Come Riconoscere la Depressione nell’Anziano: sintomi, caratteristiche, cura

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La depressione senile è stata definita come una patologia affettiva che interessa gli anziani dai 65 anni in avanti, in particolare coloro che presentano altre patologie mediche o psichiatriche (Bressi et al., 2008). Nel paziente anziano, essa può essere il risultato di una psicopatologia depressiva con esordio sin dall’età giovane adulta o essersi manifestata per la prima volta nella vita della persona in età senile; infatti, nel primo caso si parla di depressione senile ad esordio precoce (early onset), ossia prima dei 65 anni d’età, e nel secondo caso di esordio tardivo (late-onset), in cui li primo esordio depressivo si è manifestato dopo i 65 anni (Blazer, 2003). Più della metà delle depressioni maggiori senili ha esordio tardivo (Fiske, Loebach, Wetherell & Gatz, 2009). Queste risultano meno influenzate da fattori genetici (Heun, Papassotiropoulos, Jessen, Maier & Breitner, 2001), dal punto di vista eziologico si osserva una multifattorialità, inoltre presentano una maggiore comorbilità del disturbo con le patologie mediche, in particolare con i disturbi neurologici (che possono essere anche non evidenti quando i sintomi depressivi appaiono per la prima volta), un maggior rischio di mortalità e una maggiore resistenza al trattamento (Baldwin & O’Brien, 2002). Esiste un’associazione tra i due tipi di esordi, infatti, l’esordio precoce può contribuire ad alterazioni celebrali che possono predisporre episodi depressivi in età senile (Alexopoulos, 2005).

Baldwin (2014) sostiene che non si riscontrino significative differenze sintomatologiche del quadro depressivo dovuto all’epoca di esordio del primo episodio, come indicato da una ricerca condotta da Brodaty et al. (2001), che ha analizzato le manifestazioni sintomatologiche della depressione, confrontando due gruppi di anziani: uno con esordio depressivo precoce (il primo episodio depressivo di vita si è manifestato prima dei 60 anni) e il secondo gruppo a esordio tardivo (dopo i 60 anni). I ricercatori hanno osservato che entrambi i gruppi di anziani presentavano le stesse caratteristiche sintomatologiche e le differenze emerse erano riconducibili solo ai soggetti con l’età più elevata del campione, indipendentemente dall’epoca dell’esordio del quadro depressivo; questi presentavano una prevalenza di sintomi psicotici o sintomi clinici come il ritardo o l’agitazione psicomotoria, il ritiro, l’ipocondria e un profondo senso di colpa. Da quanto emerso, quindi, sembra che non sia tanto l’epoca di esordio del primo episodio depressivo a determinare le differenze sintomatologiche, ma un’età più avanzata. Inoltre, i risultati della ricerca hanno messo in luce due caratteristiche sintomatologiche proprie della depressione senile: la tendenza dell’anziano a sminuire i sentimenti di tristezza provati, osservata dalla discrepanza tra il sentimento di tristezza riscontrato dalla valutazione oggettiva e quello verbalizzato dagli anziani stessi, e la tendenza a riflettere i propri contenuti depressivi sulla sfera corporea, manifestando ipocondria e preoccupazioni somatiche.

Indipendentemente da tali risultati, sembra vi sia la necessità di approfondire ulteriormente tale differenza sintomatologica attribuibile alla diversa epoca di esordio dell’episodio depressivo, soprattutto perché non vi è un accordo sullo spartiacque dell’età: alcune ricerche, in particolare quelle statunitensi, lo individuano ai cinquant’anni di età, mentre altre ai sessantacinque anni (Baldwin & O’Brien, 2002).

La depressione senile, seppur presenti alcuni sintomi simili alla depressione del giovane adulto, si manifesta con proprie peculiarità dando vita a quadri clinici complessi ed eterogenei (Baroni & Getrevi, 2005).

Una prima peculiarità è data dal fatto che l’anziano lamenta in misura minore il sentimento di tristezza e presenta una maggior prevalenza di sintomi somatici e preoccupazioni ipocondriache, rendendo il quadro clinico molto complesso sia per la diagnosi che per il trattamento (Baldwin, 2014). Gallo, Rabins e Lyketsos (1997) utilizzano il termine depression without sadness per indicare una sindrome di deplezione caratterizzata da ritiro, apatia e mancanza di vigore e da una prevalenza di sintomi somatici, attraverso i quali l’anziano concentra le sue preoccupazioni sul proprio stato di salute e sul proprio corpo. In un’ottica fenomenologica il sintomo ipocondriaco non è altro che una modalità di presentarsi della malattia depressiva, che porta il paziente a focalizzare la sua attenzione sul proprio corpo, trascurandone i sintomi affettivi (Sims, 2008). Ciò diviene emblematico proprio nella depressione senile: spesso l’anziano lamenta disturbi fisici che lo portano a sottoporsi a controlli medici dai quali però non emerge riscontro di patologie (Tarsitani, Berardelli, Roselli & Biondi, 2013). In alcuni casi i sintomi ipocondriaci possono trasformarsi in veri e propri deliri, in cui l’anziano ha la credenza irragionevole di avere, per esempio, una malattia terminale e inguaribile, mostrandosi incapace di accogliere o di far proprie le rassicurazioni del medico che indicano il contrario (Tarsitani et al., 2013).

Un’altra peculiarità della depressione senile è la prevalenza di sintomi cognitivi rispetto a quelli affettivi (Fiske et al., 2009), infatti, l’anziano depresso può lamentare difficoltà attentive o di concentrazione e di memoria e in generale una ridotta efficienza intellettiva (Chattat, 2004). In realtà, è noto che la psicopatologia depressiva, indipendentemente dall’età in cui si manifesta, influisce sulle capacità cognitive dell’individuo, ad esempio sulla velocità di processamento delle informazioni, soprattutto nei compiti che richiedono un notevole sforzo cognitivo (Baldwin, 2014); nel caso specifico del paziente anziano, in particolare quando l’esordio depressivo è tardivo, si può manifestare un impoverimento cognitivo caratterizzato da deficit di attenzione di memoria e rallentamento psicomotorio molto simile a quello osservato nella demenza (Altamura, Cattaneo, Pozzoli & Bassetti, 2006). In una ricerca di Butters e collaboratori (2000), in cui è stata valutata la risposta cognitiva di anziani con depressione dopo un trattamento con antidepressivi di 12 settimane, è emerso che, nonostante si osservasse un miglioramento cognitivo dopo il trattamento, i soggetti non raggiungevano un punteggio cognitivo nella norma (le funzioni più compromessa erano quelle esecutive e le capacità mnestiche) e correvano un rischio molto più elevato di sviluppare una demenza.

Il calo cognitivo dell’anziano con depressione è stato identificato da Kiloh (1961) con il termine “pseudo-demenza”, intendendo che le difficoltà cognitive presentate hanno la caratteristica delle reversibilità (al contrario della demenza vera e propria[1]): possono scomparire o migliorare con la remissione della depressione, in quanto sono determinate dal processo depressivo stesso, ad esempio attraverso la disregolazione dell’asse ipo-ipofisi-surrene, che provoca alterazioni dell’ippocampo con conseguenti disturbi della memoria (Baldwin, 2014). Proprio per questa ragione, la pseudodemenza è stata definita come un processo dementigeno sottostante a sintomi depressivi, ma “non reale” (Gala et al., 2008). Nel caso in cui invece la compromissione cognitiva continua a persistere nonostante il trattamento dei sintomi depressivi, ciò costituisce un indice di una prima manifestazione di demenza (Gala et al., 2008).

La pseudodemenza si distingue dalla demenza vera e propria non solo per il carattere di reversibilità ma anche per la consapevolezza che l’anziano depresso ha della scarsa efficienza delle proprie capacità cognitive (Baroni & Getrevi, 2005). Inoltre, sono emerse differenze tra i due quadri clinici dalla somministrazione del MMSE[2], in cui è stato osservato che i pazienti con pseudodemenza mostrano il fenomeno dello slow-start, per il quale la miglior prestazione cognitiva si ottiene dopo un certo periodo di latenza; al contrario le prestazioni dei pazienti dementi mostrano un peggioramento progressivo dall’inizio alla fine della somministrazione (Altamura, Cattaneo, Pozzoli & Bassetti, 2006). Inoltre, le prestazioni dei pazienti depressi tendono a risentire della variabile del tempo, ossia sono più scarse quando il test presenta una scadenza temporale; senza considerare, anche, che questi pazienti percepiscono le proprie prestazioni cognitive come più scarse di quanto non lo siano nella realtà, poiché influenzati dallo stato depressivo stesso (Altamura et al., 2006).

Da punto di vista sintomatologico sono stati osservati alcuni quadri clinici caratterizzati da una compromissione della fluenza verbale, dei processi mnestici, delle capacità di programmazione e di pianificazione e del rallentamento psicomotorio, insieme ad anedonia, scarso insight e alla presenza di sintomi vegetativi e sentimenti di colpa poco intensi (Alexopoulos, Kiosses, Murphy & Heo, 2004); tale corredo depressivo sintomatologico è stata definito come “sindrome depressiva con disfunzione esecutiva” in quanto la depressione si associa alla disfunzione del circuito fronto-striatale (FSC).

Indipendentemente dagli aspetti sintomatologici, tale sindrome può essere utile come modello per approfondire lo studio delle sostanze che agiscono sui neurotrasmettitori dei circuiti fronto-striatali, includendo la dopamina, l’acetilcolina e gli oppiodi (Alexopoulos, 2005).

Dopo aver individuato le peculiarità sintomatologiche della depressione senile, il corredo sintomatologico del disturbo può essere suddiviso in sintomi vegetativi, cognitivi e psico-somatici (Bernabei, Manes-Gravina & Mammarella, 2011).

Tra i sintomi vegetativi più comuni si trovano i disturbi del sonno (frequenti risvegli e insonnia), la perdita dell’appetito e della libido. I sintomi cognitivi, già citati, comprendono la diminuzione dell’attenzione e della motivazione, l’insicurezza, il rallentamento del pensiero, la ridotta concentrazione e le rimuginazioni continue. I sintomi somatici possono manifestarsi attraverso l’astenia, la faticabilità, il calo ponderale e il dolore locale o diffuso oppure in sintomi del sistema nervoso come la cefalea e le vertigini. I sintomi somatici che riguardano l’apparato cardiocircolatorio sono le palpitazioni, la tachicardia, il dolore e il senso di oppressione al torace; quelli dell’apparato respiratorio sono la dispnea e la tachipnea, mentre i sintomi somatici gastrointestinali si manifestano con bocca secca, dispepsia, aerofagia e stipsi. Si possono riscontrare anche sintomi dell’apparato genitourinario come la pollachiuria, l’urgenza minzionale, la disfunzione erettile e il calo della libido sessuale (Tarsitani, Berardelli, Roselli & Biondi, 2013).

Inoltre la psicopatologia depressiva può manifestarsi nell’anziano anche attraverso un’alterazione del comportamento, come il rifiuto del cibo, le grida e gesti aggressivi, che sono molto frequenti nella demenza (Baldwin, 2014).

Oltre a tali sintomi, il quadro depressivo può presentare anche sintomi psicotici, come già sopracitato. Molto frequenti sono i deliri di colpa, che si manifestano ad esempio con profondi sensi di colpa provati dall’anziano, il quale si sente responsabile per qualcosa che non ha compiuto e si sente solo degno di morire, arrivando, in alcuni casi, anche al suicidio vero e proprio (Sims, 2008). Un altro tipo di delirio è quello di povertà, in cui l’anziano lamenta una condizione di miseria e indica che questa sia dovuta a qualcuno che lo deruba costantemente dei propri averi (Sims, 2008). È molto più frequente negli anziani istituzionalizzati, in cui l’ambiente, che può essere vissuto come estraneo, aumenta pensieri paranoidi e di persecuzione. Anche deliri nichilistici o deliri di negazione sono comuni nell’anziano con depressione e si manifestano con la tendenza della persona a negare qualsiasi cosa che lo riguardi, per esempio può negare di avere un nome o un corpo fino a raggiungere un grado estremo in cui nega la propria esistenza. Tali credenze deliranti, insieme a deliri a contenuto ipocondriaco, possono manifestarsi in una sindrome detta Sindrome di Cotard, che si associa a un umore depresso con agitazione psicomotoria o rallentamento e una forte tendenza alla passività (Sims, 2008). Nel caso delle allucinazioni, quelle uditive generalmente sono le più frequenti e consistono in una voce che parla in terza persona del paziente, lo denigra e lo disprezza; infatti, il contenuto dell’allucinazione è congruo con il tono dell’umore, quindi la voce parla del paziente come di una persona indegna, vile e di nessun valore (Baldwin, 2014). I sintomi psicotici nell’anziano possono dar origine a veri quadri depressivi psicotici, i quali potrebbero essere considerati anche come un sottotipo della stessa psicopatologia depressiva senile o semplicemente indicativi di un livello di gravità avanzato del quadro depressivo avanzato stesso (Baldwin, 2014).

[1] Per l’inquadramento clinico delle demenze cfr. paragrafo 3.3.

[2] Cfr. paragrafo 3.1

di Vittoria Cerreti

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