genitorialità psicologia

Le Genitorialità spiegata da Massimo Recalcati

In un’intervista fatta a Massimo Recalcati[1], il 9 aprile 2013 a Bologna, egli parla della genitorialità come la possibilità di consentire alla vita dei figli di espandersi o al contrario schiacciarla, rendendo difficile lo sviluppo maturo della persona. Recalcati afferma che i genitori devono rispondere all’appello dei figli, alla loro chiamata, attraverso un “Eccomi”.

Il venire al mondo è un essere gettati nella vita, un essere gettati nel buio della notte, in una condizione precedentemente sconosciuta. Venuto al mondo il bambino piange e urla, non sa dove si trova, non è più protetto e contenuto dalla placenta. Questa esperienza traumatica implica un’assunzione di responsabilità del genitore, che deve farsi presenza e dire “non sei solo e abbandonato nel tuo corpo”, “non sei nell’abbandono assoluto”. Dove c’è presenze e risposta la vita non è abbandonata, ma voluta, desiderata e attesa “Tu non sei qui per caso. Tu non sei qui nell’abbandono assoluto. Tu non sei semplicemente un grido nella notte. La tua esistenza ha un senso per me”.

La genitorialità, secondo Recalcati, è sempre adottiva, implica l’adottare un “sì”, che dà un senso all’esistenza del bambino. Occorre, perciò, sottrarre la vita all’abbandono assoluto, ma se ciò non accade, se nessuno risponde al grido del piccolo che richiama chi si prende cura di lui, la vita diventa esperienza di insensatezza e insignificanza, perdendo l’altro il soggetto perde l’immagine di sé, non si riconosce. Recalcati parla così di amore malato, che si contraddistingue nell’abbandono, ossia nel non assumersi la responsabilità che comporta la filiazione, provare angoscia per tutto ciò che la maternità comporta. 

La comprensione di quanto sia grave la trascuratezza (considerata come l’incapacità di provvedere ai bisogni fisici, educativi ed emozionali del bambino) e la deprivazione delle cure materne, implica una definizione dei bisogni fondamentali primari di ogni essere umano, ovvero quelli che possono assicurare non solo la sopravvivenza, ma anche la possibilità di sviluppare una personalità sana.

Bowlby e altri studiosi hanno evidenziato come una personalità distorta o non in grado di avere un buon adattamento all’ambiente circostante, sono da ricondurre a quanto siano stati soddisfatti i bisogni di protezione e di conforto. I bisogni primari, quindi, non sono quelli relativi all’alimentazione o alla pulizia, ma quelli relativi al poter usufruire, in particolare nei primi mesi di vita, di qualcuno che possa rispondere al naturale bisogno di protezione in caso di pericolo. Pertanto, il bisogno di vicinanza con adulti significativi, se non soddisfatto, può produrre uno sviluppo negativo e una forte vulnerabilità che si esplicitano più tardi, durante l’adolescenza e l’età adulta, attraverso condotte deviate o manifestazioni di sintomi di patologie mentali. Un accudimento adeguato del bambino si esprime a livello comportamentale con il contatto fisico, e a livello psicologico con segni di approvazione e supporto da parte del caregiver, che suggeriscono al piccolo un senso di calore e di vicinanza, nonché il riconoscimento delle proprie capacità. L’insieme di questi fattori, compreso il contatto tra il bambino ed il suo caregiver, ha effetti biologici sulla regolazione emotiva, sulla attività neurotrasmettitoriale e sulla produzione di endorfine. La mancanza di questi elementi può, al contrario, alimentare la sensibilità nei bambini, rendendoli emotivamente insicuri fino a portarli a stati di stress cronico elevati, che possono alterare la produzione di cortisolo, causando effetti cerebrali.

[1] www.mauroscardovelli.com/EPC/Economia,_politica_e_cultura/Recalcati.html

di Federica Visconti

Scrivi a Igor Vitale