Puoi affrontare un trauma passandoci attraverso

La terapia di esposizione è stata usata con successo per molti anni per trattare una varietà di disturbi, tra cui fobie, panico e disturbi ossessivi-compulsivi. Negli ultimi 15-20 anni, è stata applicata e adattata per il trattamento del DPTS. Nella rassegna sulla terapia di esposizione per il DPTS pubblicata nelle Linee Guida terapeutiche dell’International Society for Traumatic Stress Studies figurano dodici studi, otto dei quali metodologicamente ben controllati. Undici studi hanno riscontrato che l’esposizione è un trattamento efficace per il DPTS in reduci di guerra, persone stuprate ed altri sopravvissuti a traumi. Nell’unico studio che ha prodotto risultati equivoci durante l’esposizione, con reduci di guerra, sono stati usati stimoli che evocavano senso di colpa e vergogna anziché ansia. Sulla base di questi dati, si è giunti alla conclusione che la terapia di esposizione è un trattamento per il trauma molto efficace, ha a sostegno della sua efficacia i dati empirici più forti ed è stata valutata con un numero di popolazioni traumatizzate molto più alto di qualsiasi altro trattamento. Anche le Expert Consensus Guidelines per il trattamento del DPTS considerano il trattamento di esposizione come uno dei più efficaci per il DPTS. Queste linee guida indicano l’esposizione come il trattamento più veloce per il DPTS e come uno dei preferiti in varie popolazioni di persone traumatizzate. Nonostante la numerosità e la coerenza delle prove empiriche a favore dell’efficacia del trattamento di esposizione per il DPTS, molti clinici non lo usano volentieri. Infatti, nelle Expert Consensus Guidelines l’esposizione è stata giudicata meno sicura di altre modalità di trattamento, come la terapia cognitiva, l’intervento psicoeducativo e la gestione dell’ansia, e come meno accettabile di questi altri trattamenti. Inoltre, nella stessa pubblicazione, il suo uso è poco raccomandato in presenza di disturbi psicopatologici associati.

 

Descrizione della procedura

Il nucleo della terapia di esposizione consiste nell’aiutare il cliente a confrontarsi con gli stimoli temuti fino a che la paura diminuisce. Sebbene esistano molte varianti dell’esposizione con le persone sopravissute ad un trauma, nell’approccio di Foa e Rothbaum al paziente si chiede di “rivivere” l’esperienza del trauma descrivendola ad alta voce, reiteratamente, parlando al presente, per 45-60 minuti. Il paziente viene incoraggiato ad usare il maggior numero possibile di particolari, specialmente ricordi sensoriali, come odori, suoni, ecc. nonché i pensieri e gli stati d’animo vissuti durante l’evento. Il paziente descrive la vicenda per tre volte mentre il terapeuta registra con un magnetofono. Dopo l’esposizione, immaginativa, terapeuta e paziente discutono dell’esperienza appena fatta, e delle intuizioni sul trauma avvenute durante l’esposizione, allo scopo di facilitare l’integrazione cognitiva. Al paziente vengono assegnati dei compiti per casa: ascoltare il nastro registrato varie volte per facilitare un’ulteriore abitazione.

 

Linee guida per l’esposizione

A volte alcuni clinici affermano di avere provato ad applicare la terapia di esposizione senza successo. Spesso tuttavia non si è tenuto conto di alcune indicazioni importanti. Alcune delle principali linee guida sono elencate di seguito.

I pazienti dovrebbero restare nella situazione di esposizione abbastanza a lungo da consentire all’ansia e alla sofferenza di ridursi. La tendenza, nella maggioranza dei clinici, è di interrompere l’esposizione ai primi segni di sofferenza nel paziente. Benché in genere ciò venga fatto con buone intenzioni, per proteggere il paziente, in realtà rinforza l’evitamento del trauma e impedisce la necessaria elaborazione emozionale. Inizialmente, una certa dose di sofferenza dovrebbe essere preannunciata al paziente e normalizzata. Poiché il ricordo del trauma, vale la pena ricordarlo, non è di per sé pericoloso, l’affetto associato al trauma diminuirà se gliene si darà la possibilità. I terapeuti vogliono arrivare al punto in cui i pazienti imparino a non aver motivo di temere i loro ricordi del trauma. Il compito del terapeuta è di aiutare il paziente a tollerare l’ansia, all’interno di un ambiente sicuro, finché essa non diminuisce significativamente e/o non scompare. Compito del terapeuta sarebbe di incoraggiare, per quanto possibile, il paziente ad usare, durante il racconto dell’avvenimento, il maggior numero possibile di particolari, specialmente per le parti peggiori del trauma. In linea generale, la tendenza di ogni clinico, è quella di lasciare che il paziente sintetizzi o salti completamente le parti peggiori. I pazienti dovrebbero poter procedere secondo il loro ritmo. Nonostante la necessità di eseguire le esposizioni abbastanza a lungo, con un numero di ripetizioni sufficientemente elevato e abbastanza dettagliate, è essenziale adeguarsi al ritmo personale del paziente. Ciò è particolarmente vero nella prima esposizione quando il paziente probabilmente sperimenterà fortemente gli affetti connessi al trauma. Alla prima esposizione bisognerebbe evitare di insistere affinché il paziente rievochi i particolari. Inoltre le persone variano nella loro velocità di abitazione e nella risposta alle situazioni ansiogene. Il terapeuta deve tenere conto di queste differenze. Cosa molto importante durante la terapia è che non bisogna mai passare ad un nuovo ricordo traumatico o al livello successivo della gerarchia (durante l’esposizione in vivo) se non c’è tempo sufficiente perché avvenga l’abituazione. Se l’ansia e la sofferenza del paziente non calano significativamente prima della fine della seduta, occorre dedicare del tempo ad aiutare il paziente a rilassarsi. Se un paziente è molto ansioso dopo l’esposizione, è di importanza fondamentale aiutarlo a calmarsi prima di terminare la seduta, in modo che apprenda che può pensare al trauma e provare stati d’animo intensi e ciò nonostante continuare a stare bene. I terapeuti dovrebbero regolare le loro risposte tenendo conto delle reazioni del paziente all’esposizione. Le reazioni problematiche tendono a ricadere in due estremi: o il paziente ha difficoltà a coinvolgersi nel ricordo o a provare le emozioni connesse al trauma, oppure è così preso dal trauma che è sopraffatto dalle emozioni associate ad esso. Spesso, quando un paziente è immerso nell’esposizione, fatica a ricordare che al momento non si trova veramente nella situazione traumatica. In questi casi, conviene che il terapeuta ricordi al paziente che si trova in un posto sicuro, che il terapeuta è lì accanto a lui e che ciò che sta affrontando è soltanto un ricordo.

Questo aiuta il paziente a prendere un po’ le distanze dall’esposizione in modo che l’affetto associato al trauma sia più gestibile. Lo scenario più tipico e problematico è quello del paziente che ha difficoltà a coinvolgersi nell’esposizione. L’esposizione, naturalmente, richiede che il paziente creda nel terapeuta abbastanza da impegnarsi proprio in quei ricordi che fino a quel momento ha cercato attivamente di evitare. L’evitamento può essere piuttosto diretto, ma frequentemente è straordinariamente sottile. Alcuni pazienti fanno finta di praticare l’esposizione ma si distaccano emozionalmente. La loro descrizione del trauma spesso appare piatta e circoscritta ai fatti oggettivi. Molte persone sopravissute a traumi hanno imparato a usare la dissociazione come una forma di evitamento e possono non rendersi nemmeno conto che si stanno distaccando dal ricordo del trauma. In questa situazione, sta al terapeuta cercare di coinvolgere delicatamente il paziente nel ricordo.

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