Psicologia del Marito Alcolista

assenzio“ALCOL: STORIA DI UNA GRANDE ILLUSIONE”

 

Partiamo con la descrizione di questo quadro, L’Assenzio, di un famoso pittore francese Edgar Degas.

I due soggetti raffigurati sono assuefatti dal consumo di assenzio, un distillato ad alta gradazione alcolica.

Degas mette i evidenzia l’intorpidimento della coppia, consumata dall’effetto del distillato e ne sottolinea l’isolamento e l’emarginazione spostando i soggetti quasi in disparte sulla superficie pittorica, che risulta per metà vuota.

Pur essendo seduti vicini , i personaggi sembrano lontanissimi fra loro con lo sguardo perso nel vuoto, quasi che Degas volesse rappresentare una coppia di estranei.

Rappresentano due solitudini che non si incontrano, nemmeno con lo sguardo, anche l’atmosfera dà un senso di oppressione e di pesantezza.

Degas, infatti, assegna al quadro un titolo insolito (Assenzio) proprio per mettere in evidenzia gli effetti collaterali della bevanda.

Ho scelto questo quadro, per evidenziare gli effetti dell’alcol che può procurare alle persone, in questo caso ad una coppia.

I soggetti sembrano quasi due estranei tra di loro ed estranei anche a tutto ciò che gli può capitare attorno.

L’alcol, infatti, non è altro che un’illusione, l’illusione della persona che pensa di star meglio e di riuscire quasi ad affrontare i  propri problemi.

Questo lavoro, quindi, nasce da una serie di speculazioni teoriche e muove da alcuni presupposti, primo fra i quali riguarda la complessità di chi si pone in relazione con famiglie di soggetti alcolisti.

L’obiettivo, però, di tale elaborato è quello di andare ad analizzare il ruolo della donna all’interno della coppia alcolista, donne che in tali occasioni possono ritrovarsi anche in situazioni di maltrattamenti, indotti dall’abuso smodato di alcol da parte del proprio partner, che pur riconoscendolo come inadeguato a volte non riescono a lasciarlo entrando in un circolo vizioso che le potrebbe portare in un meccanismo di assuefazione nei loro stessi confronti.

Ma allora poniamoci la domanda, del perché possa accadere tutto questo.

Perché queste donne, allora, scelgono uomini così inadatti a loro?

Per spiegare ciò, è fondamentale cominciare a parlare della formazione della coppia.

Quando due individui, infatti, decidono di stare insieme e formare una coppia, è inevitabile che entrambi  i soggetti porterebbero con se non solo le proprie caratteristiche, ma anche e soprattutto i modelli delle rispettive famiglie d’origine. Si incontrano così due storie familiari differenti, ognuno con i propri problemi e aspettative. La scelta del partner, quindi, è un momento di formazione della coppia e tale scelta avverrebbe o per somiglianza, cioè l’uomo è propenso a scegliere una donna che somigli alla propria madre e la donna è propensa a scegliere un uomo che somigli al proprio padre, o per differenza con il genitore del sesso opposto. Tutto ciò renderebbe il rapporto coniugale un campo di manifestazione di irrisolti rapporti oggettuali del passato e può basarsi su un vincolo chiamato collusione.

A tal proposito, infatti, dobbiamo far riferimento alla Teoria dell’Attaccamento di J. Bowlby, il quale sosteneva che l’attaccamento è un legame che accomuna tutti gli esseri umani, che hanno la tendenza a stringere legami affettivi preferenziali con gli altri individui lungo tutto l’arco della vita. Lo sviluppo infantile, quindi, è fondamentale perché in base al modo in cui siamo stati accuditi ed educati dai nostri genitori, tutta la nostra esperienza infantile diventerà il nostro bagaglio culturale che ci permetterà di instaurare relazioni amorose con altre persone e la loro difficoltà ad instaurare altri legami affettivi.

Quindi, il valore che le figure genitoriali ci hanno trasferito diventa la modalità con cui ci presentiamo nella relazione con l’altro; ecco perché ci dovremmo preoccupare della riparazione delle nostre ferite, in modo da non presentarci all’altro appesantiti e feriti, chiedendo inconsciamente al nostro partner di riparare i nostri dolori. Tutto, quindi, parte dalla nostra famiglia d’origine , nella quale l’individuo si struttura riferendosi alle figure parentali.

Per quanto riguarda l’individuo alcolista, quindi,  quest’ultimo ha spesso una famiglia caratterizzata da una rigida impronta vetero patriarcale, dove il padre assolve ai ruoli economici ed educativi, astenendosi da coinvolgimenti emotivi con la moglie e con i figli, la madre vicariava la parzialità dell’impegno del compagno verso i figli. Questi genitori, quindi, si sono più che altro preoccupati degli elementi di significato esterni alla famiglia, come la dignità sociale, l’uniformità sociale…che porterebbe tutto ciò ad un attaccamento insicuro.

Quello dell’alcolista, quindi, è un comportamento compulsivo, ossia di una condotta tipica del tossicomane. L’alcolista si rifugia, infatti, in questa bevanda perché affetto da una grande sofferenza fisica e psicologica, vivendo un continuo stato di tensione, di difficoltà relazionale e sentimenti di insicurezza. La psicoanalisi si è sempre occupata delle patologie cosiddette sociali, come in questo caso l’alcolismo. La maggior parte degli orientamenti psicoanalitici, infatti, come la scuola ortodossa che si rifà alla trattazione di S. Freud, privilegiano quattro aspetti: un difetto in una fase precoce dello sviluppo, vale a dire una regressione/fissazione alla fase orale; tendenze omosessuali inconsce o angosce omosessuali da disturbi dei processi d’identificazione sessuale, una dimensione depressiva autoaggressiva, con rimbalzi maniacali da perdita oggettuale precoce; e problematiche narcisistiche da investimenti particolari sull’oggetto Sé.

Altri studiosi, inoltre, come Fieze e Scharfer sostengono che il bere può essere utilizzato dai mariti come strategia di dominio nei confronti del coniuge e della famiglia. L’uomo alcolista, inoltre, spesso potrebbe ricercare nella donna un rapporto materno iperprotettivo. Questo porterebbe, quindi, ad un equilibrio familiare disfunsionale. La moglie, dall’altra parte, invece, dovrebbe ricoprire anche il ruolo del marito, diventando in un certo senso il suo sostituto. Secondo Kessel e Walton , ipotizzano che i futuri compagni degli alcolisti (mogli) seguono modelli comportamentali già incorporati all’assistenza; la moglie dell’alcolista spesso è figlia di un alcolista e pensano che in essa vi sia l’esigenza di riproporre l’esperienza vitale originaria. Quindi, avere un padre alcolista potrebbe influenzare nella scelta di un marito bevitore così da poter rivivere nel matrimonio il rapporto con lui. La donna, quindi, ha fatto questa scelta inconscia, perché era convita di poterlo cambiare.

Molti psicologi, inoltre, sostengono che la moglie dell’alcolista avrebbe avuto una famiglia generazionale rigida che le ha imposto nella sua esistenza un ruolo di martire, così la donna scivolerebbe in una condotta punitiva e accusatoria pur conservando la connotazione di martire, a fronte di un marito che ricorre all’alcol. Secondo la Schutzenberger, quindi, giunge alla dimostrazione che le persone non siano altro che anelli concentrici prigionieri in una catena di generazioni che impedisce di poter scegliere secondo la propria libertà personale, sottomettendosi ad eventi e traumi già vissuti dai nostri antenati. Le trasmissioni transgenerazionali sarebbero, quindi, legate a dei segreti , ad degli eventi taciuti senza né essere pensate ed elaborate o risolte, manifestandosi come un pensiero muto. Ricostruendo, infatti, i passaggi significativi dell’intera storia familiare diviene possibile una presa di consapevolezza delle ripetizioni che rendono la persona prigioniera e sofferente.

A tali problemi che sorgono tra una coppia e quindi all’interno della famiglia, verrebbe procurata una delle possibili strade percorribili per ridare “serenità” alla coppia stessa, che è caratterizzata dal divorzio/separazione. Tale scelta potrebbe portare entrambi i soggetti ad una possibilità di individuazione, ove per individuazione si intende quel processo di differenziazione da ogni altra persona, che come obiettivo ha lo sviluppo della propria personalità individuale. Ognuno di noi, infatti, si deve differen­ziare dalla madre, dal padre, dai fratelli o sorelle e dalle altre persone, in modo da acquisire una propria individualità come soggetto psi­cologico. Una coppia, infatti, dovrebbe essere costituita dall’individuazione, ovvero il riconoscimento del singolo, e dalla coesione, vista come senso di appartenenza e di intersoggettività di ogni persona. La separazione, quindi, è una delle fasi più stressanti della storia familiare e comporta infatti un rimodellamento delle funzioni genitoriali. Tale parallelismo, tra individuazione e separazione, potrebbe essere paragonato al quadro evolutivo della Mahler, la quale parla proprio di separazione, nel caso del bambino, che consiste nel suo emergere da una fusione simbiotica ( marito- moglie) con la madre e l’individuazione che consiste in quelle conquiste che denotano l’assunzione da parte del bambino delle proprie caratteristiche individuali. Bertini, infatti , definiva il divorzio un’alternativa al tentativo di maturazione per la coppia alcolista. . I membri della coppia, quindi, finiscono così per concretizzare una situazione problematica che poteva anche non emergere. Analizzando il ruolo della donna all’interno della coppia alcolista, quindi, diciamo che il suo compito diventa di giorno in giorno sempre più complesso ed insostenibile, ma tale decisione di stare accanto ad un uomo che le potrebbe procurare solo dispiaceri, sarebbe dettata nella maggior parte dei casi dalla sua esperienza familiare che ha vissuto durante l’infanzia.  Un rapporto vissuto in questo modo, quindi, potremmo definirlo “malato”, creato dalla pura esigenza di entrambi i coniugi di avere l’uno il bisogno di essere aiutato e l’altro di aiutare il proprio partner. I soggetti di questa coppia, quindi, sono un po’ come quei due soggetti che vengono rappresentati nel quadro di Degas, lontanissimi tra loro, sono due solitudini che non si incontrano mai come se fossero due estranei.

di Sara di Lauro

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