Il Caso Clinico di un giocatore d’azzardo patologico

Tra le narrazioni raccolte e quelle fin’ora incontrate in letteratura, ho deciso di riportare integralmente il resoconto da me redatto dopo l’incontro con la signora B7. Questa decisione è dovuta al grande carico emotivo da me vissuto ascoltando la sua storia, che ha arricchito il mio lavoro e contribuito a fornirmi un nuovo e più umano punto di vista, nonché spunto di riflessione circa questo fenomeno così complesso e contradditorio quale è il gioco d’azzardo. Nonostante sia stata mantenuta la privacy, a tutela della persona che ha deciso di raccontarsi, nel resoconto alcuni elementi ed eventi significativi sono stati trasformati al fine di rendere irriconoscibile la storia, pur mantenendo, per così dire, intatta tutta l’autenticità del racconto così come è stato narrato.

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Venerdì 12\12\20148
La signora B.9 mi ha chiesto di interrompere la registrazione, è scossa. Dice di essersi “bloccata”, la rassicuro dicendole che ha già fatto molto e che, come le avevo spiegato poco prima di iniziare, in qualunque momento avesse voluto interrompere la narrazione si doveva sentire libera di farlo. E’ proprio qui che B. inizia a raccontarsi. La storia di B. mi colpisce, mi rapisce e l’ascolto con estrema attenzione e partecipazione. Mi racconta della sua esperienza di ragazza madre, che si è occupata da sola della famiglia, combattendo anche con gli assistenti sociali. Dal racconto di B. emerge un vissuto di profonda rabbia. B. denuncia un totale abbandono da parte dello Stato che non le ha dato i sussidi necessari alla crescita della figlia che, nonostante ciò, è stata cresciuta da lei con profondo affetto e dedizione. Il gioco si inserisce nella vita di B. con un viaggio in Francia dove conosce per la prima volta il Bingo e dice “sono stata rapita”, “li dentro ho dimenticato tutti i miei problemi, ci sono entrata al mattino e sono uscita il pomeriggio seguente”. B. mi racconta a tratti del gioco, a tratti della sua vita al di fuori della sala Bingo. E’ una donna sconvolta quella che ho di fronte, una donna che vive il gioco in maniera profondamente contraddittoria, il gioco occupa la maggior parte della sua vita o meglio la sua vita è organizzata in base al gioco. Mi racconta di come ogni giorno sia alla ricerca di soldi per poter giocare, ricorrendo il più delle volte a indebitarsi. In lacrime mi dice di provare una profonda vergogna, di non riuscire a guardarsi allo specchio. B. ha una figlia al 6 mese di gravidanza e una nipotina di 7 anni, “sono una nonna di merda” mi dice tra le lacrime, vorrebbe occuparsi della nipote, della figlia ma i suoi soldi finiscono tutti al Bingo o alle macchinette (Slot).
B. continua a raccontarsi dicendomi che per 4 mesi non ha giocato, lei e il suo compagno (giocatore anch’esso) hanno seguito una terapia di gruppo. Con entusiasmo mi dice: “quando eri li e sentivo le storie degli altri, non ci potevo credere pensavo sta raccontando la mia storia!” continua “non potrò mai dimenticare la frase che mi disse un signore che partecipava al gruppo: “Nuj tenimm na scigntell ngopp a spall che ci tenterà sempre, non se ne andrà mai”. Il suo pianto si fa più intenso ma, stavolta, mi trasmette rassegnazione non rabbia, vergogna come quello precedente. Mi dice: “Laura è vero! Noi non ne usciremo mai è una cosa che dura tutta la vita, aveva ragione”. B. racconta che nei 4 mesi di “astinenza” dal gioco si trovava sorpresa a passare davanti al Bingo e non sentirsi tentata, attratta dall’entrare a giocare, allo stesso tempo però mi dice che in quel periodo è ricorsa ad uno shopping sfrenato “compravo un sacco di borse, uhhh quante borse che ho comprato!”. Dopo 4 mesi, in agosto, B. sola in una città semi-deserta non sapeva cosa fare “ci sono ricaduta, sono tornata lì e ho ripreso a giocare”. Il tono della voce si abbassa di qualche tono, parla più lentamente, fa dei lunghi respiri. B. mi trasmette la sua impotenza rispetto al gioco, che definisce “cattivo” e “tentatore”. Sente di aver fallito, di esserci ricaduta. Mentre questa donna parla mi trovo a sperimentare emozioni diverse e contrastanti. Sento di avere di fronte una donna forte, che ha affrontato una miriade di difficoltà nella sua vita (quando mi parla dell’esperienza di ragazza madre) e allo stesso tempo una “bambina” bisognosa di cure che inveisce contro uno Stato assente che “ci ha abbandonati e non si occupa di noi”.
“mia figlia è incinta e io sono invidiosa, no invidiosa io odio questa bambina che nascerà. Perché la sorella non ha avuto un padre invece lei si. Non è giusto per mia nipote”
B. mi dice che la figlia è a sua volta una giocatrice, quasi inorgoglita da questo mi dice di aspettare e che a breve ci avrebbe raggiunte lì per raccontare la sua storia. La figlia di B. è una ragazza di 31 anni, incinta al 6° mese. Ha anche un’altra figlia di 7 anni avuta da un precedente compagno che però l’ha abbandonata. B. mi esprime il suo odio nei confronti della nascitura davanti alla figlia che dice alla madre di non preoccuparsi. Di fronte a tutto questo ho avuto una sensazione di “invischiamento”, i confini non c’erano e tutto faceva parte di tutto. Così madre e figlia, entrambe ragazze madre, entrambe giocatrici sembravano essere l’una l’immagine speculare dell’altra. B. racconta che la figlia non gioca più al Bingo da 1 mese e mezzo, in seguito ad una discussione con il compagno che minacciò di lasciarla se avesse continuato a giocare. B. dice “ecco, ha un uomo che la tiene frenata, lei deve fare la spesa, cucinare, ha qualcuno a cui dare conto; forse se avessi anche io qualcuno a cui dare conto… io sono sola… non lo so se avessi anche io queste cose forse non giocherei”.
La scissione in questa donna è profondissima; lei dice di volersi occupare della figlia, delle nipoti ma la voglia di giocare è più forte, assorbe tutti i suoi pensieri allo stesso tempo dice che se avesse qualcuno che si occupasse di lei forse smetterebbe di giocare. E’ un continuo rimando all’esterno, una de-responsabilizzazione rispetto al giocare d’azzardo. “E’ vero nessuno ci mette la pistola alla tempia per farci giocare, ma lo Stato dovrebbe fare qualcosa per noi… lo Stato ci ha messo lo zampino, con tutte queste sale Bingo ci ha rovinati”. B. vive la sua condizione di giocatrice in maniera esasperata e disperata, infatti, mi dice di aver scritto al Papa, alla Regione, al Comune, alla televisione per proporre un intervento che possa mettere fine a “questo vizio maledetto”.
Ancora una volta mi assale una sensazione di impotenza rispetto a tutto questo, come se fossi in trappola, mi divincolassi e non riuscissi a muovermi. B. mi dice che vive con una pensione di 280 euro mensili, poiché è invalida, e che questa somma è interamente spesa nel gioco. “la notte, quando mi metto a letto, non riesco a dormire, non riesco a tenere la testa sul cuscino faccio dei salti e mi sento il cuore in gola. Penso, ripenso mi alzo e inizio a camminare per il corridoio; è bruttissimo non lo auguro a nessuno”.
B. si presenta come una donna dalla corporatura esile, fragile, è molto magra. Cura l’aspetto estetico, è ben vestita e truccata con i capelli in ordine. Non faccio mistero a lei della sorpresa che ho provato quando mi ha detto “io non vado neanche dal parrucchiere, perché non ho i soldi. I capelli li taglio da sola a casa”. I soldi di B. sono tutti destinati al gioco, non c’è spazio per altro.
Incuriosita e allo stesso tempo spaventata dal vissuto che lei mi stava portando, le ho domandato cosa le desse il gioco, B. mi risponde “Al bingo mi sento una regina, perdo i sensi, mi sento stonata, non penso ai problemi, ai soldi, al mangiare, a niente … penso solo a vincere. Tanto non vinci mai, esci sempre perdente. Il problema non è dentro, è quando esci fuori perché ti senti peggio”.
La narrazione si conclude e B. mi chiede se può trattenersi ancora un po’ con me perché non ha soldi per tornare a giocare e non ha nulla da fare. Le offro un caffè e lei mi ringrazia per averla ascoltata. Arriva la figlia di B. e dopo qualche minuto la signora chiede 10 euro alla figlia per poter tornare a giocare, mi saluta e mi lascia in compagnia della figlia.

Articolo di Laura Koelliker

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