Come si può uscire da una setta?

Una volta usciti dalla setta, gli ex membri seppur liberi, devono affrontare la sfida del reinserimento nella società che un tempo hanno rifiutato e disprezzato.

“L’abbandono dell’identità artificiale”, può essere concretizzata tramite la risoluzione di problemi di ordine pratico, psicologico-emotivo, cognitivo, socio-personale, psico-attitudinale. Gli ex membri devono:

  • Occuparsi di problemi pratici legati alla vita quotidiana, come il guadagnare in modo onesto, dal momento che molti di loro incameravano risorse imbrogliando.
  • Affrontare tumulti psicologici ed emotivi tramite terapie adeguate. Molto utile per esempio è la PPC (psicoterapia cognitivo-comportamentale) che integra metodologicamente le seguenti strategie e tecniche:
  • Terapia cognitiva che punta a localizzare gli errori cognitivi ricorrenti, ovvero i pensieri automatici distorti, gli schemi fissi di ragionamento e la distorsione cognitiva della realtà, con lo scopo di correggerli e integrarli con altri pensieri più oggettivi o comunque più funzionali al benessere della persona.
  • Terapia comportamentale che si prefigge l’obiettivo di modificare le abituali reazioni emotive che il paziente mostra in determinate situazioni stressanti, attraverso l’apprendimento di nuove modalità di reazione (modificazione dei comportamenti disfunzionali).
  • Confrontarsi con le inefficienze cognitive, come difficoltà di concentrazione, di attenzione, di apprendimento e di memoria.
  • Sviluppare una rete sociale e restaurare vecchie relazioni personali, se possibile.
  • Esaminare l’atteggiamento filosofico e attitudinale adottato nel periodo della setta, in maniera da poter acquisire consapevolezza degli errori compiuti.

Qualche suggerimento utile viene dato poi da Margaret Thaler Singer:

Sapere che altri prima di voi hanno sofferto di molti dei sintomi che ora forse state sperimentando voi stessi è per molti una grande fonte di conforto e sollievo. Piuttosto che pensare di essere senza speranza o di stare impazzendo, potreste ampliare la vostra conoscenza in modo da rendervi conto che le esperienze che state attraversando sono conseguenze riconoscibili della vita settaria.[3]

Ella poi continua sull’argomento scrivendo:

Quando tengo conferenze su questi argomenti so che in sala c’è chi sta pensando “Oh Signore! Ho provato tutto ciò di cui sta parlando!”. Non preoccupatevi, dico io, i disturbi alla fine scompariranno. Ed è così. È questione di tempo, di imparare a definire ciò che state provando e ascoltare buone spiegazioni su ciò che vi è successo, comprese le reazioni fisiologiche e gli alti e bassi del processo di guarigione. La guarigione è un processo psicoeducativo – quanto più imparerete sulla setta e su ciò che vi aspetta, tanto più veloce sarà il processo di recupero ed integrazione alla nuova vita.[4]

Una potente arma di controllo mentale: la psicoterapia

Stefano Re scrive: «Certo è che nessuno più di chi ha studiato ed è allenato a utilizzare i meccanismi mentali è in grado di attuare i processi di mindfucking.»[5]

Sono molti i casi di psichiatri che si prestano a forme di controllo mentale: c’è chi lo fa per questioni economiche, rendendo la terapia del proprio paziente interminabile, oppure c’è chi lo fa semplicemente per divertimento perverso. Indipendentemente dalle ragioni, dei veri e propri “culti” di terapie vengono messi in atto da questi medici manipolatori.

Di norma la terapia diviene un culto quando il terapeuta avvia i propri pazienti a una relazione che da un lato innalza l’esecutore a un livello di divinità e dall’altro fissa il paziente in uno stato di continua dipendenza e instabilità. Per fare questo, il terapeuta si serve di specifiche tecniche di manipolazioni mentale:

Uno dei vantaggi immediati dei soggetti che fanno uso della psicoterapia è la selezione volontaria delle loro vittime. Si tratta di persone con gravi problemi di autostima, instabilità e debolezza, che si offrono spontaneamente ai loro carnefici. Una volta avviata la terapia, sono difatti le stesse vittime a fornire ai loro aguzzini le chiavi delle propria schiavitù. Sono i pazienti che confidano ai terapeuti i loro punti deboli e le paure su cui fare leva per ottimizzare il condizionamento e ottenere qualsiasi cosa.

Il metodo di norma segue il medesimo schema: destrutturazione dell’Io,  l’approfondimento di fratture emotive, l’intensificazione di conflitti interiori dolorosi… tutti metodi utili per rendere la vittima vulnerabile e propensa ad accogliere ogni gesto di affetto e considerazione come un premio; viene di nuovo utilizzata la carta dell’isolamento dai familiari e altri soggetti con cui le vittime possono avere legami, adducendo scusanti per le quali il distacco serve per la riuscita della terapia oppure che la colpa dei mali della persona è della famiglia …

Al tempo stesso viene costruita una prima relazione che, da un lato, stabilisce l’autorità del terapeuta e, dall’altro, vieta critiche o forme di dissenso rispetto alle sue osservazioni.

Di norma tale rapporto viene affiancato da un legame affettivo, anche intimo in alcuni casi, che indebolisce del tutto le resistenze del paziente e attiva una forma di dipendenza.

Una volta riuscito a mettere insieme tutte queste vittime in un proprio “gruppo di terapia”, dove esistono solo il leader infallibile e i suoi discepoli, egli predicherà la separazione dal resto del mondo, visto come malato e corrotto.

All’interno del gruppo i pazienti vengono mantenuti in una profonda condizione di instabilità, inoltre le loro nevrosi e le loro difficoltà vengono aggravate e la loro dipendenza consolidata in ogni modo possibile. In generale, tutte le maggiori espressioni di controllo mentale proseguono e spesso vengono ampliate nel tempo, così come le forme di sfruttamento e sottomissione che talvolta raggiungono i livelli massimi già visti in alcune forme di setta.

Stefano Re a tal proposito afferma: «Abusi sessuali, violenze fisiche, torture mentali, umiliazioni pubbliche, controllo delle espressioni sessuali e modifica del linguaggio, sono tutti strumenti atti a perseguire “la causa”. Qui non si utilizza come supposto obiettivo la “salvezza dell’anima” bensì la “cura della mente”, ma i meccanismi e scenografie sovente sono identici.»[6]

[1] Bernard Fillaire, “Le sette”, Il Saggiatore, Milano, 1998

[2] http://www.assotutor.it/come_uscirne.htm

[3] Margaret Thaler Singer con la collaborazione di Janya Lalich, “Cults in our midst – Le sette tra noi”, Jossey-Bass Publishers, 1995

[4]  Ibidem

[5] Stefano Re, “Mindfucking”, Castelvecchi, Milano, 2009

[6] Stefano Re, “Mindfucking”, Castelvecchi, Milano, 2009

di Angelo Alabiso

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