Psicologia dell’Immigrazione

immigrazioneRIASSUNTO TESI SULL’IMMIGRAZIONE: “IMMIGRATI STRANIERI: TRA INTEGRAZIONE ED ESCLUSIONE SOCIALE” di Sara di Lauro.

 

Questo lavoro nasce da una spinta motivazionale a conoscere ed analizzare l’esperienza migratoria, come un vissuto che psicologicamente potrebbe essere traumatico e che inevitabilmente comporta un grande cambiamento nella vita di tutte quelle persone che hanno deciso di immigrare.

Diciamo, prima di tutto, che la motivazione che spinge una persona ad allontanarsi dalle proprie abitudini e dalla propria cultura, non è mai una sola, ma esistono svariati motivi per cui si migra.

Ecco che ogni immigrazione, infatti, diventa rottura, rottura con un territorio e quindi con una popolazione, un ordine sociale, economico, politico, culturale e morale.

A questo punto del mio elaborato, infatti, ho ritenuto opportuno mettere in evidenza l’importanza di conoscere le dinamiche psicologiche specifiche dell’esperienza dell’immigrazione che ci permettono così di essere meno stranieri all’estraneo.

Diciamo che il rapporto con lo sconosciuto e l’estraneo se, da una parte, può evocare curiosità e ricerca, soprattutto quando l’estraneo è un luogo o delle persone verso le quali andiamo, come può succedere nei viaggi o negli incontri e nelle esperienze ricercate; dall’altra, può evocare smarrimento, chiusura e costruzione di sottili e striscianti pregiudizi, soprattutto quando con gli estranei, stranieri di lingua, di cultura e di assetti relazionali, si condividono le aree della convivenza sociale.

Ecco che da qui nasce la necessità di parlare delle sofferenze emotive delle persone che vivono l’esperienza migratoria e che sono poco pensate e riconosciute; ma ancor più perché sono escluse dalla comunicazione: non c’è la lingua condivisa dei pensieri e delle emozioni e sottili e profonde difese psichiche ci rendono distanti a questa compartecipazione.

Quindi, diciamo che ci si difende da ciò che è perturbante poiché evoca sentimenti di dolore, di impotenza, di difficoltà e di sofferenza.

Nell’ immigrazione, infatti, non è tanto traumatica la qualità del “perturbante”, nel senso che Freud conferisce al termine “unheimlich”, quindi come qualcosa di nuovo, inaspettato, inesplicato, “qualcosa in cui per così dire non ci si raccapezza”, che provoca senz’altro l’impatto con l’ambiente nuovo e sconosciuto; quanto il trovarsi in una situazione della quale non vi è stata esperienza.

Nel rapporto con il paziente straniero, infatti, emergono molteplici difficoltà nel comprendere ciò che la persona vuole comunicare, difficoltà che non sono solo linguistiche, ma anche dovute alla problematicità di capire quale sia il bisogno che spinge l’utente a rivolgersi al medico e quali siano le aspettative che egli nutre, assieme anche ai paradigmi e copioni familiari che vanno compresi ed esplicitati.

Il paziente straniero ha proprie caratteristiche specifiche che legano i suoi eventuali problemi al distacco, allo sradicamento e al mutamento improvviso e traumatico di stili di vita, di dinamiche quotidiane acquisite e poi interrotte, di legami affettivi troncati e sicurezze individuali disperse.

L’ incontro psicologico con i nuovi arrivati, quindi, ci aiuterebbe proprio a capire e a comprendere l’altro.

Dobbiamo però tener presente che , l’incontro con il fenomeno dell’immigrazione deve essere affrontato anche sul versante della popolazione che riceve i nuovi individui, aiutando a contenere l’ansia legata alla minaccia alla propria identità culturale, al significato di modificare o adattare i propri confini geografici, anche e soprattutto dal punto di vista del loro valore psicologico come modifica di confini interni, e su questa linea predisponendo le ipotesi d’introduzione di nuove leggi, o la modifica delle strutture sociali già esistenti.

Soprattutto però, una volta che la natura di quest’ansia possa essere elaborata e compresa, valutando come il fenomeno dell’immigrazione metta la popolazione che riceve gli immigrati nelle necessità di fare i conti con se stessa e con la propria capacità d’integrazione, intesa come una capacità di operare dei cambiamenti al proprio interno, attraverso un adattamento reciproco.

Affrontando, poi, sul piano clinico alcuni di questi casi, è utile riflettere su una diagnosi fenomenologica, perché essa implicitamente rischia di tradursi in un progetto terapeutico volto a facilitare il “radicamento” in una nuova terra, nel senso di una richiesta di adattamento alla realtà di vita attuale, prescindendo dalla precedente esperienza della persona e quindi anche dalla potenzialità traumatica dello “sradicamento”.

L’esperienza complessiva può essere sicuramente paragonata con quella del lutto, cioè il dolore cosciente o meno, che lascia in ognuno di noi il fatto di non potere più stare a contatto con le persone care o i luoghi familiari. Si potrebbe parlare di un dolore che in alcuni casi può anche essere fonte di problematiche psicologiche, affettive o relazionali (vivere con lo sguardo verso il passato, chiudersi nei confronti di una realtà non accettata, rifiutare ciò che mi è fuori dell’ordinario, inspiegabile o bizzarro,…).

E’ utile, infatti, in questo senso avviare una riflessione introspettiva, anche se a volte può essere dolorosa.

Ecco che diventa fondamentale, quindi, la possibilità di condividere e di costruire con l’altro una dimensione empatica, nel riconoscimento dell’alterità, che permette infatti una relazione che si può modulare, nei vari assetti lavorativi, con maggiore libertà.

In questa coralità viva di discorsi, diciamo che l’attenzione è rivolta a prendersi cura delle proprie ed altrui domande per costruire percorsi di trasformazione.

Si richiede infatti sempre un profondo impegno personale ed istituzionale nel riuscire ad organizzare in concreto la propria esistenza in un confronto continuo con punti di vista ed abitudini diverse, riguardo ciò che viene vissuto.

di Sara di Lauro

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