Come nasce la Psichiatria Transculturale (Kraepelin, De La Tourette)

  1. Esordio della psichiatria transculturale: Kraepelin e De La Tourette

È nella seconda metà dell’Ottocento che cominciano ad accumularsi i risultati dei primi studi condotti in diversi paesi sul rapporto tra cultura e malattia mentale, sull’influenza che il clima esercita sull’equilibrio psichico e sui coloni, o sul ruolo che le credenze religiose hanno sull’insorgenza di alcuni disturbi.

Tra i pionieri della psichiatria transculturale la rivista Nouvelle Revue d’Ethnopsychiatrie cita il neurologo Gilles De La Tourette, presentato come il primo vero autore di uno studio comparativo condotto in diversi paesi allo scopo di confrontare affezioni descritte con categorie differenti e differentemente interpretate dalla popolazione, ma caratterizzate da profili sintomatologici comuni. Gli obiettivi e i presupposti esplicitati dallo stesso De La Tourette, sono comparare i sintomi della malattia da lui osservata (oggi conosciuta come sindrome di Tourette), sintomi tratti esclusivamente dalle osservazioni fatte dall’autore stesso o da ricercatori a lui vicini e quindi includibili in una visione diagnostica occidentale, con quelli che autori stranieri hanno attribuito a differenti malattie conosciute in diversi paesi sotto altri nomi “bizzarri”, prima di stabilire diagnosi, prognosi e trattamento dell’affezione.

Altri datano l’inizio della psichiatria transculturale in un lavoro del 1904 di Emil Kraepelin. Considerato il ruolo che una simile personalità esercitò nella storia della psichiatria moderna, è credibile attribuire a Kraepelin il primato dell’intuizione secondo cui la teoria della clinica aveva bisogno di sviluppare modelli e classificazioni su una base comparativa se intendeva realizzare un soddisfacente grado di rigore metodologico.

Egli visse tra ‘800 e ‘900 nella Mitteleuropa. Ebbe quindi una formazione mitteleuropea e si specializzò in psicologia con Wundt. Fu in questo contesto che cominciò a elaborare un sistema nosografico, più specificamente il suo problema era costruire categorie nosografiche per mettere ordine in quella massa di espressioni del disturbo psichico ancora scarsamente conosciute e definite. Influenzato dalla sua stessa formazione e dalla concezione di scienza e psicopatologia di quegli anni, quando creare classificazioni era praticamente un obbligo e fare scienza significava fare ordine classificando, gli si presentò il bisogno di confrontare le categorie che stava mettendo a punto con altri mondi: lo scopo era appunto trovare valori universali e quindi che appartenessero alla natura e che svelassero la verità della natura. Si recò dunque a Giava, al tempo colonia olandese, dove i coloni avevano creato, tra le altre cose, un manicomio. Qui vi erano ricoverati sia indigeni sia coloni prevalentemente olandesi. Kraepelin studiò una serie di pazienti, dividendo i campioni da studiare tra olandesi e nativi, confrontò quello che aveva osservato e pubblicò i suoi risultati in Psichiatria Comparativa. Nel fare ciò registrò due fenomeni che non aveva mai osservato, né studiato negli anni di formazione: il Latach (in lingua giavanese), cioè un comportamento femminile con crisi di ecolalia e l’Amok, che consisteva in una corsa di uomini maturi, in genere dovute a delle umiliazioni subite, che li portava in uno stato rotto da una crisi di agitazione furiosa e seguito da una corsa durante la quale colpivano, cercando di uccidere, quelli che incontravano. I due fenomeni erano integrati nella cultura tanto da avere dei nomi e tanto che nei villaggi veniva conficcata una picca a terra cosìcchè, chi si veniva a trovare nei pressi di una crisi furiosa, poteva utilizzarla per fermare, uccidendo o stordendo, “l’uomo posseduto”: i giavanesi vedevano infatti nell’Amok la possessione da parte di un essere mitologico ribellato al re, suo padre. Kraepelin tenta di classificare e denominare tali fenomeni fino a ricondurli ai quadri dell’isteria e dell’epilessia psichica ma lascia aperta la questione se tali disturbi abbiano o meno “carattere specifico”, se cioè la cultura svolga una piccola parte ma la loro natura sia comunque universale o se siano sindromi proprie di una specifica società e non osservabili al di fuori di essa. Quindi, già in questo primo contatto con un’alterità forte, nella fondazione della psichiatria si aprono delle falle: come gestire queste alterità irriducibili?

Prezioso rimane anche il suo contributo rispetto alla depressione nella popolazione giavanese: egli notò che la depressione era meno comune nella popolazione giavanese e, da buon rappresentante della cultura dell’epoca, teorizzò che la causa fosse la scarsa propensione a sviluppare “idee di peccato”, in quanto riteneva i giavanesi parte della più bassa linea evolutiva e quindi non in grado di sviluppare consapevolezza della finitudine dell’esistenza umana. Nonostante i suoi limiti, in molti riconoscono a Kraepelin l’esplicitazione consapevole di un progetto comparativo, sebbene ancora prigioniero degli stereotipi dell’epoca e largamente tributario di una psicologia descrittiva.

Questo tipo di verifica della fondazione dei nostri saperi attraverso l’esposizione delle alterità non facilmente riducibili è proprio anche di Freud. Egli non viaggia in paesi estremamente lontani ad incontrare popolazioni con culture estremamente differenti da quella occidentale, ma fonda il suo sistema teorico con una pretesa universale. Costruisce un’idea dell’umano dotato di conscio, inconscio e preconscio (modello topografico), parla di modello strutturale (Es, Io e Super-Io), determina le fasi dello sviluppo psicosessuale dell’uomo.. Costruisce dunque una metapsicologia fatta di determinati “attori” ed “agenzie” e tutto ciò deve essere universalmente umano perché se nascesse il minimo dubbio che questa sua costruzione non lo fosse perderebbe il gancio con la biologia e non sarebbe più scienza dato che all’epoca era oggetto di scienza quello che era legato alla natura e, la natura umana non poteva essere discutibile. La fondazione del sistema freudiano poggia sul mito di Edipo, rispetto al quale Freud avanza l’ipotesi, che per lui è certezza, che tutti gli umani per diventare tali devono passare attraverso la fase edipica, tant’è che in Totem e Tabù si permette di costruire un’ipotesi sull’origine della specie umana fondata su questa doppia matrice dell’Edipo che è il divieto dell’incesto e il parricidio. Solo che agli inizi del ‘900 si stavano formando ricercatori in altre discipline come l’etnologia o l’antropologia, ricercatori che viaggiavano più di quanto Freud avesse mai fatto e quindi erano in grado di verificare se questo impianto della psicologia, della psichiatria, della psicanalisi di origine europea potesse davvero essere generalizzato a tutta l’umanità. Si accorsero che così non era. Bronisław Malinowski, per esempio, tornando da un profondo lavoro di tipo etnografico alle isole Trobriand, afferma che l’Edipo così com’era conosciuto in occidente non era applicabile in quelle popolazioni da lui studiate. Questo fu vissuto da Freud come una minaccia alla costruzione della psicanalisi tant’è che Freud inviò un suo allievo in Australia per raccogliere dati che potessero contrastare la tesi di Malinowski. Oggi indubbiamente l’analisi critica dell’Edipo freudiano e della sua universalità ha fatto dei passi da gigante, aprendo delle faglie enormi sulla pretesa di universalità della psicanalisi freudiana, ma agli esordi del secolo scorso tale pretesa era ancora ben solida e dunque lo era la sua applicazione in altri mondi così come scontata era l’applicazione della scienza medica occidentale più in generale: questo ci porta direttamente al controverso universo della psichiatria coloniale.

di Alessia Maccarrone

alessia maccarrone

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