Mi sento fuori dal mio corpo: l’insolito caso dell’Out of Body Experience

L’esperienza che si ha del proprio corpo è il prerequisito fondamentale che ci permette di interagire con il mondo esterno: i filosofi definiscono questa sensazione senso di proprietà (body ownership), indicando “una forma automatica di autoattribuzione capace di integrare un certo tipo di contenuto cosciente in quello che viene esperito come il proprio sé” (Metzinger, 2010, p.87). In letteratura il concetto di schema corporeo venne introdotto per la prima volta nel 1991 dai neurologi britannici Henry Head e Gordon Holmes, che lo definirono come una sorta di modello posturale del corpo che organizza attivamente e modifica “le sensazioni prodotte dagli stimoli sensoriali esterni affinché la percezione finale della posizione del corpo nello spazio sorga nella coscienza come in relazione a qualcosa che è accaduto precedentemente” (Head, 1920, p. 606). Nel corso del tempo è stato largamente dimostrato che il nostro schema corporeo è in realtà flessibile (Botvnick & Cohen,1998) in quanto, essendo il risultato di un’integrazione multisensoriale fra informazioni visive, somatosensoriali e propriocettive, nel momento in cui il processamento di una o più di queste informazioni viene alterato è possibile assistere ad un riassetto funzionale del proprio schema corporeo (Holmes & Spence, 2004). Nel vasto panorama delle neuroscienze cognitive è emerso nel corso del tempo un interesse crescente relativamente a ciò che concerne lo studio della modificabilità dello schema corporeo (Maravita & Iriki, 2004; Carlson, 2010), che ha successivamente dato origine ad un filone di ricerca interessato a studiare l’estensione e i confini della rappresentazione che un soggetto ha del proprio corpo nello spazio: dall’unione di queste domande di ricerca è nato l’interesse per lo studio delle esperienze extracorporee (out-of-body experiences, OBEs). In letteratura il fenomeno conosciuto come esperienza extracorporea viene definito come “una ben nota classe di stati in cui una persona prova l’illusione assai realistica di abbandonare il proprio corpo fisico, di solito nella forma di un etereo doppio, e di muoversi fuori di esso” (Metzinger, 2010, p.95). Questa classe di fenomeni rientra nel più vasto panorama delle autoscopie, ovvero di tutte quelle esperienze sensoriali nelle quali un soggetto ha l’impressione di vedere il proprio corpo da una prospettiva sopraelevata (Blanke & Mohr, 2005), e va associata alle altre due tipologie note di autoscopia: l’allucinazione autoscopica e l’eautoscopia. (Fig.1)

out of body

Tutti e tre i tipi di esperienza autoscopica presuppongono la visione del proprio corpo da una prospettiva esterna, ma si differenziano per quanto riguarda la localizzazione del sé corporeo. Nelle allucinazioni autoscopiche e nell’eautoscopie i soggetti non si identificano con l’etereo doppio e non hanno la sensazione di trovarsi all’interno di questo corpo illusorio: in particolare nell’eautoscopia la situazione può cambiare di continuo, ed il soggetto non sa definire con certezza in quale corpo sia in un dato momento. Durante le esperienze extracorporee invece il sé corporeo viene localizzato ed identificato con il doppio illusorio, e le persone vedono il loro corpo fisico da una prospettiva visuospaziale che è quella del corpo illusorio (Blanke, 2004). Ma come si configura concretamente la fenomenologia di un’esperienza extracorporea? Nella letteratura esistono vari resoconti più o meno dettagliati (Brugger et al.,1997; Blanke & Arzy, 2005), ma qui ne verrà illustrati soltanto uno, riportato dal biochimico svizzero Ernst Waelti:
“In uno stato confusionale, andai a letto verso le 11 di sera e cercai di addormentarmi. […] Mi sforzai allora di rimanere immobile nel letto. Per un attimo mi assopii, poi provai il bisogno di muovere le mani, che stavano distese sulla coperta, in una posizione più confortevole. In quello stesso istante realizzai che […] il mio corpo giaceva lì in una qualche forma di paralisi. Contemporaneamente scoprii di poter sollevare le mie mani sopra le mie mani fisiche, come se queste ultime fossero soltanto un rigido paio di guanti. Il processo di distaccamento iniziava dalla punta delle dita […] Con ciò, mi staccai dal mio corpo e subito fluttuai fuori dalla testa, assumendo una posizione verticale, come se fossi privo di peso. […] Ero sdraiato orizzontalmente per aria e fluttuavo sul letto come un nuotatore che si è staccato dal bordo della piscina. […] Ma presto fui assalito dall’atavica paura comune a tutte le creature viventi – la paura di perdere il mio corpo fisico, e questo bastò per riportarmi indietro nel mio corpo.” (Metzinger, 2010, p. 103)
Data la loro natura assai complessa, le esperienze extracorporee sono state storicamente oggetto di studio per molte discipline, scientifiche e non. In questa sede è impossibile non accennare al grande interesse suscitato da questi fenomeni nei confronti degli studiosi dell’esoterismo: nella letteratura in materia è possibile individuare una grande mole di resoconti sulla fenomenologia e sulle varie sfaccettature delle OBEs (Muldoon & Carrington, 1969; Monroe, 1977; Blackmore, 1992). Gli studiosi dell’esoterismo e della parapsicologia hanno analizzato il fenomeno delle esperienze extracorporee accostandolo ai cosiddetti viaggi astrali, intesi come un’esperienza extracorporea nella quale il viaggiatore spirituale lascia il proprio corpo fisico e viaggia tramite il suo corpo astrale verso realtà superiori (Woolger, 2008). Tuttavia occorre ricordare che in realtà ad oggi non esiste alcuna prova scientifica che supporti l’idea di una qualsivoglia manifestazione della coscienza che risulti separata dall’attività neurale (Regal, 2009), per questo la concezione qui riportata va letta attraverso un’ottica pseudoscientifica. Anche la filosofia della mente si è successivamente interessata a questi fenomeni: l’analisi delle caratteristiche fenomeniche delle esperienze extracorporee conduce infatti ad “una sorta di dualismo, e all’idea di un secondo corpo invisibile e privo di peso, anche se dotato di estensione spaziale” (Metzinger, 2010, p. 99). Le OBEs rappresentano quindi un fenomeno caratterizzato da molte sfaccettature e per questo analizzabile da diversi punti di vista: è storicamente nota l’importanza data a questi fenomeni da parte dei circoli esoterici e dei filosofi della mente, ma per quanto riguarda la scienza empirica quali sono le spiegazioni che vengono poste alla base di questa classe di esperienze? Rispondere a questa domanda è lo scopo del presente lavoro, che verterà quindi sull’analisi dei contributi che le neuroscienze e discipline affini hanno fornito per quanto concerne non tanto la fenomenologia delle esperienze extracorporee, quanto piuttosto i correlati neurocognitivi relativi ad alcuni specifici meccanismi. In particolare sono infatti due gli elementi peculiari che distinguono le OBEs rispetto alle altre tipologie di esperienza autoscopica: la sensazione di proprietà che si estende a livello del corpo etereo e la localizzazione del sé corporeo in uno spazio esterno rispetto ai confini del proprio schema corporeo (Blanke, 2004). Il presente lavoro si articolerà quindi in due momenti distinti: nel Capitolo 1 verrà fornita una panoramica delle principali conoscenze attuali relative al fenomeno OBE: si illustreranno in particolare l’incidenza, le differenze interculturali e le principali spiegazioni scientifiche poste attualmente alla base di questo fenomeno, analizzando in maniera specifica i contributi derivanti dalla neurologia, dalla psichiatria e dalle applicazioni della realtà virtuale. In un secondo momento, nei Capitoli 2 e 3, si illustreranno due esperimenti molto recenti (2015) che hanno avuto il merito di fornire delle informazioni importanti per quanto riguarda lo studio delle basi cerebrali sottostanti ai meccanismi di auto-localizzazione del sé corporeo nello spazio e di estensione del senso di proprietà corporeo che, come precedentemente illustrato, risultano essere i due elementi distintivi delle OBEs. Infine, nel Capitolo 4 verrà illustrato l’unico studio di fMRI attualmente disponibile relativo al caso di un soggetto che sosteneva di essere in grado di replicare volontariamente un’esperienza extracorporea: in questo modo sarà possibile verificare, sebbene in maniera contestualizzata, se le aree cerebrali coinvolte in questa particolare tipologia di OBEs risultino associabili ai meccanismi neurali precedentemente studiati.

di Luca Pieri

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