La Storia del Criminal Profiling: come nasce e perché è efficace oggi

LombrosoIl profiling, ovvero il procedimento di inferenza delle caratteristiche dell’autore di un reato a partire dall’analisi della scena del crimine, ha in qualche modo origini antiche. Da sempre, infatti, gli uomini hanno cercato di spiegare cosa orienti le loro varie azioni.

La fisiognomica, in questo senso, rappresenta una metodologia di interpretazione dei segni inscritti nel corpo, in particolare nel volto. Essa nasce con Aristotele di cui è stato tramandato un trattato, Storia degli animali III. Il vero fondatore, però, della fisiognomica moderna è uno svizzero, Johann Kaspar Lavater, che, fra il 1775 e il 1778, pubblica i Frammenti fisiognomici.

Dalle importanti opere sulla fisiognomica, si arriva alla sua evoluzione in un’altra fondamentale disciplina che è la frenologia, tramite cui si identificano caratteristiche psicologiche di un soggetto a partire dalla morfologia del suo cranio ed il cui padre fondatore fu Joseph Gall. Egli teorizza che sul cranio vi siano protuberanze e depressioni, che si presentano in modo differente a seconda di come si sviluppa la corteccia cerebrale sottostante e che sono sede di tutte le facoltà cerebrali superiori.

Seguace di Gall fu Cesare Lombroso[1] che, a partire dall’analisi del cranio di un brigante calabrese, Vilella, introduce i suoi studi sull’atavismo.

Egli era convinto che particolari conformazioni cerebrali predisponessero al crimine e a comportamenti immorali:

Lombroso sosteneva che l’uomo fosse criminale “per nascita”, in quanto le radici del suo essere criminale derivano direttamente dalle sue caratteristiche fisiche e somatiche. Il criminale era fisicamente differente dall’uomo comune, in quanto portatore di atavismi, ovvero elementi propri dell’uomo primitivo e selvaggio.[2]

I suoi studi portano alla fondazione di una nuova disciplina, l’“Antropologia criminale”, che trovò la luce proprio con l’autopsia del su citato Vilella.

Lombroso diceva di lui:

un tristissimo uomo d’anni 69, contadino, di Simeri Crichi, circondario di Catanzaro, condannato tre volte per furto e in ultimo per incendio di un mulino; ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di pratiche religiose, di cute oscura, tutto stortillato, il Vilella camminava a sghembo e aveva torcicollo non so bene se a destra o a sinistra …[3] .

Il metodo sperimentale di Lombroso si configura in tre momenti principali:

  • Osservazione delle anomalie fisio-patologiche attraverso un numero di esperimenti;
  • Studio accurato di questi esperimenti attraverso la raccolta ordinata dei risultati ottenuti;
  • Formulazione delle conclusioni.

Egli, partendo dalle teorie darwiniane, coglie i caratteri atavici, ossia di particolarità anatomiche, quali alterazioni, asimmetrie, anomalie del corpo, della sensibilità e del senso morale che possono avvicinare il delinquente all’uomo primitivo.

Interessante, dopo il caso di Vilella, fu il suo esame del serial killer Vincenzo Verzeni, conosciuto come “il vampiro di Bergamo”, in cui riscontrò particolari caratteristiche anatomiche: deformazione dell’emicranio e dell’emifaccia destri, scarsa sensibilità al dolore, perfetta lucidità di mente, capacità di nascondere il delitto fino ad avvenuta sentenza, carattere introverso, perdita di concentrazione, crudeltà nei confronti degli animali.

Verzeni aveva ricevuto un’educazione religiosa molto rigida, basata su astinenza e repressione; aveva, inoltre, intrapreso diverse relazioni non durature con donne; violenza e sessualità finirono per diventare una cosa sola.

Tra il 1870 e il 1871 uccise tre donne strangolandole dopo averle sventrate e praticando sui cadaveri atti di vampirismo e cannibalismo, come rituali.

Lo studio delle caratteristiche cerebrali dell’uomo delinquente porta Lombroso a concludere che questo è molto simile al pazzo ed in quanto tale deve essere isolato socialmente.

Uno dei principali prodotti dell’Antropologia criminale è la fotografia, che rappresenta un elemento fondamentale di identificazione dei criminali nelle inchieste di polizia e dei tribunali.

Le categorie di soggetti fotografati generalmente sono sospetti e rei di delitti contro la persona e contro la proprietà e, per le donne, di prostitute.

Fondatore dell’antropometria segnaletica è Alphonse Bertillon che crea un sistema di identificazione basato sul ritratto fotografico accompagnato da un cartellino che contiene tipologie e misure di varie parti del corpo. Questa metodologia viene impiegata dalle forze di Polizia di tutto il mondo fra il 1888 ed il 1905.

I primi reali esperimenti di fotografia segnaletica vengono tentati a Napoli nel 1882 dal commissario di PS Abete di Biasio che introdusse il metodo Bertillon nelle prigioni.

Nel 1902 poi il questore di Napoli Ziliotti trasforma la cartella biografica in cartellino segnaletico introducendo la fotografia amministrativa.

A partire dagli anni Settanta, poi, gli agenti speciali dell’FBI Howard Teten e Patrick Mullany creano il programma di profilo criminale. In particolare, nel 1972 Jack Kirsch crea la Behavioral Science Unit.

Nel 1974 Teten e Mullany creano un programma di negoziazione ostaggi.

Nel 1976 Robert Ressler, insieme a John Douglas, intervistano in carcere i serial killer al fine di scoprire le correlazioni fra la scena del crimine e le caratteristiche di personalità del criminale. All’elaborazione di queste interviste partecipa la psichiatra Ann Burgess, che sarà fondamentale nella stesura dei concetti principali del criminal profiling.

Nel 1983 viene fondato da Pierce Brooks il VICAP, che costituisce un programma standardizzato di ricerca e investigazione sui delitti seriali.

Nel 1992 si arriva poi alla stesura del manuale di classificazione del crimine violento, il Crime Classification Manual.

Parallelamente in Inghilterra David Canter[4] sviluppa l’Investigative Psychology, che dà molto spazio al geographical profiling.

Secondo Canter, il Profiling costituisce

qualsiasi attività che possa essere utile ad inferire le caratteristiche dell’aggressore e del tipo di reato a partire da ogni informazione disponibile.[5]

 

Si considerano cinque fattori per la comprensione del comportamento criminale[6]:

  • coerenza interpersonale: il comportamento criminale sarebbe un’estensione di quello abitualmente esperito dall’autore del reato;
  • significatività del luogo e del tempo del delitto: la scelta del luogo, ad esempio, offre informazioni importanti oggettive sul reo e sulle sue abitudini;
  • caratteristiche criminali: comparazione con categorie e classificazioni di soggetti criminali;
  • carriera criminale: valutazione della possibile attività criminale precedente del reo;
  • conoscenze forensi: la cosiddetta forensic awareness, il bagaglio culturale del reo, come ad esempio il grado di accuratezza con cui egli cerca di eliminare ogni possibile traccia che possa portare alla sua identificazione. Pur differenziandosi dal modello della BSU, anche Canter ripropone una classificazione dicotomica dei comportamenti criminali, sulla base della spinta motivazionale del soggetto criminale.

In particolare, nel Geographical Profiling, su mezionato, assumono rilevanza sia la componente qualitativa che quantitativa. La prima fa riferimento allo “spazio soggettivo”, legato alla storia relazionale e sociale del criminale. L’oggetto di analisi in questo caso diventa il territorio nel quale il reo si muove. Nell’analisi qualitativa è molto importante individuare i luoghi visitati con frequenza dal criminale, che nel loro insieme definiscono una zona all’interno della quale il soggetto si sente a suo agio. La componente soggettiva analizza dunque il processo cognitivo e comportamentale del reo al fine di costruire una mappa mentale e capire perché il soggetto opera in quella determinata area.

La componente quantitativa fa invece riferimento all’obiettivo e si basa sull’impiego di tecniche statistico-matematiche volte a interpretare l’area geografica dove è molto probabile che l’offender abbia la sua base operativa.

Nel Geographical Profiling di Canter esistono due modelli comportamentali in relazione all’area di residenza dell’offender: marauder e commuter. Nel primo rientrano coloro che agiscono all’interno di un’area che si estende attorno alla loro zona di residenza; il secondo riguarda coloro che agiscono al di fuori della loro area di residenza.

Oggi, con lo sviluppo delle tecnologie informatiche, le tecniche investigative di analisi spaziale possono contare su sistemi informatici altamente specializzati, tra i quali appunto i GIS (Geographical Information System). Anche il modello di Kim Rossmo, criminologo canadese, impiega la tecnica computerizzata del Criminal Geographic Targeting (CGT), con cui si produce una mappa tridimensionale, la jeopardy surface, in cui l’altezza di ogni punto è proporzionale alla probabilità che la residenza del reo si trovi in quel luogo.

Anche in Italia, con il crescente numero di omicidi seriali, si ritiene necessario un programma che faciliti l’identificazione del serial killer. Nel 1994, dunque, il Dr. Carlo Bui crea una struttura multidisciplinare suddivisa in quattro settori: Esame della scena del crimine, Analisi della scena del crimine, Analisi delle informazioni e Analisi del comportamento.

Nel dicembre 1995 i quattro settori vengono inseriti nell’ Unità per l’Analisi del Crimine Violento.

Un altro modello di sviluppo del profilo criminale è quello realizzato da Ronald e Stephen Holmes[7] che considerano importanti sia gli elementi psicologici che sociologici del reo.

I due esperti, infatti, distinguono tra gli assassini geograficamente stanziali e quelli itineranti: i primi vivono in una specifica zona, nella quale compiono il crimine (o subito nelle zone circostanti); i secondi, invece, si spostano per la commissione del crimine.

In riferimento ai criminali seriali, gli autori propongono una classificazione basata sulla motivazione individuandone quattro categorie:

  • visionari, che agiscono sulla spinta di convinzioni deliranti e allucinatorie;
  • missionari, mossi da convinzioni morali;
  • edonisti, generalmente mossi dal bisogno di soddisfare le proprie pulsioni sessuali;
  • orientati al controllo e al dominio, spinti dal bisogno di controllare e sottomettere la propria vittima.

[1] Lombroso C. (2015), L’Uomo delinquente, Createspace.

[2]Corradini I., 2015, Gli approcci al Profiling: dal Criminal al Digital Profiling, in Criminalistica e Scienze forensi, Meeting Service.

[3] Lombroso C., 1872, Della fossetta cerebellare mediana in un criminale. Rendiconti del R. Istituto Lombardo, Vol. V, fasc. XVIII, Milano.

[4] Canter D., Youngs D. (2009), Investigative Psychology: Offender Profiling and the Analysis of Criminal Action, London: John Wiley & Sons.

[5] Canter D., Salfati G. (1999), Differentiating stranger murders: profiling offender characteristics from behavioral styles, in Behavioral Science and Law, John Wiley & Sons, 17, pp. 391-406.

[6] Corradini I., Gli approcci al Profiling: dal Criminal al Digital Profiling, in Agostini V. (2014), Criminalistica e Scienze forensi, Meeting Service, pp. 57-58.

[7] Holmes R.M., Holmes S.T. (1996), Profiling violenti crime: an investigative tool. II ed., Thousand Oaks: Sage.

di Maria Esposito – Richiedi una consulenza

Corso in Profiling Psicologico

Scrivi a Igor Vitale