La Psicologia dei Gruppi secondo Sherif e Tajfel

sherifAncora in ambito strettamente sociale, tra gli esponenti maggiori, possiamo citare i contributi di Muzafer Sherif (1906-1980), secondo il quale il fattore indispensabile per la definizione di gruppo è composto dall’esistenza di una struttura sociale con relazioni di ruolo e status ben definite, come per esempio la famiglia, che può essere considerata come un gruppo in quanto sono presenti relazioni chiare e ben definibili, associate a differenze di potere e di status ed è inoltre essenziale l’interazione nel tempo di individui con motivazioni, interessi e problemi comuni. Con il passare del tempo si assiste ad un dissolversi dell’omogeneità del gruppo, ad una differenziazione dei ruoli, dello status e del potere1.

La realtà dei gruppi emerge dalle percezioni che le singole persone hanno di se stesse in qualità di membri della stessa unità sociale. I prodotti di queste percezioni sono i valori del gruppo e le norme. Secondo Sherif, il concetto di norma è definito come schema di riferimento che aiuta l’individuo a strutturare situazioni nuove e diverse. Le caratteristiche di una norma gruppale sono principalmente due: la norma è un consenso collettivo e ogni gruppo produce norme diverse; ogni individuo, anche se isolato, continuerà a percepire la situazione secondo la norma originata dal gruppo originario2 .

A sua volta la funzione delle norme può essere divisa in individuale e sociale: la prima comprende un insieme di strutture di riferimento attraverso le quali viene interpretato il mondo, servono in riferimento a situazioni ambigue; la seconda comprende un insieme di strutture finalizzate a coordinare le attività dei membri del gruppo, facilitano quindi il pervenire degli scopi e scoraggiano coloro che impediscono il raggiungimento di un obiettivo3.

Gli elementi che strutturano e definiscono un gruppo sono quindi l’organizzazione di ruoli e status, la divisione funzionale, la stratificazione delle posizioni ricoperte e del potere correlato, un complesso di norme e valori regolanti i comportamenti individuali e collettivi almeno nei settori di più frequente impegno.
Ogni gruppo non ha vita isolata, ma opera in situazioni di scambio con altri aggregati, perciò non è possibile scindere l’analisi intragruppo dall’esame intergruppo. Infine, le relazioni all’ interno del gruppo sono di tipo continuativo. I fenomeni intergruppi non possono essere spiegati invocando esclusivamente problemi di personalità o frustrazioni individuali. E’ necessario considerare le proprietà dei gruppi e le conseguenze dell’appartenenza di gruppo sugli individui.

tajfelL’ultima definizione di gruppo citata è quella di Henry Tajfel (1919-1982), i suoi contributi sono rivolti agli studi sull’identità sociale e sulle relazioni intergruppi.

Per questo autore il gruppo esiste quando due o più individui si definiscono “membri” e l’esistenza del gruppo è riconosciuta da almeno un’altra persona o da un altro gruppo, il criterio semantico per definire e contraddistinguere un gruppo è quindi il sentirsi parte ad esso. La teoria dell’identità sociale deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale. L’appartenenza si dislega su tre piani: il piano cognitivo, che corrisponde alla vera e propria consapevolezza di appartenere ad un gruppo (in group) e tale appartenenza contrappone il gruppo e lo diversifica dagli altri (out group); il piano affettivo, ovvero la componete emotiva legata all’appartenenza; il piano valutativo, cioè una connotazione negativa o positiva riguardo l’appartenenza, coinvolgendo aspetti caratteriali intrinseci all’individuo nei confronti del gruppo, come per esempio l’orgoglio. Tutte e tre le componenti sono essenziali per la partecipazione alla vita sociale4.

Tajfel propone così il concetto di “entitatività”, ovvero il grado di realtà, consistenza e omogeneità con cui il gruppo è concepito dai membri non appartenenti. L’entiatività è la base attraverso la quale si costruiscono e si guidano le interazioni sociali5.

Quindi per Tajfel l’identificazione ad un gruppo è mossa da due motivazioni fondamentali: il bisogno di ridurre l’incertezza soggettiva che riguarda i propri pensieri, atteggiamenti e comportamenti, nel momento in cui ci si identifica ad un gruppo si aderisce ad una sorta di prototipo con caratteristiche comportamentali distintive; soddisfare il bisogno di autostima e accrescere il proprio se positivamente6.

1 Ibidem

2 A.Quadrio, F.R.Puggelli, Elementi di Psicologia, Vita e Pensiero, Milano, 2004.

3 O. Licciardello, Il piccolo gruppo psicologico, Teoria e applicazioni, FrancoAngeli, Milano, 2005.

4 A.I. Alberici, Psicologia sociale dell’azione collettiva, Vita e Pensiero, Milano, 2006.

5 A.Palmonari, N.Cavazza, M.Rubini, Psicologia Sociale, il Mulino, Bologna, 2002.

6 A.I. Alberici, Psicologia sociale dell’azione collettiva, Vita e Pensiero, Milano, 2006.

di Eleonora Caponetti

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