Una definizione di Etnopsichiatria

Etnopsichiatria: viaggio attraverso la storia

Precisazioni terminologiche

Prima di iniziare un viaggio storico all’interno dell’etnopsichiatria, citandone gli esponenti di rilievo, è necessario fare una precisazione terminologica: l’etnopsichiatria è una disciplina che nasce al confine tra vari campi: psichiatria, psicologia, etnologia e antropologia. Quale termine convenga utilizzare per rendere conto della collaborazione tra questi campi è questione dibattuta, in ambito antropologico-psichiatrico, da vari decenni. Dei vari termini proposti nessuno ha pienamente riscosso l’approvazione generale. L’incontro tra queste discipline ha quindi preso il nome di psichiatria comparativa (Murphy), psichiatria transculturale (termine coniato dal gruppo della Mc Gill University di Montréal), psichiatria culturale (del gruppo di Harvard riunito intorno a Kleinmann), alcuni autori del mondo anglosassone parlano anche di New cross-cultural psychiatry. Il termine usato in questa tesi è etnopsichiatria, termine che fa riferimento a Georges Devereux. La parola è composta da tre termini greci: ethnós, psyché e iatréia. Ethnós che significa tribù, razza, stirpe, famiglia ma anche territorio, provincia, rappresenta la dimensione locale, la specificità individuale di un determinato gruppo umano. Scrive Piero Coppo in Tra psiche e culture:

Nonostante alcuni antropologi si siano adoperati per decostruire il concetto sostenendo che le etnie sono fabbricate da chi da fuori le osserva e nomina, esse sono anche il risultato del riconoscersi popolo da parte di un gruppo, unito attorno ad un’identità comune. (Coppo, 2003, p. 131)

Psyche è soffio vitale, spirito. In realtà a partire dal XVII secolo i filosofi la studiarono come “funzione mentale”; attualmente la psichiatria, la psicologia e la psicoanalisi pur avendo divergenze sulle proprie teorie, concordano sul fatto di considerarla come funzione di un organo, il cervello, come un apparato. Continua Coppo:

Iatréia è l’arte di prendersi cura. Si tratta dunque della disciplina che pratica e studia l’arte del prendersi cura della “psiche” in territori e gruppi umani definiti. Mentre la psichiatria cerca di astrarre dal singolo caso indicazioni valide per tutti, l’etnopsichiatria ne sottolinea piuttosto la specificità in rapporto a ciò che lo circonda: il gruppo e l’ambiente di cui fa parte.

E ancora:

Essa abbraccia le varie teorie, pratiche e tecniche che costituiscono l’ossatura di ogni saper-fare che si proponga di intervenire con mezzi materiali e immateriali sulla componente visibile ed invisibile degli umani, sulle loro organizzazioni sociali, sulle loro culture. L’etnopsichiatria è pronta ad accogliere, rendere evidenti e quindi lavorabili gli “oggetti culturali”, a metterli a confronto, a negoziare la procedura tecnica più idonea, caso per caso per raggiungere il risultato desiderato. Ciò significa tra l’altro, che l’etnopsichiatria non è una psicologia, una psichiatria e una psicoanalisi per stranieri, ma un cammino, una proposta per rendere più […] efficace ogni intervento sulla dimensione immateriale umana (psiche,spirito,cultura ecc.). (ibidem.)

Chi si introduce nei meandri dell’etnopsichiatria, si immette in un sentiero impervio da percorrere: l’etnopsichiatria che guardi alla sofferenza dell’Altro culturale o ai saperi della cura in società non occidentali si trova avviluppata fra questioni complesse, cliniche quanto epistemologiche e ideologiche; la genealogia stessa dell’etnopsichiatria trascina immediatamente il dibattito intorno a concetti come “identità etnica”, “cultura”, “alterità”, “appartenenza”, “strategia di cura dei cittadini stranieri”. Per comprendere i vari profili di tale disciplina e per capire il dibattito attuale che ruota attorno all’etnopsichiatria è importante ritornare alla storia e ad alcuni passaggi ed autori.

di Alessia Maccarrone

alessia maccarrone

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