Come il divorzio può devastare l’affettività del figlio

I casi di separazione scatenano nei figli un vuoto affettivo dovuto all’effettiva assenza fisica del genitore non affidatario nella quotidianità, che fa emergere delle angoscie di abbandono e un forte senso di colpa nel figlio, che crede di rappresentare la causa della rottura coniugale. Questi sentimenti possono essere marginati, in una situazione normale, se i genitori lavorano insieme in modo efficace per rassicurare il bambino e fornigli l’accudimento affettivo di cui ha bisogno. Tuttavia, nelle situazioni conflittuali, il bambino vive in modo difficoltoso il processo di identificazione-differenziazione se non è riuscito ad introiettare una figura genitoriale abbastanza buona. Così, per compensare il sentimento di vuoto che prova, il bambino sviluppa un forte attaccamento verso il genitore alienante, e, pur di non essere abbandonato anche da lui, si ritrova a colludere con le dinamiche conflittuali e supporta l’idea che il genitore alienatore è l’unico genitore “buono” di cui ci si può fidare. Questa debolezza rende il bambino più vulnerabile all’indottrinamento da parte del genitore a cui si lega, e può essere rinforzato dalla reazione aggressiva o dalla non-reazione provocata nel genitore escluso, perché è vista come una conferma della sua inaffidabilità.

 

In questo contesto, il minore non può essere considerato solo come una vittima, ma bisogna riconoscere il suo ruolo attivo di co-autore, e lo diventa intorno ai 9-12 anni, quando ha trascorso abbastanza tempo con il genitore alienante e ha raggiunto la capacità di analizzare in modo critico la situazione. Generalmente, si tratta di figli unici le cui uniche figure di riferimento sono i genitori; questa situazione li porta ad essere egocentrici, con una bassa autostima e una bassa autonomia. La suggestionabilità dei bambini si sviluppa nell’arco di tempo che vai dai 2 anni fino ai 7-8 anni, fino a rimanere costante nell’adolescenza, quando le critiche o le accuse verso il genitore escluso sono principalmente il frutto della propria menzogna intenzionale.

Per quanto concerne i genitori, sono state distinte diverse tipologie per le due categorie presenti. Il genitore alienante può essere naïf, tipicamente passivi nella relazione con il figlio; attivi, in grado di distinguere i bisogni propri e quelli del figlio, ma con problemi nell’elaborare o controllare i propri sentimenti negativi, che vengono riversati sul bambino; ossessivi, pieni di rabbia, si sentono traditi dall’altro genitore e gli attribuiscono il fallimento della propria esistenza. Ciò che accomuna queste diverse tipologia è una personalità vulnerabile, prettamente immatura, che dipende dagli altri per essere accettata; il tipo di rapporto che si instaura tra genitore e figlio concentrato proprio sulla dipendenza, e infatti il figlio non ha alcuna spinta da parte sua verso la propria autonomia e maturazione. Questo fenomeno, chiamato genitorializzazione, deriva dalla distorsione che il genitore ha del rapporto: egli, infatti, investe il figlio del ruolo di genitore e si affida a lui per invertire il potenziale generazionale, creando così una relazione patogena.

Il genitore alienato, invece, riconosce due tipologie: la prima include quelle relazioni genitore-bambino che avevano un legame sereno e appropriato prima della separazione, questo perché si tratta di genitori più sensibili verso i propri figli e più presenti nella loro educazione, nonostante si arrendano facilmente nelle situazioni di rifiuto; la seconda, al contrario, riguarda quelle relazioni non soddisfacenti anche prima della separazione, e cioè superficiali o ambivalenti. Ad ogni modo, questo genitore accetta la situazione remissivamente o per timore di un ulteriore allontanamento, anche perché nei casi in cui si dimostra risoluto e impone il suo desiderio di occuparsi del figlio, il genitore alienante lo percepisce come aggressivo, rinforzando eventuali accuse di molestie e maltrattamenti da parte del figlio.

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