Come la manipolazione mentale può indurre al suicidio di massa

 

Il 18 novembre 1978, 909 adepti del People’s Temple morirono al comando del reverendo Jim Jones in Guyana, bevendo un mix di Kool- Aid e cianuro. Questo episodio viene ricordato come il suicidio di massa più numeroso mai avvenuto, e tutt’oggi ci si interroga su come sia potuto accadere e cosa abbia spinto così tante persone a rinunciare alla propria vita.

Tutto ebbe inizio nel 1955, quando a soli 24 anni Jim Jones decise di fondare un gruppo religioso detto “Wings of Deliverance”. L’anno successivo lo rinominò “People’s Temple”, rendendolo famoso per il suo attivismo sociale e i servizi forniti ai più bisognosi tra cui una mensa, un orfanotrofio e dei servizi per disabili. Il reverendo si dimostrò dalla parte dei più deboli e delle minoranze, tant’è che nel 1960 lui e la moglie furono la prima coppia dell’Indiana ad adottare un bambino di colore. Dal 1970 le cose cambiarono radicalmente, i media iniziarono a parlare del People’s Temple come di un culto molto restrittivo e rigido che non permetteva ai seguaci di andarsene e li isolava dalle proprie famiglie e dal resto della società. Furono proprio queste voci che spinsero il leader a spostare la sede in Guyana nel 1977, fondando Jonestown. Secondo le iniziali aspettative di Jones, il villaggio si sarebbe dovuto basare sull’agricoltura e tra i seguaci ci sarebbe stata assoluta equità e nessuna gerarchia. La popolazione era composta dal 75% di afroamericani, il 20% di bianchi e il 5% di asiatici, ispanici e nativi americani. Prima di unirsi al People’s Temple, molti di questi erano stati dipendenti da droghe o senzatetto o provenivano da situazioni abusanti (Wunrow, 2011). Negli stessi anni, la situazione sociale e storica americana era particolarmente in crisi. La lotta al comunismo promossa da Joseph McCarthy aveva generato un’insana paura nella popolazione di una rivolta comunista, avvalorata dalla possibilità di una guerra nucleare con l’Unione Sovietica. Il movimento per i diritti civili aveva subito un arresto dopo il boicottaggio del ’55 e infine la gioventù americana era sempre più disillusa e scontenta dello stile di vita che le generazioni precedenti le stavano lasciando in eredità. Lo stesso reverendo Jones emerse con idee rivoluzionarie riguardanti la segregazione e le contraddizioni del capitalismo americano e, supportato dalle sue abilità oratorie, riuscì a infiammare la massa. Jones ebbe occasione di far nascere questo culto data la debolezza delle religioni convenzionali dimostrata in quel periodo e conseguendo un senso di comunità che si era perso nella società moderna. Eileen Barker (1986) riporta una ricerca sociologica in cui si spiegano i principali motivi per cui giovani adulti entrano a far parte di un culto, tra cui: trovare una famiglia, per una ricerca spirituale, per sicurezza, per differenziarsi dai genitori, come ribellione adolescenziale, per cercare l’avventura, per attirare l’attenzione, per idealismo e a causa della disoccupazione giovanile. Non sorprende quindi che in molti aderirono al People’s Temple in cerca di sostegno e un’alternativa al proprio futuro.

 

1.1  La manipolazione dei seguaci

Jim Jones si propose come colui che avrebbe lottato contro le ingiustizie e come padre benevolo di tutti i suoi seguaci. Promuoveva l’uguaglianza all’interno della comunità, ma al contempo considerava se stesso una sorta di figura messianica al di sopra degli altri, chiedendo loro di rivolgersi a lui chiamandolo “Padre” ed escogitando stratagemmi di ogni genere per convincerli dei suoi poteri divini. Ad esempio, cercava informazioni private dei propri seguaci per dimostrare le sue finte abilità di lettura della mente oppure li drogava, a loro insaputa, per inscenare le loro resurrezioni. L’adulazione e la reverenza dimostrata dai membri non fece altro che incrementare il suo narcisismo, portandolo a dichiarare di essere la reincarnazione di Lenin e Gesù Cristo (Lalich, 2008). In sostanza si impegnò a utilizzare la cieca devozione dei seguaci per incrementare la loro dipendenza nei suoi confronti, con qualunque mezzo.

Isolò i seguaci dal mondo ritirando loro i passaporti, applicando la censura alle lettere che ricevevano dall’esterno e monitorando costantemente l’unica radio presente nel villaggio. Le comunicazioni avvenivano attraverso degli altoparlanti disseminati ovunque, con questi Jones riportava ai fedeli alcuni eventi che, non potendo essere verificati in alcun modo, venivano dati per certi (ad esempio un imminente olocausto nucleare o un ritorno del Ku Klux Klan). Il reverendo insisteva sull’importanza del celibato, nonostante egli stesso non seguisse tale precetto e a causa degli svariati rapporti che aveva, si rendevano necessari dei matrimoni combinati per le donne che metteva incinta. Sosteneva che tutti fossero omosessuali e che lui fosse l’unico vero eterosessuale e per questo pretendeva di avere rapporti con chiunque lo aggradasse, anche solo come ennesima forma di prevaricazione e superiorità (Wunrow, 2011). È evidente l’ambiguità tra i valori morali di cui si diceva portatore e le azioni volte a manipolare e rendere i suoi seguaci totalmente sottomessi. Costrinse ogni affiliato a riferirgli qualunque trasgressione alle regole da parte degli altri, arrivando anche a convincere i figli a denunciare gli stessi genitori, e ciò si tradusse in paranoia e sospetto generalizzati. Sulla paranoia costruì le ennesime prove delle sue abilità di lettura mentale: quando un membro decedeva, affermava di averlo fatto morire lui stesso poiché aveva letto i suoi pensieri e costui voleva lasciare la comunità.

Le punizioni erano ampiamente utilizzate, una delle più comuni era chiudere in una scatola della grandezza di una bara la persona incriminata, a molti metri sotto terra, mentre un altro, affacciato alla buca, ricordava ad alta voce incessantemente gli errori della vittima. Nemmeno i bambini erano esenti, quelli che ancora bagnavano il letto venivano sottoposti a delle scariche elettriche. Una delle armi più efficaci per abbattere psicologicamente i suoi seguaci fu la deprivazione del sonno. Se i fedeli superavano il numero di ore di sonno consentite venivano fatti sentire estremamente in colpa, era necessario lavorassero 6 giorni a settimana ed erano perennemente esausti. La popolazione di Jonestown era indebolita ulteriormente da malattie tropicali dovute al clima della giungla del Guyana ed era pesantemente sedata con antidepressivi e altri farmaci che portavano a tendenze suicidarie. Oltre a questo, Jim Jones sottoponeva i propri seguaci a test di fedeltà chiamati “White Nights” in cui voleva constatare in quanti si sarebbero sacrificati per lui, bevendo una sostanza che veniva fatta loro credere fosse mortale. Questi test non erano altro che vere e proprie simulazioni di quanto sarebbe successo durante il “suicidio rivoluzionario”, con l’aggravante che quel giorno i genitori dovettero somministrare il veleno prima ai propri figli e guardarli morire e chi si opponeva veniva prontamente forzato dalla guardie del leader.

Come fa notare Rose Wunrow (2011) tenendo conto di queste continue manipolazioni non sarebbe corretto parlare di suicidio di massa e potrebbe essere più consono rinominarlo “massacro”, in quanto i fedeli non avevano alternativa migliore dopo un tale plagio psicologico. Sembrerebbe quasi che ogni tecnica di controllo mentale attuata da Jones fosse volta a far desensibilizzare i membri all’idea del suicidio o a fargliela sembrare quantomeno normale.

 

1.2  Jim Jones: il leader

Secondo il professor Zimbardo (2002) della Standford University, Jim Jones venne particolarmente influenzato da George Orwell autore di “1984”, in cui si esplora la psicologia sociale e gli effetti del controllo mentale nelle masse. Jones si ispirò a queste stesse tecniche e attuò un controllo sui seguaci simili al “Grande Fratello” del libro.

Il reverendo, nei suoi lunghi monologhi o sessioni catartiche, insisteva sul fatto che chiunque fosse stato contrario ai suoi dettami era da considerarsi un traditore e che la punizione per la diserzione era la morte. Includeva se stesso nel gruppo di coloro contro i quali si cospirava e cambiava giornalmente versione su chi fossero i cospiratori. Convinse i membri di colore che sarebbero finiti nei campi di concentramento se non avessero aderito alle sue idee, mentre i bianchi sarebbero stati sotto controllo della CIA, imprigionati e torturati.

Il suo carisma venne alimentato sin da piccolo dalla madre che già era convinta sarebbe divenuto un salvatore. Dimostrò da subito grandi doti oratorie e una predisposizione ai sermoni. Tra amici usava un certo grado di sadismo e autorità, che poi riversò nella comunità di Jonestown. Il fatto che fosse così legato al tema della morte potrebbe forse dipendere dal suo luogo di nascita Lynn, la cui economia era prevalentemente basata sulla produzione di bare (Abse e Ulman, 1983).

La fissazione nel mantenere il controllo e la sua irrazionalità incrementarono per l’uso accelerato e costante di droghe. La sua dipendenza fu chiara ai seguaci solo quando si stabilirono a Jonestown e il leader cambiò radicalmente stile oratorio e comportamento. In effetti, l’autopsia sul corpo di Jones, dopo il suicidio di massa, rivelò un livello di barbiturici nel sangue tanto alto da uccidere una persona normale. L’uso di droghe insieme alla pressione dovuta ad altre situazioni, compresa una lotta di custodia per un figlio illegittimo, fecero spostare l’attenzione di Jones sulla comunità in maniera morbosa e ossessiva. La preoccupazione costante che i suoi fedeli gli si rivoltassero contro, incrementò il controllo su di loro e fu la ragione per cui introdusse le “White Nights”.

La Wundrow (2011), raccogliendo testimonianze dei fedeli sopravvissuti, riporta che per una ragione sconosciuta Jim Jones ha evidentemente sempre avuto l’idea di portare alla morte i suoi seguaci. Infatti, ancora prima di fondare Jonestown, propose di rinchiudere tutti nel People’s Temple e appicare il fuoco oppure di dirottare intenzionalmente un aereo pieno di seguaci.

 

Con Jonestown si aprì un serie di studi e un interesse molto vivo nei confronti dei culti in generale e di cosa spingesse le persone ad affiliarsi. Si è venuta formando una posizione molto interessante: la tesi dell’anticulto. Con anticulto ci si riferisce a un gruppo formato allo specifico scopo di disseminare informazioni, offrire consigli e contrastare le autorità che cercano di frenare le attività del culto. I principali metodi delle tecniche di controllo mentale e il “lavaggio del cervello” incrementano l’affiliazione e il senso di comunità tra i soggetti, tuttavia gli anticultisti si concentrano molto sulla componente individuale degli affiliati (Barker, 1986). Infatti, come indica la Barker (1986), secondo alcune ricerche svolte comparando soggetti normali e membri di culti sembrerebbe che questi ultimi siano particolarmente più deboli e patetici dei primi. A questa visione si oppone Ash (1985) che sostiene sia possibile riconoscere una “psicopatologia culto-indotta”. In questo caso sarebbe  l’ambiente del gruppo religioso, con le sue regole e condotte, a indurre negli individui la totale sottomissione e devozione ad esso. Dunque non è possibile affidarsi a una sola posizione, piuttosto occorre tener conto dei tanti fattori personali e situazionali. Nel caso di Jonestown è possibile ipotizzare che il combinarsi dell’autorità carismatica di Jones e la funzione del culto come contenitore sociale possano aver creato un terreno fertile per il gruppo e il suo espandersi, formando uno scambio continuo tra il bisogno di superiorità e sadismo del leader e l’arrendevolezza e il bisogno di credere in qualcosa dei seguaci.

di Valentina Sofia Conte

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