Come affrontare la nascita di un figlio disabile

Nonostante la nascita di un figlio rappresenti sempre un evento critico di ampia portata, i genitori che convivono con figli disabili hanno il compito di fronteggiare un maggiore numero di difficoltà.
In aggiunta ai normali compiti di sviluppo, la famiglia deve attraversare e portare a compimento un percorso di accettazione, di adeguamento e riorganizzazione familiare spesso più lungo e complicato, il quale può minare e indebolire le basi su cui si fonda l’unione coniugale. In questa fase vengono messe in discussione sia la relazione che la lealtà coniugale, maggiormente problematiche diventano le relazioni intergenerazionali con le famiglie di origine, a cui spetta l’incombenza della riorganizzazione. Anche i neo-nonni devono affrontare l’onere legato alla difficile accettazione dell’avere un nipote disabile e a seconda di come affronteranno questo cammino di adattamento, i loro rapporti con i propri figli subiranno in maniera maggiore o minore delle modificazioni.

Erikson e Upshur descrivono tre caratteristiche in grado di differenziare le famiglie con un membro disabile da quelle esenti da problematiche di questo tipo. Queste riguardano compiti di cura maggiormente difficoltosi, isolamento sociale, e un diverso ruolo paterno. Per quanto riguarda il primo punto, la Letteratura in merito appare concorde nel ritenere che i genitori si trovino nella condizione di far fronte a oneri più numerosi e impegnativi. A questo proposito alcuni autori hanno proposto i termini “demanding role” e “unusual careving demands”.

La variabilità dei compiti è spesso connessa a numerose variabili quali la tipologia e la gravità del disturbo, all’età del figlio e alle caratteristiche di personalità dei genitori. I ridotti livelli di autonomia presuppongono un maggiore impegno da parte del nucleo familiare: i tempi quotidiani dedicati ad attività di cura, quali l’alimentazione, l’igiene personale, l’abbigliamento, si dilatano portando a una condivisione ripetitiva e prolungata di tale routine nel tempo. In caso di patologie connesse a ridotte capacità motorie, queste richiedono un impegno fisico non indifferente.

Eventuali problematiche nello sviluppo linguistico e problemi di tipo sensoriale possono ostacolare la comunicazione e rendere meno fluida l’interazione reciproca. Altri autori riportano problemi connessi alla più facile distraibilità e al minore adattamento all’ambiente. Recentemente i ricercatori hanno messo in luce anche i bisogni speciali (extra-care needs) che possono comprendere la necessità di assistenza notturna, manifestazioni comportamentali con scoppi di rabbia improvvisi, problemi medici che necessitano di interventi aggiuntivi.

Questo tipi di difficoltà possono anche implicare una riduzione delle attività lavorative di uno o di entrambi i coniugi. L’isolamento sociale può essere considerato come la diretta conseguenza della diminuzione di tempo libero dovuta alla gravosità di questi impegni. Alcune ricerche tuttavia, hanno dimostrato come esista una scarsa connessione tra il lasso di tempo dedicato alle cure del proprio bambino e il grado di soddisfazione nell’adempiere al proprio ruolo genitoriale.

Tuttavia alcune ricerche sottolineano come i figli disabili riescano comunque ad essere fonte di soddisfazione per i genitori,
tra le ragione primarie vi è l’esistenza stessa del figlio.

“Io sapevo che la sua condizione era seria e la prognosi povera di aspettative, ma per me lei era la mia primogenita, bellissima bambina. Tutte le volte che ho espresso la mia gioia ai membri dello staff ospedaliero, essi hanno detto: «Sta negando la realtà.» Io capivo la realtà della situazione di mia figlia, ma per me non c’è un’altra realtà.”

Un altro elemento di soddisfazione è rappresentato dai piccoli traguardi educativi raggiunti. Per un bambino normodotato è scontato imparare a parlare, vestirsi da solo, assumersi responsabilità.
Anche se il sentimento di orgoglio è presente anche in quei genitori i cui figli non presentano particolari disturbi, vi è ragione di ritenere che tale sentimento sia vissuto più intensamente quando tali apprendimenti sono frutto di sforzi o quando rappresentano conquiste ritenute impensabili al momento della diagnosi. Un ulteriore fonte di appagamento è la sensazione di rinascita legata all’esperienza della disabilità. Affrontare questo tipo di situazione rende le persone più forti, più tenaci, anche se questa sensazione positiva difficilmente occupa lo spazio mentale e l’intera vita degli individui coinvolti. Tale sensazione è spesso affiancata da momenti di scoraggiamento. Altri mutamenti riguardano l’incremento di competenze, elemento spesso sottovalutato dai servizi di riabilitazione. Si modifica anche la scala di valori a cui fare riferimento, il cui effetto positivo è quello di attribuire minore importanza a problemi e conflitti, di attribuire peso e valore agli eventi quotidiani in modo più equilibrato.96 È importante considerare anche la relazione tra la famiglia e  la comunità intesa sia come insieme di parenti amici conoscenti ma anche come sistema sia formale che informale.

L’isolamento sociale viene considerato dai ricercatori come uno dei principali fattori di rischio per la famiglia del disabile. Numerosi studi denunciano la perdita di rapporti di amicizia, la minore possibilità di affidare il proprio figlio a parenti ed amici; tuttavia la disabilità può rappresentare anche un’occasione per incontrare persone che vivono le medesime difficoltà stringendo forti legami, in quando fondati sulla condivisione del medesimo problema. Fondamentale al fine di comprendere le gravose implicazioni che la disabilità esercita sul nucleo familiare è il riferimento ad alcuni importanti temi dominanti del ciclo di vita di queste famiglie e connessi alla crescita del figlio disabile. Il primo riguarda la consapevolezza dell’immodificabilità della disabilità. Tale tema è connesso al vissuto emotivo del constatare come la disabilità rimanga tale nel tempo. Il secondo tema è quello della vita sessuale e affettiva dei figli. Quando si parla di disabilità, gli atteggiamenti culturali riguardanti la sessualità si fanno ancora più accentuati, e anche quando questo atteggiamento non è meramente repressivo, difficilmente il tema diventa oggetto di insegnato o di possibile esperienza.

Il problema della sessualità non si presenta nella stessa misura e con le stesse caratteristiche in tutti i soggetti disabili, ma dipende da numerose variabili quali il tipo di disabilità, le relazioni familiari ed extrafamiliari, l’età, il sesso, etc. L’ultimo ambito riguarda la sistemazione autonoma del figlio disabile adulto.

Molte ricerche riportano come la condizione del disabile, in alcuni casi, sia talmente gravosa, da richiedere l’istituzionalizzazione. Inoltre il diventare adulto, diverge spesso con l’ inclinazione genitoriale tesa a considerare il figlio come eterno bambino, rinunciando a investire sia a livello immaginativo che attraverso operazioni concrete allo sviluppo dell’autonomia del figlio. E’ importante tener conto del ruolo che la famiglia riveste in questo processo di crescita, questa fase rappresenta un momento di cambiamento importante ed è probabile che comporti adattamenti più funzionali e maggiori strategie di coping per far fronte alle preoccupazioni circa la vita del loro figlio; i genitori hanno l’obiettivo di pianificare il più accuratamente possibile le basi per la vita autonoma dei figli, anche se spesso una delle dinamiche prevalenti è quella dell’iperprotezione, per cui il figlio è visto come bisognoso di aiuto e ogni proposta tesa a realizzarne l’autonomia incontra resistenze o rifiuto.

Le famiglie spesso restano funzionanti poiché fondate su un equilibrio precario che però non risponde alle esigenze di autonomia del figlio.97 Ad esempio l’inserimento scolastico può rompere questi equilibri e un padre che aveva sempre negato il problema si trova a dover fare i conti con una diversità che gli è continuamente posta dagli altri ma in alcuni casi anche dal figlio stesso che può vivere situazioni altamente frustranti, di divario tra sé e gli altri. Il mantenimento di questi equilibri tende a mantenere il comportamento problematico e pone agli operatori il quesito di decidere se e come cambiare il comportamento senza alterare l’omeostasi familiare.

È solo dall’unione tra famiglie e servizi educativi che si possono realizzare iniziative tese a superare questi ostacoli. Spesso la famiglia nutre delle aspettative irrealistiche nei confronti della struttura e della sua funzione educativa, l’aspettativa è quella di un ritorno alla normalità del figlio che poiché irrealizzabile, suscita un profondo senso di fallimento e depressione. Un elemento importante in questo processo riguarda l’inserimento lavorativo per le valenze che il lavoro riveste nella definizione dell’identità adulta e per il valore sociale di un inserimento mirato che favorisca l’incontro della persona disabile con la realtà lavorativa in una prospettiva di mediazione. Dopo la scuola dell’obbligo, sono pochi gli adolescenti disabili che riescono a inserirsi in una realtà lavorativa, la maggior parte di essi trascorre la gran parte del tempo in casa o in servizi diurni a contatto con altre persone affette da disabilità. Anche i genitori hanno a che fare con l’avanzamento della loro età e vivono questa fase come particolarmente ansiogena in quanto non si rassegnano ad abbandonarsi al proprio declino fisico e mentale avendo un figlio che sopravvivrà loro senza avere le capacità di provvedere a se stesso. Spesso i fratelli del figlio disabile, se presenti, vengono chiamati in causa quali detentori di una genitorialità sostitutiva e se rifiutano l’incarico, spesso vengono investiti dai sensi di colpa. Il difficile compito di mediazione è affidato ai genitori, i quali dovranno tentare di favorire, nell’interesse degli altri figli, il loro processo di emancipazione.98

di Gaia Baldoni

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