Sono un’anoressica: quando l’anoressia si pietrifica nella propria identità

L’attributo “anoressica” o “bulimica” pietrifica il vissuto dell’individuo in un puro  e semplice inquadramento classificatorio e universalmente valido senza tenere conto però della soggettività della persona.

I sintomi, una volta identificati, permettono di fare diagnosi di anoressia o bulimia e di intervenire sul soggetto, ma non è possibile comprendere appieno queste patologie senza prima aver interpretato il significato che il sintomo ha per il paziente stesso.  Il sintomo è la persona. Esso non deve essere inteso come qualcosa che distrugge l’identità del soggetto, piuttosto come qualcosa su cui l’individuo costruisce e consolida il proprio modo di essere e di vivere nel mondo. “L’anoressia al singolare non esiste nel senso che esistono solo le anoressiche[…]” (Recalcati, 1998:37).

L’anoressia cioè racchiude tante declinazioni diverse, tante quante sono le persone anoressiche. Non esiste quindi l’anoressia al singolare ma le anoressie. Solo sganciando il soggetto da questa identificazione generale è possibile capire la sua personale e particolare posizione.

Le anoressiche sono accomunate da una profonda fragilità interiore che le porta a identificarsi in tale categoria, restandone però tragicamente catturate e prigioniere.

La risposta anoressico-bulimica si sostiene su di un’evidenza che, sempre più, secondo una perversione che andrebbe attentamente analizzata, lo stesso discorso sociale tende a rafforzare: «sono un’anoressica!», «sono una bulimica!». Il soggetto tende a presentarsi secondo questa tautologia immobile, fuori-discorso, anti-dialettica. La sua certezza si presenta come indiscutibile: […] «Sto male solo perché non riesco a non mangiare!», «Sto male perché non riesco più ad essere anoressica com’ero stata una volta! ».”[1]

         L’uso dell’aggettivo “santa” o “nervosa” per definire l’anoressia dipende dalla cultura nella quale si trova il soggetto che lotta per acquisire il dominio della propria vita. Se nel cristianesimo medievale la “santa” anoressica si ispirava all’ideale della purificazione spirituale, del digiuno e dell’auto-privazione, la “moderna” anoressica si ispira, invece, all’ideale della magrezza, della salute corporea e dell’autocontrollo. Entrambe le condizioni emergono da un accumulo di paure, insicurezze e delusioni che vengono mascherate però dal desiderio di diventare un campione nella corsa alla perfezione spirituale per l’una e fisica per l’altra. L’anoressia diventa perciò la propria identità che deve essere difesa ad ogni costo, anche a costo della vita: la persona ne risulta allora ingabbiata e azzerata.

[1] RECALCATI M., op. cit., p. 190.

di Federica Maria D’Autilia

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