Non esprimere le emozioni può renderti dipendente

Articolo di Andrea Marini

Il DSM-5 ha classificato il disturbo da uso di sostanze come «un cluster di sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici che indicano come l’individuo continui a fare uso della sostanza nonostante i significativi problemi […] correlati»49.
Si può ragionevolmente intuire che la motivazione che alimenta la tossicodipendenza prenda forma alla luce di un sistema deficitario di autoregolazione, in cui l’uso compulsivo della sostanza è finalizzato alla ricerca di un sollievo dalle attivazioni sintomatiche indifferenziate50. Lo stesso Wurmser descrive nei tossicodipendenti il crollo delle difese affettive come un’«iposimbolizzazione»51, teoricamente equivalente al costrutto dell’alessitimia. Le emozioni sono «opprimenti, globali e arcaiche, vengono percepite da un punto di vista fisico […] non possono essere articolate per mezzo di parole»52.

Il terrore annichilente di essere sopraffatto da emozioni negative, senza la comprensione di ciò che rappresentano, sbocca nel craving, desiderio incontrollabile ed insaziabile di assumere la droga. Il comportamento frenetico e ansioso di ricerca della sostanza manifesta, quindi, la sua natura compulsiva, il suo fine ultimo nella volontà di stare bene o quantomeno meglio. La droga costituisce il meccanismo compensativo ad un’attivazione emotiva senza nome, rinforzando il comportamento di ricerca e massimizzando la probabilità che il soggetto ne faccia nuovo uso in virtù dei suoi effetti ansiolitici e restauranti. «I tossicodipendenti credono che una soluzione di questa situazione grazie a una droga possa dare loro sollievo, anche se perpetuano allo stesso tempo il loro stato di sofferenza»53. Il bisogno di possesso consapevole e di regolazione degli affetti viene, quindi, ricercato mediante la fusione con un oggetto-sé idealizzato al quale attribuiscono poteri illimitati54.

Un’ulteriore conferma alla validità del modello della disregolazione affettiva, proviene da alcune evidenze statistiche. Nonostante sperimentino diverse sostanze psicoattive, i tossicodipendenti presentano una preferenza per un tipo particolare di droga, a seconda degli effetti farmacologici specifici. Khantzian ha proposto l’ipotesi dell’autoterapia55, in base alla quale lo schema di comportamento dipendente presenta un intento palliativo, ha valore adattativo permettendo al soggetto di «sostituire la disforia e una relazione con la sofferenza che egli non capisce né controlla con una che capisce e controlla»56.
Il miscuglio indifferenziato di stati affettivi intollerabili richiede organizzazione e controllo. È attraverso la possibilità di alternare in modo comprensibile e dominabile gli stati di sofferenza e di sollievo emotivo che questi soggetti gestiscono la minaccia ipocondriaca.
In termini di prevalenza, è emerso dalla letteratura57 che l’abuso di alcol sembra essere al primo posto tra i soggetti che presentano alessitimia. Costituisce, infatti, la categoria diagnostica che più può definirsi sulle fondamenta teoriche di questo costrutto. L’alcol, al pari di altre sostanze, costituisce un regolatore esterno degli affetti. L’exploit sintomatologico da intossicazione rappresenta una difesa, seppur disadattiva, che permette di calibrare le emozioni e trasformarle in vissuti coscienti e determinabili.

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