi teologiche. Molto esplicito a tale riguardo è lo storico Rudolph Bell.[3] Egli infatti sostiene che il modello a cui si ispiravano le “sante anoressiche” fosse Gesù che digiunò per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto. Il digiuno di Gesù però è da considerarsi un mezzo e non un fine: attraverso il digiuno emergono le tentazioni demoniache che possono poi essere superate per mezzo del digiuno stesso. Nel messaggio evangelico non c’è il rifiuto del cibo ma il rifiuto di Satana; “Gesù è affamato, cosa che le sante anoressiche raramente ammettono” (Bell, 1998:137). Inoltre per Gesù il digiuno rappresentava una penitenza controllata intrapresa per scacciare il demonio e fare posto a Dio; al contrario le sante anoressiche, pur ricevendo dalle autorità religiose l’ordine di mangiare, affermavano di non poterlo fare.[4]

Se per alcuni studiosi la magrezza rappresentava un dono simbolico a Dio, l’opera intera di Bell ha come perno l’ipotesi secondo cui le donne usassero la magrezza per liberarsi dalla struttura sociale patriarcale esistente nell’epoca del cattolicesimo radicale e della controriforma. Lo stile di vita centrato sul severo rispetto degli imperativi morali e la ricerca pedissequa dell’ideale di perfezione fisica e interiore potrebbero essere intesi, dunque, come dei mezzi per aspirare a riconquistare la propria individualità e l’emancipazione psicologica.

Col passare del tempo sono ulteriormente cambiati i significati attribuiti al digiuno. L’anoressia e la bulimia furono accolte tra le braccia della medicina e si trasformarono quindi in malattie. In seguito alla medicalizzazione dell’anoressia che culminò con la definizione di anoressia “isterica” (Lasègue, 1873) o “nervosa” (Gull, 1874), si spensero i riflettori sulle “sante ascetiche”, le cui condotte comunque non scomparvero del tutto. Intorno alla fine del diciannovesimo secolo l’attenzione si accese sulla pubblica scena attraverso la diffusione del noto fenomeno dello sciopero della fame. L’esempio più famoso a tal proposito è quello del Mahatma Gandhi che negli anni Trenta si ribellò alla dominazione coloniale inglese con un lungo sciopero della fame. In questo caso il rifiuto ostinato del cibo rappresenta per l’uomo un’arma estrema per difendersi da una lotta politica.[5]

Nel ventesimo secolo il concetto di anoressia nervosa era ormai noto. La letteratura scientifica fu arricchita di ipotesi e innumerevoli argomentazioni riguardo le cause e il significato di questo disturbo. Non fu raggiunto un accordo riguardo la questione dell’eziologia fino al momento in cui, anche a fronte della crescente diffusione dei disturbi del comportamento alimentare, si giunse finalmente a considerarli come il risultato dell’interazione di fattori diversi che possono variare da soggetto a soggetto.

In seguito alle trasformazioni storico-culturali ed economiche della nostra società, che è divenuta la società del benessere, c’è stata una vera e propria epidemia moderna dell’anoressia e, negli ultimi anni, anche della bulimia. Ai giorni nostri queste patologie sono diventate dei disturbi al confine tra la patologia e la moda.

 di Federica Maria D’Autilia

[1] VANDEREYCKEN W., VAN DETH R., Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche. Il rifiuto del cibo nella storia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1994.

[2] VANDEREYCKEN W., VAN DETH R., op. cit., p. 24.

[3] BELL RUDOLPH M., La santa anoressia. Digiuno e misticismo dal Medioevo a oggi, “Economica Laterza”, 1 ͣ ed., Roma-Bari, Editori Laterza, 1998.

[4] Cfr. VANDEREYCKEN W., VAN DETH R., op. cit, p. 33 e p. 41-46.

[5] In tempi recenti il ricorso allo sciopero della fame è avvenuto per combattere la violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Nel 2013, ad esempio, più di 100 detenuti del carcere di massima sicurezza di Guantanamo iniziarono uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni a cui erano sottoposti e per il fatto di essere tenuti in carcere senza essere stati accusati di alcun reato. Per costringerli a nutrirsi, le autorità carcerarie procedettero con la pratica della cosiddetta “alimentazione forzata”, classificata da diverse associazioni umanitarie come “tortura”. Nel 2003, invece, un avvocato tunisino aveva proclamato lo sciopero della fame per richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla politica repressiva del governo vigente nel paese che non rispettava i diritti civili del popolo.

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