psicologia della menzogna igor vitale

La definizione di menzogna in psicologia

Menzogna finzione, errore e segreto: le differenze

Menzogna e finzione

Prima di definire che cos’è una menzogna, appare opportuno differenziarla da fenomeni che possono sembrare simili a essa, ma che menzogna non sono. Innanzitutto occorre introdurre la distinzione tra menzogna e finzione.

La menzogna non è una finzione e rimanda più al concetto di falso, al contrario della finzione che fa riferimento al concetto di finto. Una
maschera, ad esempio, è finta perché esibisce i segni del suo non essere vera; una parrucca, per contro, è falsa perché vuole essere creduta  qualcosa che non è (Anolli, 2003).

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La finzione è “fare finta”, in quanto rappresenta la trasposizione di una attività con proprio significato, in un’attività uguale che in altro contesto assume un significato diverso.

Esempi di finzione sono “il gioco del dottore” dei bambini, in cui l’attività del dottore ha certamente significato diverso dalla situazione professionale standard; il “mordere giocoso” dei cuccioli; l’omicidio come rappresentazione teatrale; i bambini che “giocano a fare la guerra”.

Nella medesima categoria della finzione rientrano anche altri processi, quali la parodia, la satira, l’ironia e l’umorismo, l’arte e la letteratura, l’immaginario dei miti e delle saghe popolari. La finzione è il risultato della capacità di inventare, quindi è improntata alla fantasia e all’immaginazione. La finzione implica la distinzione tra mondo reale e mondo fantastico, nonché la consapevolezza che durante tale attività le proprie azioni non sono vere poiché non producono effetti nella vita reale.

La menzogna, invece viene usata dall’individuo per far intendere il contrario di ciò che pensa e sa.

Menzogna ed errore

Un’altra differenziazione importante è quella tra menzogna ed errore. Dire il falso per ignoranza del vero e dire il falso sapendo come stanno le cose sono due situazioni ben diverse. Nel primo caso possiamo parlare di errore, nel secondo di menzogna. L’errore, chiaramente, non è una menzogna e chi dichiara il falso per ignoranza lo fa in buona fede e le sue affermazioni non sono menzognere. La differenza sostanziale tra errore e menzogna sta nel fatto che in quest’ultima si conosce la verità e, volontariamente, si afferma il falso; nell’errore, invece, si dice il falso senza consapevolezza e credendo di dire la verità, della quale si verrà a conoscenza solo in seguito
(Anolli, 2003).

Pertanto, una persona che dice il falso per errore, nel momento in cui lo dice non lo ritiene tale.

Menzogna e segreto

Un’ultima distinzione da affrontare è quello fra menzogna e segreto. In entrambe si ha l’intenzione di nascondere e non rivelare conoscenze, ma nel caso del segreto si pensa di avere il diritto di non riferire ad altri specifiche informazioni (Anolli, 2003). Tale diritto concerne soprattutto certi ambiti della propria vita personale (come la privacy e il diritto di difesa) e sociale (come il segreto professionale o il segreto di stato).

In questa prospettiva, il segreto può essere visto come il risultato di un processo di negoziazione tra il diritto di tacere di una persona e il diritto di conoscere dell’interlocutore. Tuttavia, qualora tale diritto entri in conflitto con il diritto a sapere da parte dell’interlocutore, allora il segreto può diventare una menzogna o, più specificatamente, un’omissione di informazioni.

Quando una menzogna è una vera menzogna

La menzogna è un «atto comunicativo consapevole e deliberato di trasmettere una conoscenza non vera ad un altro in modo che quest’ultimo assuma credenze false sulla realtà dei fatti» (Anolli, 2003 p.16).

Tale definizione pone l’accento sul fatto che mentire costituisce un’interazione sociale fra due o più persone e perciò la menzogna
inconsapevole non esiste, poiché nessuno può mentire senza essere consapevole di farlo, e questa operazione può avvenire in due modi: chi mente può cercare di far credere il falso oppure può cercare di non far credere il vero.

Le proprietà essenziali dell’atto di mentire sono tre:

1. La falsità del contenuto di quanto l’interlocutore comunica in modo linguistico o extralinguistico;
2. La consapevolezza di tale falsità;
3. L’intenzione di ingannare il destinatario

Fra tutte, l’intenzionalità di ingannare risulta essere la caratteristica centrale e va a rafforzare il concetto per cui la menzogna inconsapevole non esiste e richiede anzi un atteggiamento particolarmente complesso da parte di chi mente, in quanto nella bugia intervengono simultaneamente diversi livelli intenzionali.

Anche lo psicologo statunitense Paul Ekman, vero pioniere nell’ambito degli studi sulla menzogna, pone l’accento sull’aspetto dell’intenzionalità.

Egli, infatti, dà questa descrizione: “Nella mia definizione di menzogna, allora, una persona intende trarre in inganno un’altra deliberatamente, senza avvertire delle sue intenzioni e senza che il destinatario dell’inganno gliel’abbia esplicitamente chiesto” (Ekman, 1985).

Entrambi gli autori specificano che quando si definisce la menzogna non è sufficiente considerare solo l’autore, ma anche il destinatario. Ekman (1985), ad esempio, sostiene che sarebbe curioso chiamare bugiardi gli attori: il loro pubblico è d’accordo di lasciarsi ingannare per qualche tempo e loro sono lì apposta. A differenza del truffatore, l’attore si camuffa avvertendo esplicitamente che il personaggio è una finzione momentanea.

Anolli (2003), invece, nella sua definizione di menzogna aggiunge che mentire è sempre una interazione sociale e un atto comunicativo diretto a un destinatario che può assumere o la funzione di “vittima” (quando crede nella menzogna del mentitore) o la funzione di “smascheratore” (quando scopre la menzogna). Nel primo caso si tratta di “successo” della menzogna; nel secondo caso di “insuccesso”.

Articolo di Rossella Cataleta

 

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