psicopatologia psicologia terrorismo

Psicopatologia del Terrorismo

psicopatologia psicologia terrorismo

Randy Borum sostiene che il motivo per cui alcuni individui sono più propensi a seguire l’estremismo è riconducibile al bisogno di appartenenza insito in ogni uomo.

Questi individui, a livello psicologico, manifestano una vulnerabilità sul loro bisogno di sentirsi appartenenti a qualcosa che gli dia un senso. L’appartenenza ai gruppi estremisti e seguire le loro ideologie sembra aiutare gli individui ad affrontare le loro insicurezze riguardo se stessi e il mondo in cui abitano.

Secondo Gibbs (2005) i movimenti religiosi estremisti, per molti individui, offrono situazioni di comodità esistenziale, sedano l’ansia di non-essere, colmano il vuoto con strutture e sistemi di credenze auto-protettive.

Borum e Silke in due pubblicazioni affermano entrambi che gli estremisti non soffrono di malattie mentali. Verso la fine degli anni Novanta sono stati intervistati 250 palestinesi membri di Hamas e vari Jihadisti.

Dalle analisi delle interviste è emerso che questi individui parlavano con freddezza riguardo agli attentati e ai
morti coinvolti, ma non manifestavano segni clinici di importanti psicopatologie.

Questo perché alla base delle loro azioni erano presenti forti e profonde convinzioni religiose e filosofiche, che li porta a considerare il proprio operato dalla parte del giusto. Per di più va aggiunto che qualora, durante le fasi di arruolamento, risultino dei soggetti con gravi forme psicopatologiche, essi vengono prontamente esclusi.

Un altro dato rivelante proviene da uno studio del professor M. Sageman, dal quale risulta che i terroristi provengono da ceti sociali medio-alti. A differenza di quanto si crede comunemente dunque, coloro che abbracciano le attuali cause estremiste non sono individui isolati a livello sociale, ai quali viene fatto il lavaggio del cervello, bensì persone dotate anche di un certo grado di istruzione, cresciuti in famiglie dove affetto, educazione e istruzione non erano assenti.

L’istruzione, appunto, può fornire un ulteriore dettaglio sulla mentalità di tali soggetti: essi vengono cresciuti con un’educazione che mira fortemente alla separazione, alla contrapposizione e all’odio verso le diversità.

Secondo Sigmund Freud ciò che si odia nel prossimo, spesso è qualcosa che non si vuole vedere dentro se stessi e da ciò nasce un conflitto che alimenta le dinamiche di distruzione. L’odio e la rabbia si autoalimentano fino al raggiungimento della distruzione dell’avversario. Ma in realtà il vero avversario si trova dentro noi stessi.
Oltre all’educazione e all’istruzione, bisogna tener conto anche del ruolo sostenuto dai Testi Sacri. Le Scritture, infatti, costituiscono la fonte da cui i movimenti religiosi estremisti attingono per poter legittimare il proprio operato.

L’interpretazione che ne viene data, però, è il frutto di un processo di strumentalizzazione dei concetti religiosi per fini politici. Come analizzato nel primo capitolo, nelle Sacre Scritture delle principali religioni monoteiste sono
presenti più brani che incitano all’utilizzo della violenza.

Il meccanismo psicologico che opera in questo caso viene spiegato dalla terza legge della psicodinamica di
Assagioli, secondo cui, «le idee e le immagini tendono a suscitare le emozioni ed i sentimenti ad esse corrispondenti». Tale legge, inoltre, trova riscontro in una ricerca condotta da Bushman et al. nel 2007, dalla quale risulta, appunto, che la lettura di testi violenti comporti di riflesso un comportamento aggressivo. Su questo punto è dunque necessario ribadire un concetto fondamentale, ovvero che tali brani non devono esseri presi alla lettera, in quanto spesso rappresentano delle allegorie e delle metafore derivanti dalle condizioni e dai contesti storici presenti
nei periodi in cui sono stati composti.

Articolo di Alessio Lamanna

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