Come Riconoscere l’Amnesia Retrograda Pura e Transitoria

Nella letteratura scientifica sono state portate nuove classificazioni riguardo alla sindrome amnesica. De Renzi e colleghi (De Renzi et al., 1997) hanno sottolineato l’esistenza di un’amnesia retrograda pura, che si differenzierebbe sia da quella classica cioè retrograda semplice e quella anterograda. L’amnesia retrograda pura vedrebbe la sua eziologia da cause di natura psicogena. In particolar modo, gli autori sopra citati, ritengono che per essere soddisfatta una diagnosi di tale natura, debbano essere rintracciati tre criteri: un quadro clinico con disturbi di natura psichiatrica, una situazione sia ambientale che psicologicamente stressante e provante per il soggetto, che vede essere costretto ad alleviare tale peso adottando una difesa amnesica e infine aspetti specifici dell’amnesia stessa come la sua durata (di poche ore o giorni) ecc. Ciò che contraddistingue l’amnesia retrograda pura da quella retrograda classica è la totale perdita di memoria retrograda non seguendo alcun gradiente temporale, colpendo in egual maniera sia ricordi più lontani che recenti; mantenendo invece preservata la memoria anterograda.

Purtroppo, nonostante numerosi contributi di ricerca su casi clinici riguardanti tale amnesia, ancora oggi non è possibile localizzarne un’area ben precisa a livello anatomico. Inoltre i pochi casi di amnesia pura che sono stati documentati in letteratura clinica (Lucchelli et al., 1995) non vedono soddisfare i criteri esposti precedentemente, dunque non verrebbe riconosciuta una natura psicogena a quest’ultima. Lo studio condotto da De Renzi e colleghi ha permesso di analizzare in maniera dettagliata un paziente affetto da questa particolare forma di amnesia, permettendo di evidenziare numerose differenze rispetto alle due forme classiche di amnesia descritte nella clinica.

Se nell’amnesia retrograda classica abbiamo mantenuta la memoria semantica, il paziente descritto dagli autori invece vedeva una totale perdita dei ricordi semantici, dunque una grave compromissione di quest’ultima. Per contro il paziente vedeva mantenere nella norma le proprie capacità intellettive, grazie a seguito di una valutazione neuropsicologica attenta a misurare queste abilità. Infine era possibile trovare come conseguenza dell’amnesia retrograda un deficit anche di natura linguistica, non grave né riconducibile ad un disturbo afasico, in quanto il disturbo non interessava nessuna delle tre unità funzionali del linguaggio cioè, fonologico, semantico e sintattico. Alla luce di queste interpretazioni, De Renzi ritenendo non soddisfacente la spiegazione psicogena, ritiene di rivedere la definizione di amnesia retrograda pura dandone un’eccezione in termini funzionali, dunque chiamandola amnesia funzionale. Soffermandoci più sull’aspetto funzionale, permette di bypassare sull’aspetto invece strutturale o anatomico ancora incerto. Infine è possibile individuare un’ultima forma di disturbo amnesico ma di natura transitoria, in quando il danno pur essendo marcato produce un’amnesia e un deficit di memoria a lungo termine temporaneo con recupero.

Quanto dura l’amnesia?

La durata dell’amnesia in questi casi può variare da poche a molte ore ma prevede un recupero della funzione cognitiva alterata, dunque non un danno irreversibile e permanente. L’eziologia stessa è ancora incerta ma sono riconosciute ad oggi le seguenti ipotetiche cause: crisi epilettiche, attacco transitorio cerebrovascolare, vulnerabilità a seguito di episodi metabolici critici dei neuroni del lobo temporale, traumi cranici e terapie elettroconvulsive. A un esame attento neurologico (Kritchevsky, 1989), un paziente si presenta confuso, senza però registrare deficit attenzionali e di coscienza e preservando il ricordo di eventi antichi, dunque un’amnesia transitoria retrograda limita nel tempo accompagnata anche da un’amnesia anterograda.

di Chiara Spinaci

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