Come uscire da una setta

Uscire da una setta non è affatto semplice e non è possibile delineare un percorso standardizzato perché bisogna distinguere due ragioni in particolare: le differenze individuali e le caratteristiche specifiche del gruppo di appartenenza. Tuttavia bisogna tenere conto che, anche se ognuno di noi è caratterizzato in maniera unica nei suoi tratti fisici e psicologici, l’effetto spersonalizzante causato delle sette è spesso presente in maniera uniforme.

È importante poi distinguere le sette per gradazioni diverse di controllo mentale e di distruttività esercitate sugli adepti: si va da situazioni pesanti, nelle quali l’ex adepto che si intende “guarire” deve essere sottoposto a una vera e propria terapia riabilitante che può durare anche molti anni, fino a situazioni molto più morbide nelle quali è sufficiente un semplice lavoro personale di rielaborazione, e ri-disciplinamento del proprio sistema psichico.

Un modo per aiutare al meglio questo persone consiste nello scoprire i meccanismi di manipolazione che le trattengono: infatti è solo sciogliendo queste catene composte da paura, confusione e senso di colpa che si può sperare l’uscita del membro dal “gregge”. Questo processo naturalmente presenta notevoli difficoltà, al punto da poter causare ulteriori conseguenze fisiche e psichiche anche nell’individuo che ha abbandonato la setta.

Dai vecchi programmi di de-programmazione all’Exit Counseling

Parlando, per quanto riguarda le sette, del ruolo dell’educazione e dell’educatore, e più specificatamente del controllo mentale, non si può non fare riferimento ad Stevan Hassan, che oltre ad aver conseguito un Master in Counseling presso il Cambridge College, ed approfondito e curato il tema dell’Exit Counseling, ha scritto importanti libri sul controllo mentale  come “Mentalmente liberi”. La sua stessa storia passata lo rende legato a questo tema: a diciannove anni infatti venne reclutato dai membri della Chiesa dell’Unificazione di Moon, un gruppo settario molto potente negli Stati Uniti. In breve tempo egli arrivò a coprire alte cariche all’interno dell’organizzazione fino a quando, in seguito ad un incidente, probabilmente causato dal notevole livello di stress accumulato a causa dei compiti che gli venivano affidati dalla setta per reperire soldi e reclutare nuovi adepti, i suoi genitori riuscirono a riportarlo a casa e a sottoporlo ad un programma di de-programmazione che ebbe buon esito. Nei 14 anni successivi egli si dedicò completamente allo studio di questo fenomeno del quale era stato partecipe, conseguendo dapprima un Master al Cambridge College e poi aprendo la strada a un nuovo approccio denominato “Exit Counseling non coercitivo” indirizzato al recupero e alla riabilitazione di ex adepti, alternativo alla de-programmazione alla quale lui stesso venne sottoposto e che considerava notevolmente violenta.  Il carattere più importante  di questo suo metodo è appunto il suo non essere coercitivo.

In generale si può affermare che le famiglie sono le prime ad accorgersi di alcune notevoli differenze nei propri figli o in altri parenti entrati nella setta: viene notato infatti un carattere imposto, non proprio, che li rende “fuori dalla realtà”, o programmati appunto. A questo proposito Margaret Thaler Singer scrive:

Le famiglie scelsero il termine programmato per descrivere i rapidi cambiamenti che avevano notato nella personalità del proprio caro – cambiamenti che non erano tipici della persona che conoscevano. Ciò che preoccupava queste famiglie non era il fatto che la persona cara avesse abbracciato una nuova religione o fosse entrata in un gruppo comunitario, era il tipo di cambiamento a cui stavano assistendo: un cambiamento repentino che non suggeriva crescita interiore, ma un modo di pensare rigido, inflessibile e una costrizione dei sentimenti. Giovani precedentemente calorosi, espansivi con molti interessi, amici e progetti per il futuro improvvisamente abbandonavano scuola, passatempi e obiettivi e rifuggivano dalla famiglia.[1]

Psicologi e psichiatri, studiando diversi casi, sono riusciti a stilare una lista delle modifiche fisiche e psichiche più frequenti di questi soggetti coinvolti all’interno delle sette:

  • Calo affettivo
  • Regressione del comportamento al punto da diventare infantile
  • Minor flessibilità a livello cognitivo
  • Dimagrimento repentino
  • Perdita di stimoli e di valori individuali

Notati tali “sintomi” le famiglie, in un primo momento, cercano di avviare delle procedure legali per ottenere la custodia legale del proprio caro, attraverso la dimostrazione dell’incapacità della persona di ragionare autonomamente e badare a se stessa. Ottenere in via legale tale consenso però è veramente difficile soprattutto perché le sette sanno come far muovere il soggetto affinché non venga considerato incapace di intendere e di volere.

Ecco uno dei motivi per cui la disperazione di alcuni genitori porta a richiedere ad un professionista esperto la “de-programmazione”, che spesso consiste in rapimenti e isolamento nei luoghi dediti alla pratica e controlli forzati. Altre volte può essere meno pesante, e consistere semplicemente nel presenziare quando la vittima e in visita dai familiari, e proibirgli di lasciare l’area.[2]

Ma ciò, pur dimostrandosi efficace in certe situazioni, si presenta deleterio per tutte le complicazioni di tipo legale. Ecco perché si è pensato ad un altro modo: l’Exit Counseling, che letteralmente tradotto vuol dire “Accompagnamento d’uscita”. Esso, a differenza di tutti i precedenti metodi, è prettamente volontario e non cerca mai di far allontanare l’affiliato dal gruppo o viceversa perché in tal caso potrebbe sentirsi minacciato.

Ciò che esso vuole creare è un percorso educativo e informativo in grado di aiutare la persona a riacquisire il suo giudizio critico e successivamente tutta la sua personalità.

[1] Margaret Thaler Singer con la collaborazione di Janya Lalich, “Cults in our midst – Le sette tra noi”, Jossey-Bass Publishers, 1995

[2] Steve Hassan, “Mentalmente liberi”, Avverbi, Roma, 1999

di Angelo Alabiso

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