Come condurre un colloquio psicologico di cui essere fiero

Articolo di Laura Koelliker

La raccolta dei dati anamnestici è stata in psichiatria e medicina, guidata per molto tempo dal modello di malattia e diagnosi di riferimento, quindi ancorata ad un modello meccanicistico e medico. Nel corso del tempo, però, si è attribuita maggiore importanza all’individuo e alla spiegazione del funzionamento del singolo paziente.
Nella letteratura di svariate discipline: psicologica, medica e sull’esperienza della malattia, la svolta narrativa è stata al centro di interessi e contributi nell’analisi letteraria sia nelle scienze umane sia nelle scienze sociali. È Ricoeur (1994) a parlare di tempo narrativo, ma chi ha parlato del “significato che viene creato nella malattia” dando importanza allo stesso e spiegandolo come il “risultato” dell’incontro tra valori culturali e rapporti sociali, unendo così la tradizione antropologica alla clinica, è Arthur Kleinman (1988). Come nasce un racconto? Quando si parla di storia? Per Bruner il compito del pensiero narrativo sta nella capacità di poter coniugare la realtà interna e quella esterna al soggetto, l’ha definito “doppio scenario”, in quanto questi diversi piani di realtà rispondono a tempi diversi e quindi a due diversi scenari. La narrazione si inserisce, quindi in quelle particolari situazioni, nelle quali, gli eventi non possono essere interpretati attingendo ai criteri, alle convenzioni sociali già utilizzati, ma necessitano della ricerca di nuovi.

Ecco da cosa nasce una storia: da una violazione della canonicità. Ciò che rompe il “solito” copione di vita, ciò che viola l’ordinarietà ha bisogno di un racconto. Senza l’irruzione dell’insolito, dell’imprevisto non c’è narrazione; se tutto rientra nel canonico e quindi nel prevedibile non c’è bisogno alcuno del racconto. L’azione del raccontare è un modo per superare la frattura che si crea tra il canonico imposto dalla cultura e l’imprevisto che va a costituire il materiale per la storia, per rendere l’impensabile qualcosa di conosciuto. (Bruner, 2000)
Parlando di narrazioni e storie è bene tenere presenti due piani che sono compresenti all’interno di esse: la verità storica e la verità narrativa.
La verità storica si riferisce all’ordine cronologico con il quale si sono effettivamente susseguiti gli eventi, la verità narrativa invece si riferisce al tempo soggettivo che non corrisponde a quello cronologico. Tra tanti eventi possibili, infatti, è il soggetto che sceglie di iniziare il suo racconto a partire da un evento particolare e inventare una storia rendendola così comunicabile e condivisibile.
Freda, riprende le considerazioni di Franco Corrao sostenendo che la trama narrativa di un testo ha un potenziale conoscitivo; la trama organizza gli eventi cronologicamente e allo stesso tempo trasmette il valore soggettivo di quella particolare esperienza. Questo processo avviene secondo il principio della verosimiglianza e della necessità e non secondo un principio di verità. Ciò vuol dire che la storia, essendo un connubio tra realtà esterna ed interna, non riprodurrà mai fedelmente gli eventi accaduti ma, attraverso la verosimiglianza verrà operata una trasformazione che andrà a creare una versione della storia che non corrisponderà in toto ad essa, ma manterrà delle invarianti che la renderanno riconoscibile. La verità narrativa testimonia il vissuto del soggetto, cosa è stato significativo rispetto alla propria storia, cosa lo ha “segnato”. Partendo da questo assunto, quindi, il soggetto potrebbe anche scardinare completamente l’ordine cronologico degli eventi, che seguirebbero invece il tempo soggettivo, della coscienza. Un evento potrebbe essere così intenso per il soggetto da non riuscire a legarlo al resto della propria storia. Nasce, così, il bisogno di un organizzatore che possa permettere di poter elaborare e significare questi eventi e poterli connettere al resto dell’esperienza significandola e restituendole un senso. Si ipotizza che la mente funzioni secondo tre modalità: operativa e razionale (Logos), emozionale (Pathos), analogica (Mythos) che scaturisce dall’intreccio delle due precedenti.
Tutte queste modalità sono compresenti e coesistenti in ogni forma di espressione simbolica e concorrono alla costruzione di significati che orientano i processi psicosociali. Quindi i processi di categorizzazione affettiva, culturale, e operativa sono principi organizzatori dell’esperienza e della capacità di progettazione e realizzazione di scopi. (Freda, 2008). Quando non si riesce a integrare un evento nella storia di vita, legarlo alla esperienza e dargli un senso, diventa necessaria una categorizzazione emozionale della realtà, Pathos, che è basata su processi dei simbolizzazione affettiva dal quale si innesca il processo generativo del senso. Questa è la costruzione del Mythos di cui parla Freda (2008), inserire gli oggetti della realtà in configurazioni significanti, potendo così comprenderne le ragioni e non le cause.

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