Le cause dell’anoressia e dei disturbi alimentari

Le cause dei DCA sono multifattoriali e comprendono fattori psicologici, biologici e sociali.

In particolare il documento di consenso sui disturbi del comportamento alimentare, redatto dall’Istituto superiore di sanità in collaborazione con la AUSL Umbria 2, riconosce come fattori di rischio associati a questi disturbi i fattori biologici e genetici, sociali, familiari, di sviluppo, traumatici, psicologici e comportamentali. [1]

Per quanto riguarda i fattori di rischio traumatici, questi studiosi evidenziano come le esperienze traumatiche di abuso o maltrattamento infantile siano importanti fattori di rischio, non solo per lo sviluppo di disturbi psicopatologici in età adulta ma anche di gravi alterazioni comportamentali in età infantile. Inoltre quei soggetti che hanno sperimentato eventi della vita traumatici hanno maggiore probabilità rispetto agli altri di sviluppare un DCA, anche se come sottolineano gli autori, questi rappresentano un fattore aspecifico, in quanto criterio valido per la patologia psichiatrica in generale.

Una potenziale associazione con i DCA è rappresentata dalla comorbilità con altri disturbi psichiatrici: in particolare con i Disturbi dell’umore, il Disturbo Ossessivo Compulsivo, i Disturbi da Abuso di Sostanze e i Disturbi di Personalità. Da altre ricerche emerge inoltre che adolescenti con DCA tenderebbero a soffrire in età adulta di Disturbi D’ansia, Disturbi Depressivi, Tentati Suicidi e Disturbi di Personalità (Johnson et al., 2002).

Per quanto riguarda i fattori di rischio familiari, gli studiosi, in accordo con vari studi longitudinali, sostengono che lo stile di interazione, il funzionamento familiare e gli stili di attaccamento[2] non rappresentano un elemento di rischio per l’insorgere dei DCA. Piuttosto le difficoltà di comunicazione e di gestione dell’emotività all’interno di queste famiglie si verificherebbero solo nel corso del disturbo. Al contrario, altri studi mettono in luce lo stretto legame tra i disturbi alimentari nella prima infanzia e nell’adolescenza e i modelli di attaccamento della relazione delle madri con i loro bambini (Chatoor I., 1989; Chatoor I. et al., 1998). Le prove empiriche evidenziano come i modelli di attaccamento insicuro siano spesso associati alla comparsa dei DCA (Ammaniti M. et al., 2003; Liotti G., 2001; Sharpe T. et al., 1998). Per questi studi la valutazione del rapporto madre-bambino e del sistema familiare in cui il bambino è inserito risulta di fondamentale importanza.

Inoltre secondo il modello sviluppato da Minuchin[3] si identificano quattro tipi di interazioni disfunzionali presenti nelle famiglie di soggetti con DCA: l’invischiamento, la rigidità, l’iperprotettività e la non risoluzione del conflitto. Secondo questo studioso lo sviluppo di un DCA può essere inteso come la “soluzione”, solo apparente e temporanea, pensata da un soggetto per acquisire maggiore autonomia da una famiglia troppo intrusiva e per affermare definitivamente la propria identità.

[1] DE VIRGILIO G. ET AL., op. cit., p.33-40.

[2] La teoria dell’attaccamento di Bowlby individua nella modalità di relazione madre-figlio l’elemento protettivo che permette la sopravvivenza, l’adattamento e la crescita del piccolo. Cure adeguate da parte della figura di attaccamento portano alla formazione di una relazione affettiva che viene detta sicura (attaccamento etichettato come B in età infantile e come F in età adulta): il piccolo e l’adulto sono in grado di esplorare in maniera autonoma l’ambiente fisico e sociale e di esprimere in maniera chiara le emozioni che corrispondono ai propri stati affettivi. Al contrario cure carenti e distorte producono legami affettivi detti ansiosi-insicuri (attaccamento ansioso ambivalente/resistente o C in età infantile e attaccamento preoccupato/invischiato o E in età adulta): il piccolo e l’adulto mettono in atto delle strategie lesive per esplorare e divenire autonomi. L’imprevedibilità della risposta dell’adulto induce il bambino ad una iper-vigilanza circa la disponibilità di quello a proteggerlo e confortarlo. In questo caso i sentimenti maggiori sono l’ostilità e la rabbia. Per ulteriori approfondimenti v. Fonagy P., 2001; Ainsworth M.D.S. et al., 1978; Main e Solomon, 1990.

[3] MINUCHIN S., Famiglie e terapie della famiglia, Roma, Astrolabio, 1974.

di Federica Maria D’Autilia

consulenzapsicologica

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