Psicologia della Violenza

violenza

La WHO (2002) definisce la violenza come: l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione (WHO, 2002, p. 21). Questa definizione si basa sulla dimensione dell’intenzionalità: infatti, non sono compresi incidenti non intenzionali, come la maggior parte delle ustioni e delle lesioni dovute al traffico. Con il termine ‘potere’, vengono inglobate in tale definizione anche gli atti caratterizzati da comportamenti come le minacce e l’intimidazione, l’incuria o gli atti di omissione e tutti i tipi di abuso fisico, sessuale e psicologico, così come il suicidio e gli altri atti di abuso verso se stessi. Considerando importanti conseguenze come il danno psicologico, la privazione e il cattivo sviluppo, viene superata la convinzione comune e limitata secondo cui la violenza provochi necessariamente una lesione o la morte, e si passa ad una definizione che considera le conseguenze degli atti di violenza su individui, famiglie, comunità e sistemi sanitari in tutto il mondo. Possiamo distinguere i vari tipi di violenza sia in base alle caratteristiche di chi commette l’atto, sia in base alla natura degli atti di violenza stessi. Per quanto riguarda la prima categoria, si distinguono i seguenti tipi di violenza (WHO, 2002, cfr. Figura 2.1).

  1. Violenza autoinflitta: essa fa riferimento al comportamento suicida e all’autoabuso. Il primo comprende pensieri suicidi, tentativi di suicidio (detti anche ‘parasuicidio’) e suicidi veri e propri. L’autoabuso, al contrario, comprende atti come l’automutilazione.
  2. Violenza interpersonale: si divide in due sottocategorie. La prima riguarda la violenza familiare e del partner, cioè atti di violenza che vengono perpetrati in gran parte verso membri della famiglia e verso partner (solitamente, anche se non esclusivamente, tra le mura domestiche), come abuso sui bambini, violenza da parte del partner e abuso sugli anziani. La seconda fa riferimento alla violenza nella comunità, cioè ad atti di violenza tra individui non appartenenti alla stessa famiglia, che possono conoscersi o meno, che si verificano solitamente fuori casa, inclusi violenza giovanile, atti casuali di violenza, stupro o atti di violenza sessuale da parte di sconosciuti, nonché la violenza in ambienti quali scuole, luoghi di lavoro, prigioni e case di assistenza.
  3. Violenza collettiva: si suddivide in violenza sociale, politica ed economica. Queste sottocategorie suggeriscono possibili motivazioni per la violenza commessa da gruppi più ampi di individui o da interi Stati. Esempi di violenza sociale sono crimini dettati dall’odio compiuti da gruppi organizzati, atti terroristici e mobbing. La violenza politica comprende la guerra e i conflitti violenti ad essa collegati, la violenza di Stato e atti simili commessi da gruppi più ampi. La violenza economica riguarda gli attacchi da parte di ampi gruppi spinti dall’idea di un guadagno economico, come per esempio gli attacchi effettuati con lo scopo di interrompere l’attività economica, impedire l’accesso ai servizi essenziali, o creare divisione e frammentazione economica.

Invece, secondo la natura dell’atto di violenza, si differenziano i seguenti tipi di violenza. a. Fisica: consiste in qualsiasi forma di aggressività e di maltrattamento contro un’altra persona, contro il suo corpo e le cose che le appartengono. Essa è costituita, per esempio, da: picchiare con o senza l’uso di oggetti, spintonare, dare schiaffi, pugni, calci, strangolare, ustionare, ferire con un coltello, torturate, uccidere. b. Sessuale: consiste in qualsiasi imposizione di coinvolgimento in attività e/o rapporti sessuali senza il consenso, sia all’interno che al di fuori della coppia. Essa è costituita, per esempio, da: fare battute e prese in giro a sfondo sessuale, fare telefonate oscene, contatti intenzionali col corpo, avances sempre più pesanti, costringere ad atti o rapporti sessuali non voluti, obbligare a prendere parte alla costruzione o a vedere materiale pornografico, stuprare, rendersi responsabili di incesto, costringere a comportamenti sessuali umilianti o dolorosi, imporre gravidanze, costringere a prostituirsi. c. Psicologica: consiste in attacchi diretti a colpire la dignità personale, forme di mancanza di rispetto, atteggiamenti colti a ribadire continuamente uno stato di subordinazione e una condizione di inferiorità. Essa è costituita, per esempio, da: minacciare, insultare, umiliare, attaccare l’identità e l’autostima di una persona, isolarla, impedire o controllare le sue relazioni con gli altri, essere sbattuti fuori casa, essere rinchiusi in casa. d. Connessa a privazione o a incuria: consiste in malnutrizione, inerzia e carenza di igiene o vestiario inadeguato che sono comunemente dovute a un inadeguato approvvigionamento di cibo, vestiario o protezione, e ciò può portare ad un ritardo nello sviluppo affettivo. Infatti, il bambino che non riceve cure sufficienti per la sua età viene anche privato della giusta affettività e del supporto psicologico che l’adulto deve fornire. Questa classificazione, sebbene imperfetta e lungi dall’essere universalmente accettata, fornisce un quadro utile per comprendere i complessi modelli di violenza che si verificano in tutto il mondo, così come la violenza nella vita quotidiana degli individui, delle famiglie e delle comunità. Inoltre, va oltre molte limitazioni tipiche di altre classificazioni, poiché considera la natura degli atti di violenza, l’importanza della situazione in cui si verificano, la relazione tra il soggetto che compie l’atto di violenza e la vittima e, nel caso della violenza collettiva, le possibili motivazioni della violenza stessa. Sia nella ricerca che nella pratica, tuttavia, il confine tra i diversi tipi di violenza non è mai così chiaro (WHO, 2002).

di Martina Micheli

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