I 2 Piani di Realtà nella Narrazione Psicologica di Bruner

Articolo di Laura Koelliker

Jerome Bruner a partire dagli anni ’80 si è occupato delle proprietà e delle caratteristiche della narrazione facendone il centro della propria ricerca scientifica. L’autore evidenzia e individua la differenza di due livelli di realtà: 1. La realtà intesa come mondo esterno
2. La realtà della coscienza quale mondo interno.
Per Bruner a parte due livelli di realtà, esistono due modi differenti di pensare. Uno procede per sequenzialità, contribuendo a creare concetti e categorie generali basati su nessi dati dal principio della causalità, ed è definito logico-paradigmatico ed è alla base della conoscenza scientifica. L’altro è il pensiero narrativo, o sintagmatico, che procede per intenzionalità e, a differenza di quello paradigmatico, non segue la logica causale bensì quella delle emozioni, credenze, affetti.
Bruner sostiene che l’intenzionalità è alla base della costruzione della realtà. Infatti ciò che rende ogni persona diversa dall’altra, unica è la capacità di “vivere” in maniera differente lo stesso evento. La modalità di organizzare e significare l’esperienza è diversa per ciascuno di noi. Il filtro attraverso il quale interpretiamo la realtà è il filtro della soggettività ed è grazie a questo che lo stesso evento può essere letto con modalità, filtri, differenti.
A differenza di una visione “oggettiva”, leggere gli eventi attraverso la lente della soggettività rende ogni persona unica, perché la lettura che darà della realtà, di un evento passerà, inevitabilmente, attraverso tutto il suo sistema di credenze, affetti ed emozioni e quindi ne sarà influenzata. Questo differenzia il modo di significare un evento da persona a persona, ma anche nella stessa persona in momenti diversi della sua vita.
L’obiettivo del pensiero narrativo è di coniugare il piano sintagmatico e quello narrativo, quindi mondo interno ed esterno. La narrazione in questa prospettiva è intesa come un dispositivo della mente che costruisce narrazioni. Le narrazioni, quindi, non nascono da una semplice registrazione oggettiva di dati e\o eventi ma, sono il risultato di una rielaborazione emozionale, cognitiva ed affettiva che le da forma.

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La capacità di narrare può essere intesa come una funzione mentale (Mittino, 2013). Quando si racconta una storia gli eventi vengono rielaborati, inevitabilmente, dal narratore che attraverso questo “processo” prende coscienza dell’evento che sta raccontando. Attraverso il narrare il soggetto fa presente a sé stesso l’esperienza vissuta e questa dinamica può portarlo a strutturare un pensiero sulla stessa. Infatti, nell’atto del raccontare il soggetto si trova a dover discriminare gli eventi pregnanti da quelli che non lo sono. (Pennebaker, 2001).
La narrazione offre la possibilità di risignificare gli eventi passati attraverso la lente del presente e viceversa, ma anche l’opportunità, straordinaria, di poter immaginare delle alternative possibili, ovvero di poter “coniugare la realtà al congiuntivo” (Bruner, 1990).
Il soggetto che si racconta, mosso dal bisogno di dare un senso agli eventi che vive, attraverso la narrazione interpreta la realtà che lo circonda. Questa costruzione di senso che si dipana e sviluppa attraverso il racconto contribuisce anche alla costruzione del processo identitario.
È di Freud il merito di aver battuto una nuova strada per esplorare il significato del disturbo psichico al di là della tradizione medica rintracciandolo all’interno dei sogni e dei lapsus, occupandosi della relazione che intercorre tra espressione e contenuto. È da qui che il linguaggio diventa un ambito di interesse per la psicoanalisi. Questo passaggio è la premessa, l’inizio dell’interesse e dell’attenzione rivolta alle narrazioni in ambito psicologico. È Freud che nel 1907 nel saggio “Il poeta e la fantasia” dedicò uno spazio al “romanzo psicologico”; l’autore scorge nel modello narrativo una possibilità per descrivere la mente. Nel “romanzo psicologico” gli autori giocano con la fantasia, sostiene Freud, come sono soliti fare i bambini. I personaggi sono la personificazione, la materializzazione delle difficoltà e caratteristiche peculiari dell’inconscio di chi li immagina e gli da vita.
Il linguaggio, quindi, diventa di fondamentale importanza per la psicoanalisi proprio perché è in questo “luogo” che pare concretizzarsi il processo di soggettivazione. Stern (1985) evidenzia come il raccontare la propria storia influisca sulla strutturazione del Sé; l’autore a questo proposito individua delle tappe e il Sé narrativo è indicato come la fase finale, l’ultima tappa dello sviluppo del Sé. Il sé narrativo, sostiene Stern, è composto da diversi elementi che scaturiscono da altri sensi del Sé come il Sé emergente, nucleare, soggettivo e verbale.
Quello che costituisce l’identità è, quindi, l’insieme dei racconti, che sono legati cronologicamente tra loro, il racconto non è che una descrizione degli eventi della vita e delle loro possibili soluzioni (Bruner, 2002).
In questo senso il soggetto che racconta si “muove nel tempo”, attraverso il racconto, spostandosi dal là ed allora della narrazione al qui ed ora in cui sta narrando il racconto.
La narrazione, afferma Freda (2008), è il connubio, l’unione tra l’esperienza intesa come dimensione concreta che è possibile trattare attraverso la dimensione univoca del pensiero logico e la dimensione emozionale che contiene una matrice di significati infiniti e che segue le leggi della simbolizzazione affettiva. Freda (2008) parla anche di opacità referenziale, una sospensione momentanea della realtà esterna dove è possibile immaginare una contaminazione tra mondo interno del narratore e mondo esterno, facendo così in modo che si connetta il pensiero alle emozioni, infatti la costruzione del senso è fondamentalmente bidimensionale, essa è mediata da dispositivi semiotici che rispondono da un lato ai modi del pensiero intenzionale e razionale, dall’altro alla logica dell’inconscio. È possibile ipotizzare che dall’intreccio di queste due modalità di funzionamento della mente emergano diversi livelli di costruzione configurazionale della realtà.
A questo livello intermedio della semiosi, funzionamento conscio e inconscio si mescolano istituendo un nuovo modo di categorizzare, di tipo convenzionale (analogico). A questo livello si costruisce la cultura, intesa come sistema di significati incarnati in simboli.
Il Sé è caratterizzato da medesimezza, cioè la continuità nell’evoluzione da bambino ad adulto, e da ipseità, che rappresenta la progettualità e la capacità di creare alternative possibili alla propria vita (Martini, 1988). Bruner (2002) evidenzia come nel racconto di Sé sia presente una dimensione di azione, cioè come siano presenti, nell’ambiente circostante, attivamente coscienza, pensieri, sentimenti e interessi (Bruner, 2002).

Diventa possibile scorgere come faccia da sfondo a tutto ciò la nuova concezione di inconscio proposta da Fornari (1983): l’inconscio per l’autore non si riduce a mera sede degli impulsi ma diventa un luogo per significare l’esperienza, “una centrale di significati”. È qui che si effettuano ragionamenti che seguono una logica affettiva.
È così che per il soggetto diventa di fondamentale importanza regolare e integrare i differenti ruoli affettivi, cioè dare inizio ed operare il processo di soggettivazione che è finalizzato all’integrazione dei vari aspetti di Sé.
Si può parlare così di identità narrativa, intendendola come la come la comprensione narrativa di sé stessi. La comprensione narrativa, a sua volta, altro non è che una sintesi tra quello che il soggetto è nel suo presente e la sua storia passata.
Possiamo immaginare questo tipo di identità formata da diverse strutture narrative che sono delle forme significanti fondamentali, così come i coinemi individuati da Fornari (2011). Queste strutture, proprio come i coinemi fungono da contenitori che vengono riempiti da ogni discorso e diventano principi organizzatori dell’esperienza; in questo senso si avvicinano al concetto di codici affettivi di Fornari (2011) perché le strutture narrative, come i coinemi, sono delle strutture organizzatrici dell’esperienza presenti geneticamente nell’individuo e riempite con l’esperienza storica (Mittino, 2013)
La narrazione diviene così un modo per addomesticare la realtà raccontando frammenti di vita e pensando a scenari futuri (Bruner, 2002). Il dato inconscio è trasformato in parola, presupponendo un passaggio conscio per poter essere raccontata, questo processo permette di costruire il significato. È proprio rispetto a questo processo che Freda ipotizza l’esistenza di un luogo intermedio, tra i due luoghi della mente, che permette al soggetto di rendere la propria storia condivisibile. L’autrice mette così l’accento sulla capacità intersoggettiva di costruire significati e attraverso i quali, le persone strutturano il mondo nel quale vivono. Questo processo di messa in parola è fondamentale, ed infatti Bruner (1990) ritiene il linguaggio il mezzo principe, fondamentale attraverso il quale vengono negoziate le relazioni interpersonali e una cultura trova la sua specifica espressione nella costruzione ermeneutica di significato. Per Bruner mente e cultura sono legate in una dinamicità circolare, così che il soggetto che costruisce il proprio Sé attraverso l’interiorizzazione dei simboli del sistema culturale, allo stesso tempo contribuisce al cambiamento della cultura attraverso la sua interpretazione, che è intrinsecamente intersoggettiva dato che si esprime attraverso la comunicazione con gli altri.
Riprendendo il concetto di riflessività di Bruner, Freda (2008) introduce il concetto di implicito. L’implicito è un modo di funzionare della mente che non permette la costruzione della conoscenza a livello conscio, consapevole a meno che non si istituisca un processo riflessivo nel quale il pensiero assuma come oggetto il suo operare. Le emozioni e l’affettività rivestono un ruolo fondamentale, all’interno di questo pensiero – non – pensato, come principi ermeneutici dell’esperienza che servono ad arrivare ad un pensiero cosciente. La parte emozionale non è esclusa, anzi è integrata nel processo al fine di non perdere una parte significativa dell’esperienza e quindi del processo di conoscenza.

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