Morbo di Alzheimer: significato e definizione

La Storia del Morbo di Alzheimer inizia nel 1901 quando Alzheimer diagnosticò per primo tale demenza. La paziente, Auguste D., 51 enne aveva notevoli problemi nel ricordo di oggetti presentati solo qualche minuto prima.

Per diagnosticare oggi questo tipo di demenza, che è oggi tra le più diffuse (50-60%) occorre che i deficit riscontrati non siano dovuti ad altre condizioni neurologiche, indotte da sostanze o dal delirium.

Dal punto di vista diagnostico, occorre considerare che per una diagnosi completa è opportuno utilizzare una biopsia cerebrale in vivo o dopo la morte, solo in questo modo è possibile verificare se sono presenti proteine o corpuscoli inequivocabilmente connessi alla patologia. Tuttavia, nella maggioranza dei casi si utilizzando informazioni clinico strumentali che portano a una diagnosi di demenza di Alzheimer probabile. Le diagnosi ottenute usando informazioni clinico strumentali hanno un alto livello di attendibilità (85-90%). Ultimamente, si sta studiando approfonditamente come si individua la fase pre-clinica, in modo tale da migliorare la consapevolezza e il trattamento del morbo di Alzheimer, argomento che verrà trattato nel paragrafo inerente esordio, diagnosi e sviluppo della malattia. Uno dei nomi più diffusi per definire la fase pre-clinica è Mild Cognitive Impairment (MCI). Molti studi hanno si stanno tuttavia interrogando su quali siano le effettive probabilità che un Mild Cognitive Impairment portino poi effettivamente allo sviluppo della Malattia di Alzheimer, in quanto una parte delle persone con MCI rimangono stabili, altre hanno una riduzione dei sintomi, altre sviluppano il Morbo di Alzheimer.

Sebbene i risultati non siano del tutto chiari, rimane utile l’obiettivo di congiungere ricerca clinica e pre-clinica (Mild Cognitive Impairment) in quanto solo tramite di essa è possibile identificare i marker predittori della malattia. Il tempismo è quindi fondamentale per favorire un migliore trattamento della patologia.

La malattia di Alzheimer si caratterizza con un inizio insidioso ed una lenta evoluzione, mostra tipici disturbi di memoria e linguaggio. Il malato di Alzheimer presenta in prima battuta anomia, ovvero un deficit nella denominazione degli oggetti che si evolve fino a determinare a forme combinate di afasia espressiva e di comprensione, i contenuti delle conversazione sono sempre meno ricchi e privi di significato e, anche se la capacità di ripetizione sia piuttosto mantenuta, quelle di comprensione e denominazione si deteriorano progressivamente. Le persone affette da Alzheimer trovano difficile il riconoscimento delle cose e la corretta collocazione degli oggetti nello spazio; una caratteristica comune è la perdita dell’orientamento, tanto da non riconoscere le immediate vicinanze dell’abitazione o, addirittura, da perdersi nella stessa. Essi spesso camminano senza meta, possono comportarsi in maniera aggressiva, avere allucinazione, sbagliare nell’identificazione di persone e luoghi familiari, avere crisi d’ansia e disturbi di depressione.

Sebbene ci sia un declino complessivo delle funzioni cognitive, le abilità motorie vengono mantenute fino allo stadio avanzato della malattia ma, a prescindere da ciò, questi pazienti hanno bisogno di assistenza per ogni attività della vita quotidiana.

La fase terminale della malattia sorge in un periodo di tempo che va dagli otto ai dodici anni dall’inizio della malattia, sebbene occorre comunque considerare le differenze individuali e le eventuali differenze nel trattamento ed assistenza. Lo studio e la ricerca su questa malattia sono ad oggi in corso e necessitano di ulteriori sviluppi, in ogni caso, sono stati individuati però due marker neuropatologici, le placche senili e i grovigli neurofibrillari.  Le placche sono composte da neuriti distrofici con un nucleo centrale di sostanza amiloide che si trova nella parete dei vasi del sistema nervoso centrale (SNC).

I grovigli rappresentano strutture intracitoplasmatiche e si pensa che contengano proteine anomale, in modo particolare la proteina tau, legate a dei microtuboli; comunque, né le placche né i grovigli sono indicatori inequivocabili di questa malattia: infatti sono riscontrati talvolta anche nel cervello di anziani che non hanno alcun tipo di demenza. Nella Malattia di Alzheimer sono presenti perdite neuronali, in modo particolare, nella corteccia, nell’ippocampo e nell’amigdala. È colpito il sistema colinergico, l’attività della colina-acetiltrasferasi è marcatamente ridotta a livello della corteccia e dell’ippocampo.

Jack et al. (2010) hanno definito un modello dell’evoluzione della Malattia di Alzheimer per cui tale malattia è correlata all’elaborazione anormale del peptide β-amiloide, che porta allo sviluppo delle placche Aβ nel cervello. Questo processo entra in gioco quando gli individui non hanno peggioramenti cognitivi notevoli. I marcatori biologici nel cervello delle beta-amiloidosi sono la riduzione del CSF Aβ42 ed un aumentata ritenzione del tracer PET delle amiloidi. Dopo un periodo di stallo, che varia da paziente a paziente, le disfunzioni neuronali e neurodegenerative diventano più evidenti nei processi patologici. I marker biologici di neurodegenerazione portano ad un aumento del CSF tau e delle atrofia cerebrale. La neurodegenerazoine è accompagnata da una disfunzione sinaptica, che si rileva tramite una diminuzione del riassorbimento de fluorodeossiglucosio rilevato in PET. Nel modello presentato da Jack et al., (2010) i primi marcatori biologici sono Aβ anormali e poi i biomarker neurodegenerativi e i sintomi cognitivi, i quali correlano con la severità dei sintomi clinici.

La ricerca, inizialmente era basata solamente sulla possibilità di identificare una cura del malato, successivamente alla diffusione del modello biopsicosociale (Engel, 1977), l’attenzione si è spostata dal paziente, al sistema famiglia che accoglie la patologia ed a fattori inerenti anche la sfera sociale, come l’assunzione del “ruolo del malato” da un punto di vista sociale.

Essendo la Malattia di Alzheimer una malattia degenerativa, non sono ad oggi disponibili cure definitive, e proprio per questo motivo, ad oggi l’attenzione è molto focalizzata sulla prevenzione, che può fornire un valido supporto. Grande attenzione è data all’individuazione dei marker biologici tipici dell’Alzheimer pre-clinico. Lo studio degli aspetti pre-clinici, infatti, può essere di grande supporto nel contrastare la malattia sin dai primi stadi. In questo elaborato, vedremo quali sono le ricerche in merito agli stadi pre-clinici, come formulare una diagnosi, quali sono i tipi di trattamento e di prevenzione che è possibile effettuare, le modalità corrette per una diagnosi, gli stadi di evoluzione della patologia e le modalità efficaci di presa in carico del malato da parte dei caregiver.

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