Come la Depressione uccide

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La correlazione tra depressione senile e mortalità non suicidaria è stata oggetto di attenzione da parte dei ricercatori, che sono giunti a dati variabili, dovuti alle differenze nei metodi di campionamento, alle diverse dimensioni dei campioni e della durata dei follow-up, oltre alla diversità del tipo di studio (di coorte o caso-controllo) e all’aggiustamento dei fattori confondenti (Schulz, Drayer & Rollman, 2002). Schulz et al. (2002) riportano che l’associazione tra depressione senile e mortalità è abbastanza elevata, con una percentuale del 72% e la attribuiscono ai diversi fattori che caratterizzavano il campione di anziani, da loro preso in considerazione, come: la presenza di malattie croniche; la compromissione del funzionamento fisico e/o cognitivo; la riduzione dei contatti sociali; il possibile abuso di alcol; i problemi alimentari o di sonno; la scarsa aderenza al trattamento medico. Anche un’altra ricerca ha indagato l’associazione tra depressione senile e tasso di mortalità, riscontrando che i soggetti di un campione costituito da 3007 adulti, di età pari o superiore ai 55 anni con depressione maggiore, presentavano nel corso del follow-up di 15 mesi una probabilità di morire quattro volte maggiore rispetto al gruppo di controllo, anche dopo l’esame di fattori confondenti come età sesso e salute fisica (Bruce & Leaf, 1989). Taikeda, Nishi e Miyake (1999), valutando 2166 anziani giapponesi tra 60 e i 74 anni, hanno osservato come lo stato depressivo influisca a vari livelli sul sistema fisico, ad esempio con un effetto immunosoppressivo, contribuendo ad aumentare la mortalità.

Baldwin (2014) indica che le ricerche che riportano l’incremento del tasso di mortalità tra la popolazione anziana con depressione può essere dovuto a una molteplicità di fattori: la comorbilità medica; gravi patologie non diagnostiche o sospettate come un carcinoma; gli effetti indesiderati agli psicofarmaci come quelli cardio-tossici degli antidepressivi triciclici; la presenza di fattori comportamentali (come riduzione dell’attività fisica; il fumo; abuso d’alcool); la scarsa compliance al trattamento.

Pennix et al. (2001) hanno dimostrato che la presenza della depressione aumenta il rischio della mortalità cardiaca confrontando due gruppi di anziani, l’uno con patologia cardiaca e depressione e l’altro interessato solo da patologia cardiaca, osservando che il rischio di mortalità cardiaca era elevato in entrambi i gruppi, ma era raddoppiato per i pazienti con depressione.

Altre ricerche hanno dimostrato che l’associazione tra depressione e mortalità aumenta quando il quadro depressivo si trova in comorbilità con altre condizioni cliniche, infatti, la ricerca condotta da Kane, Yochim e Lichtenberg (2010) ha valutato un campione di anziani con depressione e compromissione cognitiva (N=171 con un’età media di 77 anni, di cui il 51% americani di origine africana e il 49% di americani di origine europea) al momento dell’ammissione in struttura sanitaria, osservando che l’interazione tra i sintomi depressivi e la compromissione cognitiva dei soggetti aumentava il tasso di mortalità a lungo termine (entro 12 mesi dall’ammissione in struttura); inoltre, i soggetti americani di origine europea del campione avevano una probabilità doppia di morire entro un anno dall’ammissione in struttura rispetto agli afroamericani. Considerando che entrambi i gruppi, di differente razza, si equivalevano per età, condizioni mediche e sintomi depressivi, gli autori hanno ipotizzano che sia intervenuto un fattore sociale protettivo nel caso degli afroamericani ossia il supporto sociale, alla base della differenza di risultati tra le due razze.

Jiang et al. (2001) hanno dimostrato che la depressione maggiore in comorbilità con patologie cardiache può determinare una prognosi infausta, infatti i ricercatori hanno valutato l’influenza della psicopatologia depressiva sulla prognosi di pazienti ricoverati per insufficienza cardiaca riscontrando che il tasso di mortalità a tre mesi era del 7,95% e quello a un anno era del 16,2%.

Vi è evidenza del fatto che non solo c’è una correlazione significativa tra depressione e aumento del tasso di mortalità, ma anche che la stessa gravità del quadro depressivo e la sua durata contribuiscano ad aumentare il tasso di mortalità (Geerlings, Beekman, Beeg, Twisk & van Tilburg, 2002).

Anche Blazer, Hybels e Pieper (2001) hanno indagato l’associazione tra depressione e mortalità seguendo un’ampia coorte di soggetti anziani per 3 anni equamente distribuiti tra afroamericani e americani bianchi del Nord Carolina; i risultati hanno portato inizialmente ad un’odds ratio al baseline del 1,98, in tre anni di follow-up, dopo aver considerato i fattori: età, sesso e razza, mentre dopo l’inclusione di altri fattori (le malattie croniche, le abitudini salutari, il deterioramento cognitivo, la compromissione funzionale e il sostegno sociale) l’associazione tra depressione e mortalità nel campione di anziani si indeboliva, con un odds ratio rispettivamente di 1,74, 1,69, 1,29 e 1,29. Ciò ha fatto concludere i ricercatori che la depressione può agire sulla mortalità attraverso molteplici fattori, che sono relativamente indipendenti.   Per quanto riguarda le differenze di genere del tasso di mortalità legato alla depressione senile, uno studio di Schoevers et al. (2000) ha riportato un maggior tasso di mortalità tra gli uomini rispetto alle donne, con percentuali rispettivamente del 75% per gli uomini e del 41% per le donne; i quadri depressivi con sintomi psicotici aumentavano notevolmente la probabilità di mortalità indiscriminatamente in entrambi i sessi, mentre i quadri depressivi nevrotici aumentavano il tasso solo nel sesso maschile. I ricercatori hanno attribuito le differenze emerse alla maggior prevalenza di patologie cardiache, di maggior comorbilità medica e a maggiori probabilità di suicidio negli uomini depressi rispetto alle donne. Quest’ultime, inoltre, presentavano come fattore protettivo una maggior tendenza a verbalizzare i propri stati depressivi, contrariamente agli uomini. Un’altra ricerca compiuta in Giappone riporta che i sintomi depressivi aumentino il rischio di mortalità tra uomini, ma non tra le donne (Takeshita et al., 2002).

Whooley & Warren (1998) hanno indagato la relazione tra depressione e tasso di mortalità solo nel sesso femminile, considerando una coorte di donne anziane (N=7518), provenienti da diverse città americane, seguite in follow-up per una media di 6 anni. Dai risultati è emerso che, durante il periodo completo di follow-up di 7 anni, il tasso di mortalità era del 7% nelle donne senza sintomi depressivi, il 17% in quelle con da 3 a 5 sintomi depressivi e il 24% in quelle con 6 sintomi o più. Quest’ultimo gruppo, confrontato con quello con solo che 5 sintomi, presentava un rischio due volte maggiore di morte e l’associazione tra depressione senile e mortalità rimaneva significativa anche dopo aver considerato vari fattori confondenti (anamnesi per infarto al miocardio, ictus, diabete mellito, ipertensione, fumo, e funzioni cognitive); i sintomi depressivi sembravano costituire un fattore di rischio sopratutto per la morte dovuta alle patologie cardiache.

Per quanto riguarda la mortalità suicidaria, indipendentemente dalla psicopatologia depressiva, il suicidio è una realtà frequente nella popolazione geriatrica, infatti, è stato riportato che dal 1980 al 1992 negli Stati Uniti il tasso di suicidio era del 9% tra gli anziani di età pari o superiore ai 65 anni e negli ultraottantenni aumentava al 35% (McKenzie, Bhui, Nanchahal & Blizard, 2008); senza considerare che i tassi sul suicidio, indipendentemente dalla fascia di età, risultano sottostimati (Tatarelli, Pompili & Mancinelli, 2004).

La World Health Organization (2002) indica che il tasso di suicidio più elevato si riscontra nella popolazione anziana, in quanto aumenta con l’avanzare dell’età, infatti, negli uomini la percentuale raggiunge un picco dopo i 45 anni di età, mentre nella donne dopo i 55 anni (Tatarelli et al., 2004). Kung, Hoyert, Xu e Murphy (2008) riportano che in tutti i paesi il suicidio è maggiore tra gli uomini rispetto alle donne e questa differenza aumenta notevolmente nell’età senile. I tentativi di suicidio sembrano meno frequenti negli anziani, anche se esitano maggiormente rispetto ai giovani nella morte stessa (De Leo et al., 2001). Nonostante alcuni autori riportino che solo il 4% degli anziani ricoverati per depressione arrivino a compiere il suicidio (Bostwick & Pankratz, 2000), la depressione rappresenta la causa più frequente di suicidio negli anziani (Duberstein et al., 2000). È stato calcolato che l’85% degli anziani con psicopatologia depressiva arriva al suicidio (Conwell, Duberstein, Herrmann & Caine, 1996).

La sola presenza di sintomi depressivi si trova nell’80% degli anziani che compie il suicidio, infatti, in una ricerca condotta da Waern e colleghi (2002) ha rilevato che il 96% dei pazienti suicidi presi in considerazione avrebbe potuto soddisfare la diagnosi di disturbo depressivo maggiore secondo il DSM-IV (APA, 1994) e che questa costituiva il fattore di rischio più significativo per il suicidio tra tutti i fattori considerati (anche se è stato riscontrato un rischio elevato con: la depressione minore; il disturbo distimico; il disturbo psicotico; il singolo episodio depressivo maggiore; i disturbi d’ansia) insieme all’abuso di sostanze, a cui seguivano i conflitti familiari, la presenza di patologie mediche gravi e la solitudine.

Sembra che un fattore di rischio suicidario per la depressione senile sia costituito da determinati tratti di personalità, infatti, Duberstein et al. (2000) hanno riscontrato che un basso punteggio sulla dimensione dell’estroversione del NEO Personaliy Inventory-Revised (Costa & McCrae, 1992) si associa negli anziani depressi a una storia di passati tentativi suicidari, mentre un alto punteggio sulla dimensione opposta, quella del nevroticismo, sarebbe associato con l’ideazione suicidaria. Quest’ultima risulta elevata nella popolazione anziana con depressione e le percentuali variano dal 5 al 10% (Conwell et al., 2002). L’ideazione suicidaria sembra essere fortemente associata con la gravità del quadro depressivo, infatti, Alexopoulos, Hull, Sirey e Kakuma (1999) valutando un ampio campione di anziani (N=354) con depressione e considerando non solo l’ideazione suicidaria ma anche altri fattori come i tentativi di suicidio passati, le condizioni fisiche, la disabilità, il supporto sociale e il deterioramento cognitivo, hanno riscontrato che gli anziani più a rischio di ideazione suicidaria erano quelli che presentavano un grave quadro depressivo, con una storia di tentativi di suicidio passati e scarso supporto sociale: tra tutti i fattori considerati quello più predittivo dell’ideazione suicidaria stessa era la gravità del quadro depressivo.

È possibile intervenire di fronte a tali condizioni con strategie preventive, come è stato dimostrato da Bruce et al. (2002) che, valutando l’efficacia dell’intervento da parte dei servizi ambulatoriali su pazienti anziani con ideazione suicidaria e depressione, hanno osservato che le percentuali dei sintomi erano notevolmente diminuiti rispetto a quelle rilevate prima dell’intervento.

di Vittoria Cerreti

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