Psicologia della nascita di un bambino autistico

Il concepimento e i nove mesi di gestazione sono identificabili come fenomeni strettamente connessi sia dal punto di vista biologico che psicologico. Questo legame implica una profonda metamorfosi nell’identità sia psichica che corporea della donna, mutamento connesso a vissuti emotivi importanti. La gravidanza è identificabile come la condizione di riattualizzazione di tali vissuti caratterizzanti la sfera emotiva-affettiva e spesso connessi a fantasie ed ansie (psicanalisi della gestazione).

La principale ragione alla base del desiderio di maternità è di tipo biologico: è l’istinto materno, elemento importante della sessualità femminile a richiedere questo tipo di gratificazione diretta. La maternità è anche alla base di altre esigenze psicologiche; la gravidanza in quanto realizzazione dell’amore fra uomo e donna, viene identificata come un prolungamento della vita o in termine narcisistici come “immortalità dell’io”. Il desiderio di avere un figlio è presente molto prima che questo sia realizzabile dal punto di vista fisiologico e non sempre desiderio di gravidanza e maternità coincidono. Il processo maturativo che porta la donna a diventare madre è strettamente connesso alle relazioni che la donna ha stabilito nel corso dell’infanzia in particolare con la figura materna. La gravidanza rappresenterebbe in questo senso, una via privilegiata per
ricreare la fusione originaria con la madre e annientare la nostalgia della relazione primaria.

Fondamentale per lo sviluppo del pensiero del bambino, è la relazione materna tra quest’ultimo e il caregiver ed è proprio l’interiorizzazione di queste esperienze a creare il bagaglio di competenze relazionali, comunicative e mentali. La capacità della donna di sintonizzarsi con questi bisogni primari viene strutturata e consolidata nel corso dei nove mesi. Questo è il tempo necessario alla preparazione e costruzione dell’immagine del bambino che nascerà. Secondo alcuni autori la
creazione di uno spazio mentale, dedicato al bambino che verrà, è già presente prima del concepimento, nel momento in cui la gravidanza viene cercata e desiderata. Ciò determina due diverse immagini del bambino: quello fantasmatico e quello reale. La madre in questa fase crea un’immagine mentale di come il bambino sarà nell’avvenire: dal punto di vista fisico, quale futuro lo attenderà, che tipo di personalità avrà, quali variazioni il suo arrivo comporterà nel clima familiare. Le fantasie materne oscillano tra due proiezioni mentali, quella del bambino desiderato con tutte le caratteristiche socialmente accettabili e idealizzato come perfetto, il bambino “temuto”, e che incarna le paure materne quali possibili malattie della prole, malformazioni, tutti quegli aspetti o caratteristiche che possano minare l’idealizzazione della madre.

Nel caso del bambino affetto da autismo i segni della patologia spesso non sono precocemente identificabili prima dei tre anni, periodo in cui spesso viene elaborata la prima diagnosi. Le aspettative della madre riguardanti il figlio fantasmatico vengono temporaneamente soddisfate nel primo periodo post-natale, in quanto il bambino appare in salute dal punto di vista fisico e fisiologico, non presenta alcun tipo di problema nella regolazione del ritmo sonno-veglia, nell’alimentazione, nella locomozione e nella manipolazione degli oggetti.

Tuttavia è piuttosto frequente che la madre noti delle difficoltà di sintonizzazione nell’interazione con il proprio figlio e spesso il ritardo nell’identificazione di queste difficoltà, oltre che essere imputabile alle caratteristiche stesse del disturbo, è attribuibile anche a un tipo di trasmissione culturale che pone l’accento ai primari comportamenti comunicativi
del bambino. Inoltre l’dea del bambino come socialmente passivo è stata spesso fonte di interpretazioni erronee da parte non solo dei familiari ma anche di medici e pediatri, conducendo le madri di primogeniti in particolare, a rassicurarsi e a tranquillizzarsi in merito a queste difficoltà, interrompendo la sollecitazione reciproca per adattarsi alla modalità passiva e disinteressata del bambino nel rapportarsi agli altri. Di conseguenza le risorse e le strategie cui la madre attinge  nell’approcciarsi al figlio per facilitarne lo sviluppo, rimangono inapplicate. Al contrario la madre può persistere nella sollecitazione del bambino ignorandone le difficoltà, e sottoponendolo ad alti livelli di stress. Se alla richiesta di ascolto da parte dei genitori segue una fase di attesa durevole, si delinea un intervallo eccessivo tra il momento di preoccupazione e timore genitoriale e il momento in cui la famiglia possa ricevere un aiuto diretto. Spesso i genitori del bambino hanno ragione di preoccuparsi circa lo sviluppo sociale ed affettivo del figlio. Tale consapevolezza può essere direttamente verbalizzata o può essere espressa in modo indiretto attraverso un cambiamento nelle attitudini interattive, come precedentemente detto. La stragrande maggioranza dei genitori esprime le proprie preoccupazioni già all’inizio del secondo anni di vita, ma il 50% di essi nutre sospetti riguardanti lo sviluppo del bambino prima del compimento del primo anno di età. Nei casi di autismo questo intervallo ha durata media di uno o due anni, con conseguenze rilevanti circa la possibilità di attuare un intervento precoce. Riconoscere i sintomi della patologia è arduo, spesso questi vengono confusi con modificazioni caratteriali e temperamentali del bambino.

Inoltre è importante tenere in considerazione come l’esordio possa collocarsi in alcuni casi tra i tre e i nove mesi, mentre in altri sia evidenziabile a un anno di età. Nel primo caso il decorso è lento e graduale con sintomi quali apatia, disinteresse sociale, scarsa modulazione degli affetti, mentre nel secondo caso si parla di autismo regressivo, in cui dopo un periodo di sviluppo normale si delinea una perdita di abilità sociali.

Alcuni indicatori importanti quali la capacità del bambino di utilizzare lo sguardo come mezzo per attirare l’attenzione della madre, l’alternanza di sguardi, l’assenza della risposta al sorriso, la mancanza di risposta al nome, sono spesso poco chiari e non sempre noti anche ai pediatri per essere considerati fonti di allarme e apprensione. Prendere consapevolezza del
disturbo del proprio figlio genera nei familiari un dolore insopportabile tale da portare spesso alla
negazione del problema.

di Gaia Baldoni

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