Mnemotecniche Verbali per la Riabilitazione della Memoria

mnemotecnicheQuando parliamo di mnemotecniche verbali, dobbiamo fare prima un passo indietro e spiegare che cosa intendiamo per mnemotecniche. Con questo termine ci riferiamo a tecniche e procedure grazie alle quali possiamo ricordare sia in maniera più efficiente che più velocemente ogni tipo di materiale, da semplici parole, numeri a immagini o addirittura storie; rendendo anche più facile la ritenzione. In letteratura scientifica e nella riabilitazione neuropsicologia, quando ricorriamo a queste tecniche, ci riferiamo a procedure e strategie interne che apprendiamo mediante processi consapevoli e non tramite procedure implicite o con l’aiuto di ausili esterni. Le mnemotecniche verbali possono essere di vario tipo. Al loro interno troviamo:

  •  il metodo delle iniziali;
  • il metodo delle rime;
  • il metodo delle storie;
  • il metodo delle immagini mentali o immagini assurde;
  • il metodo dei loci.

Queste tecniche come abbiamo detto, richiedono partecipazione attenta e attiva da parte del paziente che deve essere riabilitato e un apprendimento consapevole di queste strategie. I compiti si presentano come semplici esercizi, sia verbali che visivi, grazie all’insegnamento di tecniche, il paziente svilupperebbe la capacità di ricordare e mettere in ordine in maniera più chiara il materiale da rievocare successivamente.

Il Metodo delle Iniziali

Il metodo delle iniziali, ha come obiettivo quello di permettere di ricordare informazioni in maniera chiara e non confusa. La tecnica consiste nel ricordare un’informazione o un’azione da compiere costruendo una parola o frase intera su di essa, ma utilizzando solo le iniziali di questa informazione da ricordare (Wilson, 2009). Ad esempio: ricordarsi di “Chiedere a Roberto l’auto!” sarebbe CARLA. La grande applicabilità di tale metodo, vede la possibilità di utilizzarlo anche con materiale numerico, ad esempio se dobbiamo ricordarci un codice o un pin numerico segreto, su di esso possiamo sviluppare sempre una parola o una frase. Per esempio: ricordarsi il codice 5210 può essere trasformato con “adoro (5) la (2) cioccolata (10)”. Un’altra tecnica e quella delle rime, associando la parola da ricordare con un’altra parola con cui fa rima, ne facilita il ricordo. Anche qui un esempio esplicativo, renderà meglio l’idea. Cercare di facilitare il ricordo del nome del Professore Rossi, al paziente può diventare divertente, creando una frase in rima come: “Il Prof. re Rossi, che è tutt’ossi!”. L’autrice Mazzucchi (Mazzucchi, 2006) suggerisce un’altra tecnica mnemo-verbale, il metodo delle storie. In questo caso s’invita il paziente a inserire più informazioni possibili da ricordare all’interno di una breve frase o una storia vera e propria; come: “ A Roma il treno di ritorno partirà nella prima mattina, alle ore 8:00”, le informazioni utili sono, Roma/treno/8:00. Per materiale invece di tipo visivo il metodo più opportuno e l’immagini mentali o assurde (Wilson, 2009). Pensiamo ad un convegno di lavoro, in cui sicuramente incontreremo persone e volti nuovi, è molto facile che di alcuni non ricorderemo il nome. Per ovviare a questa dimenticanza possiamo associare al nome delle immagini o rappresentazioni mentali assurde. Ad esempio: il nome Spinaci a braccio di ferro o a tante confezioni di barattoli di spinaci. Infine abbiamo il metodo dei loci (Mazzucchi, 2006). In questo caso utilizzeremo le capacità spaziali del paziente. Ciò che si richiedere al riabilitato è di memorizzare la lista di cose da fare su di un percorso spaziale mentale a lui familiare. Ponendo la lista di cose da fare su di un percorso se pur mentale aiuterà a rievocare più facilmente i compiti da svolgere. Per capire quanto successo hanno queste tecniche in riabilitazione con pazienti con problemi di memoria dobbiamo rifarci agli studi presenti in letteratura scientifica, cercando di comprendere ancora meglio e da vicino questi metodi. C’è da fare un’importante premessa riguardo alle mnemotecniche verbali, cioè dire che queste tecniche hanno trovato largo interesse e studio da sempre, e che tali procedure con fini rieducativi e riabilitativi, mediante strategie mentali, richiedono in parte una buona integrità delle abilità mnestiche. Infatti, vari studi condotti su pazienti con amnesia (Jones, 1974) sia globale che parziale, con sola asportazione del lobo temporale sinistra, poiché sottoposti a lobectomia; videro che le mnemotecniche visive producevano effetti positivi solo nella prestazione degli amnesici parziali, quando era richiesto loro di memorizzare un gruppo di parole; mentre gli amnesici globali non riportavano alcun beneficio da tale tecnica, registrando prestazioni peggiori.

Questi risultati sottolineano dunque il fatto che tali tecniche non possono essere usate in egual maniera con tutti i pazienti con deficit di memoria ma solo con alcuni. Il contributo di Cermark (Cermark, 1975) ci suggerisce invece dati discordanti rispetto a quelli riportati da Jones, sostenendo invece una buona efficacia di tali tecniche anche con pazienti amnesici che avevano compromesso sia la memoria anterograda sia retrograda come i soggetti affetti da sindrome di Korsakoff. Richiedendo loro di apprendere sempre un gruppo di parole ma in due condizioni differenti: una con immagine visiva e una senza alcun aiuto o supporto visivo; Cermark notò, prestazioni migliori nelle condizioni in cui l’apprendimento avveniva sotto l’aiuto d’immagini rispetto a quella senza. Dunque questo studio rispetto a quello svolto da Jones non solo sottolinierebbe l’efficacia del metodo riabilitativo con mnemotecniche ma anche, che quelle visive possono aiutare maggiormente il paziente. Altri studi compiuti da Downes e colleghi (Downes et al., 1997) confermano ulteriormente l’ipotesi che tali tecniche riabilitative, in particolar modo quelle visive, siano efficaci per ricordare e apprendere materiale. In un compito di apprendimento faccia-nome, modalità visual imagery, con pazienti con disturbi di memoria, ricorrendo all’uso di immagini, si è visto un potenziamento e un apprendimento significativamente maggiore rispetto a quando i pazienti ricevevano solo delle indicazioni generiche sulle facce. Inoltre inserendo nella fase pre addestramento, una pre esposizione ai volti per un periodo di 6 sec., si è visto un aumento ulteriore della prestazione nel momento in cui si richiedeva di rievocare l’associazione faccia-nome. Dunque questo ulteriore studio porterebbe a confermare l’efficacia di tale tecniche e a disconfermare quando detto precedentemente da Jones. Purtroppo, questi studi fin ora riportati non possono dirci nulla sulla generalizzazione dei risultati ottenuti durante la sessione clinica, in quanto lo stesso materiale utilizzato come nel caso dell’esperimento di Downes, non essendo ricorso a volti e facce familiari o noti ma generiche, non permette di dire nulla sull’ecologicità di tali procedure riabilitative.

Prendendo spunto da questi studi e dal limite sorto da quest’ultimo, la Wilson (Wilson, 1987) volle svolgere numerosi studi per verificare concretamente lei stessa, sia l’efficacia delle mnemotecniche visive sia in pazienti gravi o meno, ma anche se il loro effetto si poteva generalizzare nella vita di tutti i giorni del paziente. Per far ciò, sempre in un compito di apprendimento di nomi con l’aiuto di rappresentazioni visive, sostituì il materiale da generico a volti familiari al paziente e aumentò il numero di trials (prove cliniche) cercando così di aumentare il fattore familiarità con il volto-nome. Indubbiamente questi fattori, ritenuti importanti da Wilson, permisero di migliorare ancora di più la prestazione del paziente; confermando sia l’efficacia delle mnemotecniche e in particolar modo di quelle visive rispetto a quelle verbali, sia sui pazienti gravi che lievi (Wilson, 1987). Infine, un ultimo studio svolto da Kaschel e colleghi (Kaschel et al., 2002), volendo indagare sempre sull’efficacia delle mnemotecniche visive, sottoposero due gruppi a due addestramenti differenti. Il primo gruppo si sottopose ad un vero e proprio addestramento sul metodo delle immagini mentali, sviluppato in due fasi a sua volta: “fase di acquisizione” e “di transfert”.

Nella prima fase era previsto un vero e proprio addestramento per imparare ad usare le immagini visive come strategie alternative di apprendimento, mentre nella seconda fase trasferivano quanto imparato su cose concrete e importanti per loro. Il secondo gruppo invece seguiva un altro tipo di addestramento chiamato “pragmatico”, dove imparavano ad usare ausili esterni come computer e agende. Quello che si verificò è la conferma di quando detto fin ora. Il gruppo che migliorò maggiormente nell’abilità di apprendimento con un mantenimento di tali capacità anche nella vita di tutti giorni fu il gruppo che seguì il training sulle immagini mentali rispetto a quello che seguì un addestramento pragmatico. Dunque ricorrere nella riabilitazione a tecniche come le mnemotecniche in particolar modo quelle visive, come il metodo delle immagini mentali, permette un recupero delle abilità compromesse riportando effetti anche di generalizzazione con un’efficacia riscontrabile sia su pazienti lievi che gravi (Wilson, 1987). Autori invece come Mazzucchi sostiene che la generalizzazione di queste tecniche non è assoluta, in quanto molti pazienti possono non aderire completamente a questo trattamento, dunque in casi di droup-out e scarsa adesione alla tecnica può far si che non si riscontri la generalizzazione (Mazzucchi, 2006). Per quanto riguarda invece le mnemotecniche verbali, non troviamo in letteratura scientifica grandi contributi o studi, la stessa Wilson, ritiene più efficace, come detto prima, i metodi che ricorrono a immagini mentali. Confrontando le mnemotecniche verbali solo in uno studio (Wilson, 2009), il metodo delle storie con quello delle iniziali (per procedura vedi esempi sopra), si poté notare una prestazione migliore di apprendimento con il metodo delle storie, forse, ipotesi avanzata dall’autrice, per via della combinazione in queste sia dello stimolo verbale che quello visivo, entrambe contenute nel metodo. Dunque i dati qui riportati grazie ai gli studi e i contributi svolti, possiamo concludere dicendo che le mnemotecniche verbali e visive sono metodi riabilitativi che non riscontrano una totale efficacia nella riabilitazione, ma relativa e maggiormente essa propende per quelle visive. Esse sono procedure che possono essere intese come training e fungere da rafforzamento, ma al tempo stesso richiedono il presupposto che il paziente da riabilitare abbia delle buone capacità residue o un disordine di entità esiguo e non grave. Per garantire l’efficacia di tali metodiche è fondamentale che il paziente abbia fondamentalmente mantenuto dei buoni processi di codifica e di elaborazione. Più il soggetto riabilitato elaborerà l’informazione appresa durante il trattamento in maniera profonda, più questa verrà mantenuta e ricordata con successo. Per ciò l’utilizzo di tali metodi è fortemente sconsigliata con pazienti frontali, che hanno compromesse le capacità strategiche, pazienti con disturbi di linguaggio, quali l’afasia, o comunque di comprensione nel caso di mnemotecniche verbali o pazienti con disturbi visivi se si ricorre all’uso di mnemotecniche visive. I pazienti ai quali è più indirizzato sottoporre tale trattamento sono pazienti con disordini di memoria lievi e frontali che hanno mantenuto la capacità di ricordare se pur con alterazione delle funzioni esecutive ma sono da escludere quelli gravi.

di Chiara Spinaci

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