depressione post partum

Tutto ciò che devi sapere sulla depressione post-partum

La depressione post-partum è definita come una dei maggiori disturbi che seguono la nascita di un bambino e che attualmente colpiscono 2 donne su 7 (Gaynes et al,2005). La depressione maggiore o la depressione post-partum ha una prevalenza all’incirca doppia nelle femmine rispetto ai maschi (12,9% contro il 7,7% maschile) (Kessler RC, McGonagle KA, Zhao S, et al 1994). La maggiore insorgenza nelle donne rispetto agli uomini va ricercata nella predisposizione genetica nonché nel ruolo biologico, socio-culturale e psichico di alcuni ormoni. Tra le ipotesi proposte per spiegare la maggiore suscettibilità delle donne nello sviluppare un disturbo depressivo risulta essere l’assetto ormonale.

 

È stato notato che la depressione femminile si manifesta con frequenza più elevata nei periodi in cui il quadro ormonale subisce variazioni significative e conseguenzialmente si verifica una iper-attivazione o inattivazione dei recettori; tali oscillazioni risultano verificarsi durante la gravidanza e la menopausa. (McEwen BS;1988). Le forme depressive sono state distinte dal Research Diagnostic Criteria che ha identificato tre stati depressivi: maternity blues, depressione minore (lieve, nevrotica o atipica) e la DM (depressione maggiore). A questi va aggiunta la psicosi puerperale (PPD o depressione post-partum), rara, ma importante per gravità ed esiti.

Negli ultimi anni è stato conseguito un certo accordo tra i ricercatori riguardo al problema clinico relativo al rapporto di continuità o discontinuità tra queste forme. Alcuni autori, secondo i quali i disturbi affettivi costituiscono il motivo conduttore di tutta la patologia puerperale, indicano le psicosi puerperali e il maternity blues come quadri situati agli estremi di un continuum depressivo sottovalutato. Si asserisce infatti che la depressione puerpale è l’involuzione della cosiddetta depressione minore o atipica. (Gitlin MJ, Pasnau RO 1989). La psicosi puerperale è la più grave tra le patologie psichiatriche del post partum: ha una frequenza dello 0,1-0,2% e la sintomatologia psicotica, in circa l’80% dei casi, si manifesta nelle prime 2 settimane successive al parto. Il 70% circa degli episodi psicotici del post partum rappresenta l’episodio psicotico di un disturbo bipolare o di una DM. Le manifestazioni cliniche delle psicosi puerperali spesso costituiscono un’emergenza psichiatrica, con necessità di ricovero, date le possibili, tragiche conseguenze (il 5% delle donne commette suicidio e il 4% infanticidio) (Knops GG
1993).
La psicosi puerperale è caratterizzata clinicamente da una fase prodromica, ossia una fase con attaccamento morboso ossessivo, con alterazioni del sonno e irritabilità, cui fanno seguito oscillazioni del tono dell’umore e sintomi psicotici, con perdita di “insight”, ossia della percezione dell’esterno e delle relazioni, bizzarrie comportamentali, alterazioni del contenuto e della forma del pensiero, associati a delirium (disorientamento spazio-temporale, amnesia, alterazioni sensoriali e disorganizzazione cognitiva). Come nei quadri di tipo organico, i fenomeni allucinatori possono essere anche tattili e visivi, oltre che uditivi (Schopf J, Rust B;1994).

La depressione post partum causa numerosi disquilibri anche nell’infante. Negli ultimi decenni l’Infant research e la Developmental Psychopathology hanno focalizzato la loro attenzione sull’imprinting materno e sul comportamento dell’infante a seguito di mancata cura da parte della figura genitoriale. Le madri depresse mostrano minore calore emotivo nel rapporto con il figlio, sono meno sensibili alle sue manifestazioni di disagio e meno capaci di discriminare i differenti tipi di pianto; sono meno coinvolte con il figlio, lo toccano di meno e si impegnano di meno in attività condivise (Cohn et al. 1989; Tronick, 2005). Di conseguenza sono meno pronte a rispondere in modo adeguato alle richieste e ai segnali dei propri bambini. Rispetto alle madri normali, inoltre, esse mostrano maggior disimpegno ed un atteggiamento più critico, intrusivo ed ostile nei confronti dei figli (Goodman, Rouse, Connell, Broth, Hall & Heyward, 2011; Hammen, 1991).

In particolare, alcuni studi clinici hanno approfondito la probabile influenza dello status depressivo materno sull’instaurazione e persistenza dei disturbi alimentari infantili e hanno dimostrato che in campioni di madri con depressione, ansia, disturbi della personalità, atteggiamenti alimentari disfunzionali; i loro bambini presentavano spesso un disturbo nella regolazione dei ritmi dell’alimentazione e un rifiuto del cibo, caratterizzato da disimpegno materno e comportamenti oppositivi del bambino negli scambi comunicativi con la madre (Ammaniti, 2004). In queste situazioni, la diade madre figlio non riesce a stabilire un “ritmo condiviso”, essenziale durante l’alimentazione, e il bambino non impara a regolare i suoi crescenti desideri di autonomia e di individuazione (ad es: interrompere il pasto per interessarsi all’ambiente circostante o prendere l’iniziativa nell’assunzione di cibo) con il bisogno di essere nutrito e rassicurato dalla presenza della figura genitoriale. La madre, infatti, non lascerà lo spazio necessario al figlio per sperimentare il proprio turno (paura esplorativa) imponendo ritmi alimentari incalzanti e rigidi e interferendo ansiosamente con le iniziative spontanee del bambino. Studi di followup hanno dimostrato che oltre alle difficoltà precedentemente descritte i bambini figli di madri depresse hanno difficoltà comportamentali e cognitive (Hay 2001, Werner.V,1999).

Gli studi hanno inoltre dimostrato che nella diade madre-figlio i livelli salivari di ossitocina sono molto simili, pertanto si genera un meccanismo a cascata che parte da una disfunzione neuroendocrina della madre (alterazioni dell’asse ipotalamoipofisi) e genera dei disturbi nell’infante anche essi causati dall’alterazione del quadro ormonale del bambino (Richard P, Ebstein Ruth Feldman;2013).

Si può concludere pertanto che la depressione post-partum pone le sue radici in disturbi sociali ed endocrini e sfocia nei medesimi campi generando cause sia nelle interazioni madre e figlio che nell’assetto neuroendocrino della paziente affetta.

Articolo di Carmen Marino

Corsi Gratis in Psicologia

 

Scrivi a Igor Vitale