Perché il bambino è troppo distratto


Disturbi da deficit d’attenzione e comportamento dirompente

Con questa definizione il DSM-IV comprende i seguenti disturbi:

  1. Disturbo da deficit di attenzione con iperattività: è una sindrome caratterizzata da instabilità dell’attenzione, con difficoltà di apprendimento, e da attività motoria eccessiva, da impulsività ed aggressività. Tale sindrome nel passato è stata attribuita ad alterazioni dette lesioni cerebrali minime ed è stata curata con le amfetamine. Viene diagnosticata più frequentemente nei maschi tra i 6/7 anni (dopo l’inizio della scuola): prima di questa età l’iperattività viene considerata variante della norma in bambini piccoli. Le caratteristiche cliniche del disturbo conclamato sono:
  • disattenzione: superficialità e instabilità, sia in attività scolastiche che di gioco; i lavori di questi bambini risultano disordinati perché il soggetto dimostra di non aver compreso le istruzioni, non è capace di organizzarsi, non riesce ad impegnarsi e concentrarsi a lungo, si distrae ed è sbadato;
  • iperattività: il bambino non riesce a mantenere la stessa posizione a lungo, dà segni di irrequietezza, parla troppo e fuori luogo;
  • impulsività: il soggetto “spara “ risposte a domande che non ha fatto completare, si mostra impaziente, interrompe chi parla, si intromette in attività altrui, ecc .

Le conseguenze sono chiaramente legate al rendimento scolastico che è compromesso, ai rapporti interpersonali che sono difficili a causa dell’incapacità di rispettare regole: i rischi del comportamento impulsivo e iperattivo possono portare al coinvolgimento in situazioni pericolose e lesive per il soggetto e per gli altri. Spesso la famiglia e gli insegnanti, in difficoltà, finiscono con l’assumere atteggiamenti di svalutazione e rifiuto dei comportamenti del soggetto, attribuendo il tutto ad atteggiamenti di scarsa volontà e di rispetto della disciplina.

I quadri clinici presentano un predominio di una delle caratteristiche, ma anche la loro combinazione: in questi casi il QI può risultare inferiore alla media (ma è un dato non attendibile). L’eziopatogenesi non è ancora chiara: si parla di familiarità, precedenti infezioni (es. encefalite), danno tossico intrauterino, alterazioni biochimiche, ecc. L’evoluzione è varia: il più delle volte i sintomi si attenuano con la tarda adolescenza, ma spesso questi soggetti arrivano a titoli di studio o ad attività lavorative inferiori a quelle dei coetanei o a condotte dissociali o criminali. Le strategie terapeutiche con i farmaci stimolanti (amfetamine e antidepressivi) attenuano la sintomatologia, soprattutto se associata a interventi psicoterapici e pedagogico-riabilitativi.

  1. II. Disturbo della condotta: per il DSM-IV è una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti altrui o le norme e le regole della società appropriate per l’età adulta vengono violate. I disturbi si possono manifestare in 4 diverse aree.
  • condotta aggressiva nei confronti di persone o animali: il soggetto si dimostra prepotente, minaccia, arriva all’aggressività fisica (anche uso di armi), dimostrandosi crudele verso umani o animali; ha comportamenti delinquenziali nei confronti della proprietà altrui con scippi, rapine, ecc.;
  • condotta aggressiva nei confronti della proprietà altrui: il soggetto distrugge o danneggia col fuoco o altri mezzi;
  • frode o furto: il soggetto raggira gli altri con falsificazioni, furti, ecc. ma senza aggressioni;
  • gravi violazioni di regole: il soggetto marina la scuola, esce o rientra a casa quando vuole, si dà a fughe reiterate e di lunga durata, ecc.

A questi sintomi si aggiungono atteggiamenti tipici come scarsa empatia con gli altri, interpretazione spesso ostile delle intenzioni altrui, scarsi rimorsi o sensi di colpa, intolleranza alla frustrazione, atteggiamento da “duro” per nascondere scarsa autostima, ecc.

Le conseguenze si rivelano nei problemi di adattamento sociale e di scarso livello scolastico o lavorativo. Il disturbo può avere esordio nella fanciullezza, cioè prima dei 10 anni, ed è più grave poiché i soggetti hanno maggiore probabilità di sviluppare un disturbo antisociale in età adulta; oppure nell’adolescenza, (non si hanno sintomi prima dei 10 anni): in questo caso la probabilità di persistenza del disturbo in età adulta è più bassa.

Si ritiene che possano predisporre a tali disturbi casi di maltrattamenti, gravi carenze pedagogiche, un’educazione troppo severa o indulgente, psicopatologie di altri membri della famiglia, una base genetica, ecc.

La diagnosi di questo disturbo è data dall’abnormità dei comportamenti descritti e dalla loro reiterazione: è da tenere presente che è necessaria una cura particolare nella raccolta dei dati anamnestici, da ricavarsi sia dai colloqui con i soggetti che con i loro genitori . L’intervento terapeutico di elezione è sulla famiglia del soggetto.

III.          Disturbo oppositivo provocatorio: si tratta di un disturbo che spesso precede l’insorgere di disturbi nella condotta appena descritti, oppure resta a livello di atteggiamento oppositivo, che si dimostra ben più grave di quello tipico di certe fasi dello sviluppo. Si rivela precocemente, generalmente prima degli 8 anni, e si rivolge in particolare verso le figure degli adulti, con atteggiamenti di ostilità, opposizione, perdita di controllo, litigiosità, sfide, rifiuto di regole, rancore,  che possono anche essere rivolti verso coetanei. Naturalmente ne risulta compromesso il rendimento scolastico oltre che i rapporti sociali, il tutto aggravato da scarsa tolleranza alla frustrazione, scarsa autostima, uso di alcol o stupefacenti, ecc.

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