I rischi della terapia personale per lo psicologo

Nel precedente paragrafo ho voluto elencare le finalità della terapia personale all’interno della formazione psicoterapeutica. Tutte quelle situazioni e tutte quelle motivazioni in cui una terapia perso-nale sembra essere la scelta più giusta, sembra essere proficua, sembra essere il rimedio più adatto.

Ma come spesso accade, anche i cosiddetti benefici della terapia personale, possono nascondere un’altra faccia della medaglia. Infatti vi si possono riscontrare delle problematiche associate, dei punti di incertezza, che è bene chiarire e spiegare di seguito.
Ho esposto che per una buona formazione è necessario garantire l’apprendimento di conoscenze e abilità personali e relazionali che appartengono al terapeuta stesso, indispensabili per affrontare il proprio futuro in ambito psicoterapeutico nel migliore dei modi (Mancini & Perdighe, 2010,p.6).

Questo è un punto molto importante, dato che nel processo terapeutico sono due le personalità che interagiscono, è necessario che si ponga la giusta attenzione non solo alle variabili didattiche che possono essere apprese durante la formazione, ma è indispensabile un’altra variabile, cioè quella dell’esperienza. E’ bene che il terapeuta faccia esperienza, che riesca a comprendere il suo funzio-namento interno, una volta fatto questo può mettersi nella condizione di provare a capire il paziente. Se il terapeuta non ha ben presenti i suoi pattern relazionali, il suo funzionamento emotivo, rischia di attribuire significati che in realtà appartengono a lui stesso, difficoltà che non sono del paziente, ma sono le sue. Alla terapia personale viene attribuito il compito di risolvere i problemi di autoconoscenza che possono incidere anche sulla performance.

Cos’è la Terapia secondo Freud?

Dunque possiamo collegarci alle intuizioni di Freud, secondo il quale: “l’analisi è concettualizzata come uno strumento specifico di conoscenza e superamento delle difese che ha per effetto la purifi-cazione del terapeuta da motivazioni personali interferenti” (Mancini & Perdighe, 2010, p.6).
Quindi, all’analisi è attribuita la funzione di disincentivare i pattern personali del terapeuta che in-fluiscono negativamente sulla prestazione, ri-orientando il futuro terapeuta nella giusta direzione.

Assistiamo a una sorta di evoluzione della terapia, da purificazione delle motivazioni freudiane ci si sposta verso una terapia definibile come didattica.

La terapia personale assicura le funzioni appena descritte?

Si può davvero auspicare all’efficacia di questa terapia, che consenta ai futuri terapeuti di liberarsi dei propri pattern relazionali disadattivi, o meglio di imparare a riconoscerli e non metterli in atto?
Generalmente quando la terapia personale è inserita nei programmi di formazione, non viene specificato su quali punti questa debba snodarsi. Un’altra funzione riconosciuta alla terapia personale che ho esposto, è quella relativa non solo a porre rimedio ad alcune variabili che interferiscono con la te-rapia, ma anche ad aiutare i futuri terapeuti ad acquisire abilità personali e relazionali, o comunque rafforzarle in vista del loro futuro lavoro terapeutico. Ma non ci sono certezze che la terapia persona-le possa essere vista come lo strumento più utile ed idoneo per far fronte a questa carenze di abilità di cui si parla.

Empatia e Psicoterapia

Per chiarire meglio la questione, posso fare un esempio. Parliamo di empatia. E’ risaputo che quando si parla di alleanza terapeutica, un ruolo fondamentale è ricoperto proprio dall’empatia. Se il terapeu-ta non è in grado di entrare in contatto con l’altro, se non riesce ad identificarsi con l’altro e non è in grado di condividere le situazioni emozionali dell’altro, appare molto difficile instaurare un’alleanza terapeutica con il proprio paziente. L’empatia può perciò essere definita come una delle variabili più critiche, non solo per l’instaurarsi dell’alleanza in terapia, ma anche come una variabile importante che si collega direttamente alla qualità e agli esiti della performance. Esiste però un’ipotesi basata su una ricerca di Hall, Davis e Connelly (2000), che l’empatia possa essere definita come una sorta di tratto di personalità, che non muta nel tempo, ma che rimane stabile.

Se ciò è vero, l’empatia è un tratto che non può essere influenzato o modificato così facilmente. Invece la questione è un’altra. Non si può pensare che se un soggetto manchi di una qualità innata come l’empatia, non sia adatto alla professione di psicoterapeuta, certo sarebbe un vantaggio, ma si tratta di una caratteristiche che si potrebbe apprendere, si potrebbe insegnare all’interno di un percorso formativo, ma non necessa-riamente con la terapia personale.

Anche in relazione con la terza funzione della terapia personale che avevo indicato precedentemente, relativa alla cura dei possibili disturbi psicopatologici del terapeuta, si aprono nuovi interrogativi sull’effettiva efficacia e utilità della terapia personale. Il disturbo psicologico di cui parliamo è suffi-cientemente curabile? E soprattutto, risolvere il disagio del terapeuta assicura, poi, l’apprendimento di quelle qualità tanto importanti, per il raggiungimento di una performance soddisfacente? (Mancini & Perdighe, 2010).
Infine “la presenza di aspetti psicopatologici sembra non avere necessariamente una relazione positiva con minori capacità di cure” (Mancini & Perdighe, 2010).
Per concludere, bisogna sottoporre all’attenzione un altro interrogativo,primo fra tutti: la terapia è effettivamente un rimedio idoneo, tenendo presente anche il caso in cui fosse obbligatorio per tutti?

Sarebbe, forse, più corretto procedere diversamente? Magari valutando, caso per caso, ed interve-nendo nel modo che possa risultare più corretto e proficuo, per quel determinato terapeuta (Mancini & Perdighe, 2010). O, non sarebbe più proficuo concentrarsi invece che sulla terapia personale (che forse non è in grado di risolvere adeguatamente tutti i problemi legati alla futura performance del te-rapeuta), all’interno di un percorso formativo, sul concetto di “fare esperienza”? Non sarebbe più produttivo puntare sulle qualità di ogni singolo terapeuta, rafforzarle e indirizzarlo verso un suo mo-do di fare terapia?

di Federica Briganti

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