Storia dell’Ipnosi: da Mesmer ad Erickson

La storia dell’ipnosi è antica quanto l’origine della civiltà. In tutto il mondo, sciamani, stregoni e profeti, tramite riti e pratiche spesso molto diverse tra loro, esercitavano un fondamentale potere, di tipo terapeutico, taumaturgico o divinatorio, attraverso l’induzione o l’autoinduzione dello stato di trance.

Fin dai tempi antichi l’uomo conosce e utilizza tecniche capaci di modificare il suo stato di coscienza. Attraverso preghiere, balli, musiche, sostanze psicotrope, altera la sua percezione della realtà.

La moderna storia occidentale dell’ipnosi nasce in Europa, durante il secolo dei lumi. Il medico tedesco Franz Anton Mesmer è il primo di una serie d’ipnotisti che, nonostante la forte opposizione e il conseguente dileggio della medicina ufficiale, porta coraggiosamente avanti i propri studi, nel tentativo di dare valore scientifico a questa pratica antica, fino ad allora associata all’occultismo, alla stregoneria, alla magia.

Lo stesso Freud, assieme a Breuer, un secolo più tardi, utilizza l’ipnosi come terapia per l’isteria ma abbandona il metodo precocemente e, con il nascere della psicoanalisi, in Europa si assiste ad un forte declino dell’ipnosi.

Negli Stati Uniti, invece, la ricerca nei confronti di questa tecnica e delle sue possibili applicazioni continua indisturbata. Sarà lo psichiatra statunitense Milton Erickson, negli anni ’50, a rielaborare completamente le fondamenta stesse dell’ipnosi, con una vera e propria rivoluzione copernicana. La straordinaria parabola esistenziale di Erickson mette in luce l’irriducibile originalità e profondità dell’uomo e dello studioso. Irriducibilità che egli stesso attribuisce alla specificità di ogni persona, concetto questo che diviene cardine del suo modo d’intendere l’ipnosi. Per tutta la vita egli si rifiuta di ridurre a sistema la sua pratica terapeutica, che richiede innanzitutto una grandissima umanità, empatia ed intuizione, sempre sorvegliate dal rigore di un metodo mai del tutto codificabile. Erickson riformula in maniera radicale il concetto d’inconscio freudiano, trasformando la pratica dell’ipnosi in psicoterapia ipnotica e allontanandola dallo scetticismo che spesso ancor oggi la circonda, a causa della sua frequente volgarizzazione in fenomeno da spettacolo. Scopo ultimo della terapia è quello di aiutare il paziente a far riemergere risorse sopite nel suo inconscio e di dar loro nuova sintesi, per trovare soluzioni nuove a problemi antichi e risolvere comportamenti disadattivi. Lo sviluppo di un nuovo modello di rappresentazione della realtà e la rinuncia all’utilizzo di schemi di pensiero e comportamento obsoleti e dannosi, a favore di schemi nuovi e più adattivi, portano il paziente alla guarigione.

Erickson è considerato il padre della Nuova Ipnosi, riferimento fecondo quanto imprescindibile dell’ipnoterapia odierna, il cui studio e la cui pratica sono oggi supportate dalle moderne tecniche di neuroimaging, sia per quanto concerne il passaggio di dominanza emisferica da sinistra a destra durante l’ipnosi (Gruzelier, 2006), sia in relazione all’autenticità del fenomeno ipnotico (Blakemore, Oakley & Frith, 2003; Derbyshire, Whalley, Stenger & Oakley, 2004; Oakley, & Halligan, 2009; Ward, Oakley, Frackowiak, & Halligan, 2003) e alla reale esistenza di uno stato di coscienza naturale ma diverso dall’ordinario che coincide con un’alterazione dell’organizzazione funzionale del cervello (Crawford, 1996; Crawford & Gruzelier, 1992; Dietrich, 2003;  De Benedittis, 2015). Chiedere se va bene.

Dopo un’accurata indagine storica del fenomeno ipnotico, mi sono rivolta alle più recenti applicazioni dell’ipnosi alla psicologia clinica. Ho scelto di soffermarmi sui disturbi d’ansia e sulla depressione perché sono le patologie mentali più comuni in Europa, che colpiscono circa il 25% della popolazione ogni anno (WHO, 2013). Inoltre, avendo optato nel mio corso di laurea magistrale per l’indirizzo di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, ho rivolto la mia attenzione a due disturbi di grande attualità riscontrabili oggi tra i giovani: quelli legati all’alimentazione e quelli relativi all’uso di sostanze psicoattive. Un paragrafo del mio elaborato, infine, è dedicato al Disturbo da Stress post-traumatico (DSPT). Il mio interesse per questo disturbo è dovuto al forte legame esistente tra gli eventi traumatici e la dissociazione, al cui studio Janet si dedicò con tanta passione.

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